Lifestyle
April 13 2014
Il primo tassello di un futuro lontano dai riflettori del palco, simbolicamente annunciato con una canzone che si chiamava Tutto questo futuro, è la storia un musicista che sul palco ci ha passato la vita, fedele a un'unica compagna: una Gibson ES 335. Una chitarra un titolo: Tretrecinque. Ivano Fossati trasloca sulla lunga distanza l'arte di narrare restando fedele a sé stesso, cioè alla sfida di non ripetere sé stesso.
Einaudi lo accoglie nella sua casa spaziosa di parole senza suoni e lui segue la scia di un'insegna, una delle prime balere di periferia, costruendogli attorno la storia di un emigrante di talento terrorizzato dall'idea di crescere. Dalla metà degli anni ’50 al 2010 Vittorio Vicenti attraversa la vita e il mondo passando dalle risaie vercellesi alla Cornovaglia e a Brighton, per sbarcare infine nella Shan-gri-la dei chitarristi: l'America della Grande Mela ma soprattutto quella di provincia, il sud meticcio coi suoi grandi spazi.
Il linguaggio di Ivano Fossati ha un nuovo suono ampio morbido e diretto, un ritmo disteso senz'ansia di strofe ponti ritornelli. Un periodare appartato che sfocia improvvisamente in assoli affilati come sentenze: "sei indifeso quando non conosci le parole che ti porterebbero fuori dagli equivoci, dai silenzi inutili". Fuori dal silenzio, le sue parole alludono ancora a carte da decifrare e orizzonti lontani, rintocchi emotivi senza mediazione. Proviamo allora a guardare oltre le parole.
Donne, cocktail, furgoni, orchestre e libertà. Potrebbe sembrare un hippy trail eppure il groove di Tretrecinque si muove su accordi blues. Vic è un antieroe in fondo malinconico, sognatore e perdente. Ama stupire coi virtuosismi, attirare a sé gli sguardi e simultaneamente fuggire. Le famiglie disgregate e lontane sono una ferita aperta, i vicoli di Genova fagocitano i sogni come murene. Gli orologi molli rimbalzano l'eco del tempo, proiettando l'hic et nunc nella nuvola tossica di un finto domani.
Nelle interviste seguite alla pubblicazione di Tretrecinque, prevedibilmente lo scrittore ha preso le distanze dal suo personaggio, scoraggiando la ricerca di isomorfismi. Ma proprio sul confine tra verità e finzione Ivano Fossati ha alimentato suo malgrado una specie di subcultura di appartenenza. Ecco perché - "leggimi bene in fondo negli occhi / che il mio mestiere non è" - Vic Vincent sembra uscire da una pennellata del Canto dei mestieri. Il mestiere che condivide col suo artifex è quello dell'artista (il mestierante-artista), e compito dell'artista è mettere in scena, con tutte le sue contraddizioni, il tempo squadernato dell'adulto incapace di crescere: quello che molti di noi sperano di aver conservato, almeno un po'. Sceneggiare storie a cui aderire perché ci si riconosce.
"A quelli che vanno nel mondo senza paura degli anni e della distanza". Fossati non è Vic Vincent ma è divertente seguirne le tracce a partire da questa dedica che somiglia alla strofa di una canzone. La stessa scelta della biografia immaginaria apre il campo a una metariflessione su alcuni temi fondativi della poetica fossatiana: la natura proustiana del tempo e dello spazio, il viaggio come condizione esistenziale, la fuggevolezza dell'amore contro le radici più salde dell'amicizia, la dialettica irrisolta fra crescere e invecchiare. E ovviamente la potenza della musica leggera, universale passe-partout per alleggerire il peso del mondo. Per rendere accettabile anche ciò che accettabile non è.
"Difficile non è partire contro il vento / ma casomai senza un saluto", si doleva Lindbergh quasi vent'anni or sono. Più importante di non fare errori è saper uscire dalle regole con classe, precisa ora Vic Vincent. Classe, cuore e coerenza: è l'arte di Ivano Fossati. Avanti, sempre avanti nella corrente. Come diceva Bob Marley, the future is the beginning. Il futuro, tutto questo futuro, è solo l'inizio.
Ivano Fossati
Tretrecinque
Einaudi
416 pp., 18,50 euro