Musica
April 20 2015
Partiamo subito dalla fine: il concerto di James Taylor a Roma è stato splendido. E’ anche difficile trovare le parole per esprimere la bellezza che è in grado di trasmettere dal vivo il grande cantautore americano senza risultare banali, retorici o eccessivamente celebrativi. Prenderemo in prestito i titoli di tre delle sue canzoni più famose per tracciare un primo bilancio del suo concerto, che ha entusiasmato i 2.700 spettatori dell’Auditorium Parco della Musica, pieno in ogni ordine di posto.
You’ve got a friend. Si contano sulle dita di una mano gli artisti che sono in grado di creare con il pubblico una tale empatia e un tale scambio emotivo da darti l’impressione di conoscerti di persona. James Taylor, con la sua umanità e con la sua signorilità, sembra parlare a ciascuno di noi, come un vecchio amico che, grazie alla sua saggezza, riesce sempre a darti il consiglio giusto senza che tu neanche glie lo chieda. Taylor guarda negli occhi uno ad uno i suoi spettatori, si mette sul loro stesso piano, la sincerità e la verità della sua musica abbattono i consueti steccati che dividono la star dai suoi fan. Un amico che magari non vedi da tanto tempo, ma a cui basta un solo sguardo per ritrovare l’antica complicità.
Handy man. Il titolo del brano che gli ha permesso di conquistare il suo secondo Grammy Award è il manifesto dell’umanità e della disponibilità del cantautore. In un mondo come quello del music biz in cui i capricci vengono fatti passare per carattere e le bizze sono all’ordine del giorno, James Taylor rappresenta una magnifica eccezione. Emblematico, in tal senso, ciò che è successo ieri alle 22, dopo aver terminato con Shower the people il primo set del concerto. Mentre i musicisti si affrettano a rientrare nei camerini per riposarsi, Taylor saluta il pubblico e si avvicina alla prima fila, dove alcuni fan più intraprendenti hanno portato i loro 33 giri per farli autografare. Quello che succederà, per 25 minuti consecutivi, ha dell’incredibile. Il cantautore si presta a firmare non solo i dischi, ma anche i biglietti degli spettatori e si concede tranquillamente a ogni richiesta dei famigerati selfie. Alle 22.25 i musicisti e i coristi ritornano sul palco, stupiti anche loro per la scena. James continua a firmare autografi con ammirevole disponibilità, anche quando la band inizia a suonare. Dopo una manciata di minuti, imbraccia di nuovo la sua fedele sei corde e attacca come se nulla fosse Stretch of the highways. Il pubblico è ormai in visibilio.
Walking man. Taylor ha un repertorio tra i più memorabili della musica leggera, categoria che non rende giustizia alla profondità dei suoi testi, eppure è un artista in continua evoluzione, un uomo in movimento. Invece di riposarsi sugli allori e fare come molti suoi colleghi che nei tour si limitano a riproporre il Greatest Hits senza troppe variazioni rispetto alle versioni originali, Taylor ama intraprendere nuove strade e rischiare in prima persona con la pubblicazione di nuova musica, senza temere gli inevitabili paragoni con i capolavori degli anni Sessanta e Settanta. Il brano inedito che ha proposto ieri a Roma, You and I again, è una perla che non sfigura accanto alle sue iconiche ballad e che non fa altro che aumentare l’attesa per il 16 giugno, data di pubblicazione di Before the storm, primo album di inediti dopo un silenzio discografico di 13 anni, che vanterà ospiti illustri come Sting e il violoncellista Yo-Yo Ma. Nel 2015, in cui il pop usa e getta, l’elettronica discotecara e l’hip hop senz’anima dominano le classifiche, c’è disperatamente bisogno di un artista del suo calibro.
La recensione potrebbe anche fermarsi qui. C’è ancora, però, da sottolineare l’incredibile compattezza della band, una all star con Steve Gadd alla batteria, Larry Goldings alle tastiere, Michael Landau alla chitarra e Jimmy Johnson al basso, che si mette a disposizione di Taylor per far brillare ancor più le sue canzoni.
Un plauso meritano i tre coristi Kate Markovitz, Andrea Zonn e Arnold McCuller per aver arricchito, in alcuni passaggi, la splendida voce del cantante, che non ha perso nulla nel corso degli anni ma che, anzi, ha acquistato ancora più espressività e calore.
La scaletta è stata perfetta, con tutti i successi di Taylor: Something in the way she moves(che ha ispirato Something dei Beatles), Country road, Carolina in my mind, Sweet baby James, Shower the people, Handyman, una trascinante Steamroller, Fire and rain, Walking man fino ai bis con How sweet it is(to be loved by you) e You’ve got a friend, che ha provocato numerosi occhi lucidi in platea.
Se proprio dobbiamo sforzarci di trovare una pecca(ed è veramente difficile)nel concerto di ieri, è mancata nella setlist la delicata Don’t let be lonely tonight. Nulla, rispetto alla meraviglia a cui abbiamo assistito per oltre due ore, al termine delle quali James ha salutato gli spettatori con il suo sorriso mite, togliendosi il cappello da vero gentleman.
Il cappello ce lo togliamo metaforicamente noi davanti a un artista che ha regalato emozioni, divertimento, empatia, disponibilità, allegria e bellezza. Di più non si poteva chiedere.