Economia
June 26 2023
Il 2022 ha segnato la ripresa dopo la pandemia e ora, il 2023 potrebbe essere l’anno del boom per il turismo in Italia. Secondo le previsioni dell'istituto Demoskopika, saranno oltre 442 milioni le presenze con una crescita del 12,2% rispetto al 2022. Ma, soprattutto, il livello più alto di sempre. Quasi 127 milioni gli arrivi previsti dall’estero, terzo dato più elevato di tutti i tempi (il top fu nel 2019 con 131 milioni seguito dal 2018 con 128) e con un rialzo dell'11,2% sull'anno scorso. Si registra un aumento del 53% nelle prenotazioni alberghiere per l’estate 2023, sullo stesso periodo del 2022. Nelle città d’arte si toccano punti di +120%. Secondo un’analisi dell’Osservatorio Turismo di Confcommercio, 30 milioni di italiani faranno la valigia quest’estate e si stima un giro di d’affari da 45 miliardi di euro. In totale si prevedono 89 miliardi quasi di spesa turistica con un incremento del 22,8%.
Insomma, il settore turistico italiano ha il vento in poppa. E se quelle di quest’anno sono ancora previsioni e stime, il 2022 è in archivio come l’anno in cui il settore, pesantemente colpito, come è ovvio, dal Covid, ha rialzato prepotentemente la testa. Vicine ai 190 milioni lo scorso anno le presenze turistiche italiane sul territorio, appena sotto quelle dall’estero: un sostanziale riequilibrio delle due componenti della domanda. Il trimestre estivo 2022, poi, si è avvicinato al record del 2019 con circa 196 milioni di presenze: il 4,7% in meno rispetto alla cifra record pre-pandemia di circa 205 milioni raggiunta nel 2019 (dati Istat). Insomma, le premesse perché quest’anno sia davvero al top ci sono tutte.
L’Italia si posiziona tra le destinazioni turistiche più scelte al mondo (settimo posto, dai Mastercard 2022) e il settore turistico rappresenta ben il 14% del PIL del Paese, dando lavoro a quasi un milione e mezzo di persone (Istat, 2022). La cultura è ancora ciò che attira il maggior numero di turisti: in testa Roma, poi Firenze e Milano. Primo traino della ripartenza, già nel 2022 la vacanza culturale in Italia valeva 17,1 miliardi (0,9 per cento del Pil): quasi il doppio rispetto al 2021 eappena inferiore al 2019.
L’Italia, dunque, sta ritrovando quella spinta che tradizionalmente il turismo dà alla nostra economia. Il momento cruciale però arriva adesso: tutti i nostri concorrenti, Francia, Spagna, ma anche Germania, solo per fermarsi a quelli europei, stanno facendo grossi investimenti nel settore. E stanno utilizzando a mani basse i fondi del Pnrr, sempre lui. È facile capire come, anche per il turismo, un utilizzo efficace e tempestivo delle risorse del Next generation Eu sia decisivo. E qui è naturalmente cruciale il ruolo pubblico: se e come il governo saprà investire per potenziare e modernizzare il settore.
Anche perché, come sottolinea un recente studio della Banca d’Italia, cullarsi sugli allori rischia di essere molto, molto pericoloso: se c’è una carenza evidente del settore in Italia è quella della digitalizzazione. Il turismo moderno è sempre più basato sui servizi digitali. Non solo in fase di prenotazione e organizzazione della vacanza. Ma anche di fruizione della vacanza stessa: il turista oggi è connesso, vuole accesso ai servizi, pretende di poter gestire anche il periodo di svago con i ritmi e le connessioni a cui è abituato. Che sia un bene o un male non sta a noi dirlo: ma è così. Il sito di un museo che funziona male, una prenotazione troppo laboriosa, l’assenza dai social: ormai sono cose che si pagano. E su questo l’Italia è indietro: il treno è passato ormai parecchi anni fa. Non raggiungerlo adesso diventa un problema serio.
C’è poi una questione più generale da tenere presente: un settore turistico florido fa sicuramente bene all’Italia. A patto che non sia una luce nel buio, o nella semi-oscurità. I dati sulla produzione industriale sono negativi: ad aprile si è registrato il quarto calo consecutivo, con una diminuzione del 7.2% rispetto allo scorso anno. E il trend della perdita produttiva del paese si sta pericolosamente consolidando. Come dire: viva il turismo, ma attenzione a non diventare un Paese da visitare e basta. Bello, ma non ci vivrei. Anche perché, il lavoro nel settore è quasi per definizione precario. L’esempio più vicino è quello della Grecia che ha vissuto sopra le proprie possibilità per decenni, anche a causa di un’economia tenuta a galla dal turismo. Finché i nodi non sono venuti al pettine.