Se il virologo diventa ridicolo
Il problema non è fidarsi della scienza: quello l’abbiamo sempre fatto, lo facciamo e lo faremo. Il problema è continuare a pensare che i portavoce della scienza siano certi signori che per due minuti di celebrità sono disposti a coprirsi di ridicolo. Guardando l’ignobile siparietto canoro del trio Lescano della virologia ripetuto oggi nientepopodimenoche con Umberto Smaila (avessi detto Vasco Rossi), i sentimenti provati sono stati nell’ordine: incredulità, negazione, sconcerto, disagio, imbarazzo, paralisi, secchezza delle fauci. E non tanto, e non solo, per la scarsa qualità della performance del coretto Crisanti-Pregliasco-Bassetti. E non tanto, e non solo, per l’esondazione di vanità che impedisce ai Ricchi e Poveri della pandemia di capire che stanno mandando al macero la loro dignità.
Senza voler fare di una esibizione fantozziana uno scandalo nazionale, resta il fatto che l’ultimo da cui ti aspetti una pagliacciata simile è l’esperto che da mesi ti dice che devi fare la persona seria. Il luminare che ti impone cosa puoi fare e non puoi fare, quali parenti puoi vedere a Natale e in quali regioni puoi andare in vacanza. Da chi elargisce quotidianamente patenti di moralità pretendi perlomeno che il modello sia il giuramento di Ippocrate e non lo stornello di Orietta Berti.
Ma a stupire realmente, in fondo, è lo scopo ultimo della carnevalata musicale. E cioè il convincimento dei tre tenori in camice bianco che la canzoncina natalizia jingle bells riscritta in chiave vaccinale, possa giocare un ruolo nella gestione della pandemia. Questi geni dello zecchino pandemico, nell’impugnare il microfono come a Sanremo, pensano davvero di aver fatto un’azione meritoria. Anziché correre a nascondersi, vorrebbero che li ringraziassimo (e qualche sventurato li ringrazia davvero). Come se assistere ai penosi gorgheggi canterini di un medico possa persuadere il no vax alla puntura, o i dubbiosi alla terza dose. Ma per chi ci avete preso? Sono trucchetti che fallirebbero con un bambino di tre anni.
A pensarci bene, sta qui la vera tristezza. Il fatto che questi personaggi, dopo mesi di predicozzi, continuino a trattarci da bambini: “fate i bravi e salveremo il Natale”, “fate i bravi o vi rinchiuderemo a Capodanno”, “fate i bravi e tutto andrà bene”. Forse sarebbe il caso di pretendere, finalmente, di essere trattati da adulti, come ha detto ultimamente Nicola Porro: su tutto, sul green pass, sui tamponi, sui lockdown, sulle previsioni pandemiche. Meno allarmismo e più sobrietà. Meno canzuncelle e più discorsi maturi. Meno pagliacciate, e più serietà.
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