Politica
June 07 2023
L’invasione russa dell’Ucraina ha reso ancora più centrale il fianco orientale della Nato. Non solo la Polonia e i Paesi baltici hanno aumentato ulteriormente il proprio peso in seno all’Alleanza atlantica, ma – lo scorso aprile – è avvenuto anche l’ingresso della Finlandia al suo interno. È d'altronde in quest’ottica che il Regno Unito sta giocando sempre più di sponda con Kiev e con il fianco orientale della Nato.
Dall’altra parte, sono cresciute le difficoltà della Germania e, soprattutto, della Francia. I rapporti tra Parigi e l’Alleanza atlantica si sono spesso rivelati turbolenti nei decenni. Senza trascurare che, a dicembre del 2019, l’attuale presidente francese, Emmanuel Macron, disse che la Nato era “cerebralmente morta”. Parigi ha del resto spesso puntato su un indebolimento delle relazioni transatlantiche per allontanare Bruxelles dall’anglosfera e amplificare così i propri interessi (e la propria leadership politica) a livello europeo. La crisi ucraina ha infranto però questa strategia. La Nato è tornata centrale, mentre la Francia ha perso parzialmente peso al suo interno. Una situazione aggravata dal progressivo indebolimento a cui Parigi è soggetta nel Sahel, dove sta man mano perdendo la propria influenza politico-militare.
In tutto questo, è cresciuta anche la centralità della Turchia nella Nato. Lo si è compreso soprattutto alla luce del veto che Recep Tayyip Erdogan aveva posto sull’ingresso di Svezia e Finlandia: un veto che, nel primo caso, non è stato ancora superato. Proprio per i suoi rapporti sia con Kiev sia con Mosca, il presidente turco si è ritagliato il ruolo di mediatore nella crisi ucraina. E, se in un primo momento Joe Biden aveva assunto una linea dura nei suoi confronti, nello scorso anno sembra essersi notevolmente ammorbidito. Si sta quindi riproponendo l’antico dilemma che divide gli alti circoli di Washington. Da una parte, c’è chi sostiene che non bisogna essere severi con Ankara, per evitare di spingerla tra le braccia di Mosca. Dall’altra, c’è chi invece auspica un atteggiamento più duro verso la Turchia, tacciata di condurre una politica estera troppo spregiudicata.
Alla luce di questa situazione, il governo Meloni fa bene a rafforzare i legami con il fianco orientale della Nato (a partire dalla Polonia) e con i suoi principali sostenitori (soprattutto il Regno Unito). Una tale strategia può infatti consentire a Roma di aumentare il proprio peso in seno alla stessa Alleanza atlantica. Un peso che Palazzo Chigi deve utilizzare per cercare di rilanciare il fianco meridionale della Nato. Non è d’altronde un caso che Giorgia Meloni abbia posto il tema della stabilità del Mediterraneo sia a Biden a novembre sia allo Speaker della Camera americana, Kevin McCarthy, a maggio.
Il rilancio del fianco meridionale dell’Alleanza atlantica è infatti funzionale sia agli interessi nazionali dell’Italia sia a quelli della Nato nella sua interezza. Le sfide che quest’ultima deve affrontare a Est – vale a dire Russia e Cina – deve affrontarle anche a Sud. Mosca, attraverso il Wagner Group, è presente nella parte orientale della Libia, utilizzandola come trampolino di lancio verso il Sahel. Pechino, dal canto suo, sta cercando di rafforzare la propria influenza politico-economica su larga parte del Nord Africa. La Nato ha quindi bisogno di rafforzare il proprio fianco meridionale. E l’Italia può giocare un ruolo centrale in questo quadro. Un ruolo che la Francia, a causa delle sue ambiguità, non può invece permettersi.