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October 02 2019
Giovedì 3 ottobre la Commissione Affari Costituzionali della Camera riprenderà la discussione su due proposte di legge: lo “ius soli” (a firma di Laura Boldrini, ex LEU e oggi nel PD) e lo “ius culturae” (a firma di Renata Polverini di Forza Italia).
Entrambe le proposte prevedono una riforma delle modalità di acquisizione della cittadinanza italiana, che attualmente è regolata da una legge che si basa esclusivamente sul principio dello “ius sanguinis”: si ha la cittadinanza italiana solo se si hanno genitori italiani.
E' del tutto normale che, capovolgendo le priorità del Paese (ospedali e scuole da terzo se non quarto mondo, disoccupazione tra i giovani, corruzione, evasione ed elusione fiscale, mancanza di servizi e così via) il dibattito sul diritto di cittadinanza ai bambini figli di stranieri diventi la prima cosa su cui concentrarsi.
Accantonato lo “ius soli”, che prevederebbe una cittadinanza automatica se si nasce sul territorio italiano (e che nel mondo esiste solo negli Stati Uniti), lo “ius culturae”, sul quale sembra abbiano trovato un punto di incontro il M5S e il PD, propone di dare la cittadinanza a minori che hanno compiuto almeno un ciclo di scuola in Italia, quindi già dopo le elementari.
Oggi, i ragazzi figli di cittadini stranieri regolarmente residenti in Italia, possono avere la cittadinanza dopo i 18 anni, se hanno avuto qui la residenza per almeno 10 anni.
Il meccanismo non è punitivo ed è adottato in quasi tutti gli altri Paesi europei.
In Italia al momento ci sono circa 166.000 minori che – con lo ius culturae – potrebbero diventare italiani. Sì, ma i loro genitori resterebbero stranieri, e non è un piccolo particolare.
La loro cultura non cambierebbe grazie alla cittadinanza dei loro figli. Così come è difficile credere che dei bambini, dopo cinque anni di elementari, si riconoscano in una cultura differente da quella dei loro genitori, pur frequentando scuole e bambini italiani.
Lo sanno molto bene la Francia, il Belgio e il Regno Unito, che si ritrovano cittadini che hanno frequentato le loro scuole, ma che non ne vogliono sapere di abbracciare la cultura occidentale, e preferiscono tenersi il loro retaggio famigliare, con variazioni al limite dell'estremismo (se non oltre, come i tragici attentati degli ultimi anni a Parigi, Londra e Bruxelles ci hanno dimostrato).
In più, basta parlare con una maestra dell'asilo o delle elementari e racconterà una realtà decisamente diverse da quella che descritta dalla Boldrini. Noi lo abbiamo fatto e ci è stato detto che non basta che i bambini studino o giochino insieme perché si crei l'integrazione. Ogni bambino tende a stringere amicizia con altri bambini vicini alla sua cultura di origine. Così, i cinesi tendono a preferire i cinesi, i marocchini e i tunisini idem.
La Sinistra e il mondo del volontariato cattolico, ci vogliono convincere che è in atto uno scandalo di matrice razzista, e che in Italia ci sono bambini trattati diversamente solo perché stranieri.
E' una colossale menzogna: tutti i bambini, stranieri e italiani, godono degli stessi diritti, da quello scolastico al diritto alla Salute. L'unica differenza è la cittadinanza, che permette loro di avere un passaporto e di votare per le elezioni nel nostro Paese.
I padri costituenti ci avevano visto lungo: si è cittadini italiani se si nasce da genitori italiani, cosa che implica il crescere con una cultura italiana.
Ma la cultura non si crea in 5 anni di elementari. E, a volte, non basta nemmeno l'università per far cambiare la propria struttura di pensiero, frutto dell'educazione, a una persona.
Il vero scandalo, su cui sia la Boldrini che la Polverini sembrano non nutrire il minimo interesse, è semmai la condizione di migliaia di italiani nel mondo che non godono degli stessi diritti degli italiani che vivono qui.
Come in Venezuela, dove ci sono più di 1 milione di oriundi e 250mila persone con il passaporto italiano, lasciati a fare la fame e a morire negli ospedali del regime di Nicolas Maduro.
Se proprio dobbiamo spenderci per gli italiani, cominciamo a farlo con quelli che dimostrano di amare il nostro Paese, che si sentono italiani e che hanno realmente bisogno dell'Italia e sono in condizioni di estrema necessità.
Se mai approveremo una proposta come lo “ius culturae”, è probabile che tra qualche anno saremmo noi italiani a dover chiedere la possibilità di essere riconosciuti in uno Stato diventato improvvisamente straniero. Dove la nostra cultura sarà in drammatica minoranza.