Musica
March 11 2015
Il 26 luglio 1963 un ancora semisconosciuto Bob Dylan salì sul palco del Newport Festival Foundation, il più importante raduno folk d’America, insieme a Joan Baez, allora sua compagna d’arte e di vita. Quella che allora era considerata come controcultura divenne nel giro di pochi mesi un culto di massa, con raduni sempre più oceanici per la rivendicazione dei diritti civili e per dire no alla guerra del Vietnam.
Bob e Joan, imbracciando con austera fierezza la chitarra, hanno dichiarato al mondo che la poesia non era solo quella che si leggeva sui libri, ma anche quella che giungeva attraverso la radio, e che la musica non doveva solo intrattenere, ma ispirare e guidare i comportamenti collettivi.
Roma, 10 marzo 2015. Mentre Joan Baez, con l’intatta voce da usignolo che ha incantato due generazioni, ha intonato il primo verso di Blowin’ in the wind, una delle vette più alte dell’arte dylaniana, per tre minuti il tempo è sembrato fermarsie i 2.700 spettatori della Sala Santa Cecilia dell’Auditorium sono stati proiettati indietro di 52 anni, quando ancora si pensava che la musica potesse cambiare il mondo.
Purtroppo così non è stato, anche se indubbiamente le canzoni dei due leggendari artisti americani hanno reso migliore la vita di tutti gli amanti della buona musica. La standing ovation finale ha confermato quanto ancora siano fresche e forti le canzoni di Joan Baez, settantaquattro anni portati splendidamente, piccola di corporatura quanto di enorme carisma, che ha regalato una performance maiuscola per quasi due ore, senza mai un calo di tensione o di intonazione.
Il primo sussulto della serata è quando l’icona dei movimenti pacifisti suona il primo accordo di Farewell, Angelina, la title track del suo album più fortunato, anno 1965.
Ogni canzone viene introdotta da una spiegazione in italiano sul significato di ciò che sta per cantare. Poche parole, semplici e dirette, che conquistano il pubblico, rendendolo partecipe di ciò che avviene sopra il palco.
Il boato della Sala Santa Cecilia accompagna le prime note di It’s all over, Baby Blue, una delle tante perle di Bringing It All Back Home di Bob Dylan, cantata con malinconica autorevolezza.
La Baez è molto legata al pubblico italiano, che omaggia con le riproposizioni di Un mondo d'amore e C'era un ragazzo che come me amava i Beatles e i Rolling Stones di Gianni Morandi, rese ancora più suggestive dal coro degli spettatori.
Joan alterna i brani solo voce e chitarra a quelli in cui viene accompagnata dai due eccellenti compagni di viaggio, il percussionista Gabriel Harris e il multistrumentista Dirk Powell.
Uno dei momenti più emozionanti del concerto è Swing Low, Swing Chariot, uno spiritual tradizionale americano che le ha permesso di mostrare tutta la sua estensione vocale, tanto più prodigiosa se si pensa alle sue 74 primavere.
La cantante ha dato prova di ecumenismo quando ha proposto una dopo l’altra la canzone ebraica Dona Dona e l’araba Jaria Hamouda, chiedendo al pubblico di accompagnarla nel coro.
Il concerto si chiude con la coinvolgente Gracias a la vida di Violeta Parra, ma è solo una breve pausa per il ricco bis.
Ecco, una dopo l'altra, l’eterna Imagine di John Lennon, la dolente Here's to you, Nicola and Bart, dedicata a Sacco e Vanzetti, le iconiche Blowin’ in the wind di Dylan e The Boxer di Simon & Garfunkel a suggellare una serata di grande musica e di passione civile.