Economia
November 07 2014
Se non fosse che, come afferma chi lo conosce bene, "non ha mai avuto paura di alcunché", il presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker dovrebbe iniziare a tremare. Lo scandalo Luxleaks, già considerato il maggiore in ambito finanziario dai tempi di Enron e Arthur Andersen, fa indignare i regolatori e impaurisce società e politici. E dato che il politico lussemburghese non è amato a Bruxelles, i risvolti potrebbero essere rilevanti.
Non frenerò le inchieste, lo troverei indecente
Il lavoro dell’International consortium of investigative journalism
Hanno lavorato per mesi, ricostruendo gli stratagemmi, ai limiti della legalità, con cui le maggiori imprese operanti in Europa hanno tratto giovamento dagli schemi fiscali garantiti dalla normativa lussemburghese. Un segreto di Pulcinella, dato che tutti sapevano tutto. Eppure, l’inchiesta portata avanti dall’International consortium of investigative journalism (Icij) è destinata a far sussultare sia il Granducato di Lussemburgo sia il vertice della Commissione Ue. Infatti, Juncker è il politico più importante del Paese, anche perché è stato il primo ministro dal 20 gennaio 1995 al 4 dicembre 2013. "Non poteva non sapere", già si mormora fra i corridoi della Commissione Ue, dove Juncker non è ben voluto. I maligni dicono che sia totalmente inaffidabile e che, soprattutto, abbia un vizio che poco si confà con il rigore richiesto dalla più alta istituzione europea: l’alcool. Che si tratti di dicerie o di realtà, poco importa ora.
Chi ha eluso cosa?
L’oggetto del contendere sono tutti quei casi di elusione fiscale contenuti nelle 28mila pagine del Luxleaks. Dentro ci sono gli schemi contabili con cui circa 340 società hanno potuto avere agevolazioni fiscali grazie alla semplice istituzione di una sussidiaria in Lussemburgo. Nessuno è esente dal modello, che appare consolidato. Apple, Amazon, Burberry, Deutsche Bank, Gazprom, FedEx, Heinz, Ikea, J.P. Morgan, Procter & Gamble, Verizon sono alcune delle imprese la cui ragione sociale appare nei file di Luxleaks. E con loro ci sono anche diverse italiane, fra cui Banca Sella, Banca Marche, Fiat, Finmeccanica, Intesa Sanpaolo e UniCredit. Del resto, secondo la disciplina del Lussemburgo, ciò che facevano era del tutto corretto. Quasi tutte operazioni condotte insieme con PricewaterhouseCoopers, una delle principali società globali di audit e revisione contabile.
La posizione del Granducato
Dal Granducato i funzionari governativi si dicono tranquilli. "Tutto è stato fatto alla luce del sole e noi abbiamo fornito qualsiasi informazione alle autorità, anche perché non c’è nulla da nascondere", spiega un consigliere diplomatico lussemburghese. Anche Juncker si dice sereno. "So che ci sarà un’indagine della Commissione europea, e non vedo perché sia una cosa negativa. Io collaborerò e di certo non intralcerò le investigazioni. Non frenerò le inchieste, lo troverei indecente", ha detto di primo acchito. Pure per il ministro italiano dell’Economia, Pier Carlo Padoan, il presidente di Palazzo Berlaymont non deve preoccuparsi. A chi chiedeva se Juncker dovesse iniziare a tremare, Padoan ha risposto senza mezzi termini: “Penso assolutamente di no, io interpreto questo fatto come il risultato di un clima in cui c'è molta più trasparenza, come dimostrano le decisioni prese con l'adozione dello scambio automatico di informazioni”. Eppure, la poltrona del lussemburghese scotta sempre di più.
I timori di Juncker
In primis, perché Juncker è sempre più ai ferri corti con il premier britannico David Cameron. In primis perché Cameron aveva iniziato una battaglia contro la nomina di Juncker a capo della Commissione in tempi non sospetti. Colpa di quel meccanismo di nomina più simile alla cooptazione rispetto a una elezione vera e propria. Infatti, come numero uno del Partito popolare europeo (Ppe), Juncker era il candidato di punta in caso di una vittoria del partito Ue di centrodestra alle elezioni del 25 maggio scorso. In barba alla meritocrazia desiderata da Cameron. Ma poi, c’è l’inasprimento dei rapporti fra Londra e Bruxelles, che recrimina alla capitale del Regno Unito di essere poco equilibrata sulle aliquote fiscali. Londra ha risposto che l’Europa dovrebbe guardare a ciò che accade dentro i suoi confini, dove l’elusione è quasi la norma e non l’eccezione. Il caso Luxleaks pare confermarlo.
Bisogna andare fino in fondo per capire di chi è la colpa
Il futuro
L’impressione degli addetti ai lavori è che difficilmente Juncker sarà scalfito dalle indagini interne della Commissione. Eppure, si corre il rischio che all’esterno, quindi verso gli investitori internazionali, avvenga una ulteriore perdita di credibilità di un’istituzione, la Commissione europea, che già ne ha poca. La trasparenza che Juncker aveva promesso al momento della sua incoronazione come presidente di Palazzo Berlaymont è messa a dura prova. E non è detto che la superi.