Calcio
October 28 2021
Meno 13 rispetto alla sua ultima Juventus, quella che a primavera venne cacciata dall'Ajax e portò poi alla separazione per giusta causa. Meno 10 su Maurizio Sarri, considerato un oggetto misterioso finito per sbaglio nella storia juventina, e addirittura meno 5 rispetto ad Andrea Pirlo, alla guida della peggiore Juve (fin qui) dell'ultimo decennio. Massimiliano Allegri sapeva di avere a che fare con un lavoro duro e, forse, non subito produttivo ma certamente non immaginava che sarebbe stato così complicato rimettere gli ex invincibili e campioni d'Italia seriali in linea di galleggiamento.
Un risveglio duro anche per chi, scegliendo di riportarlo alla Continassa con contratto blindato fino al 2025 e stipendio da top in Europa (7 milioni più bonus) considerava di avergli dato le chiavi in mano per riavviare il motore. Cifre che adesso pesano come un macigno, perché è impossibile accettare che il tecnico più pagato della Serie A, alla guida della squadra più costosa del campionato, possa serenamente avere come obiettivo solo quello di vivere una stagione di transizione.
La sconfitta interna con il Sassuolo certifica l'addio prematuro alla lotta scudetto. E' vero che nel 2015, proprio contro il Sassuolo e proprio alla 10° giornata, Allegri aveva toccato il punto più basso per poi risalire ma la qualità di quella squadra non è nemmeno comparabile con la qualità della rosa attuale e i segnali di una possibile rimonta non si vedono. Non è solo un problema tecnico o tattico, è questione anche di spessore caratteriale che sembra mancare al di là dei pochi leader rimasti in gruppo dopo l'addio per raggiunti limiti d'età della vecchia guardia e la partenza di Ronaldo che almeno copriva i problemi con i suoi gol.
La Juventus è male assortita, lo si dice da questa estate e la conferma del campo è stata impietosa. Ha un centrocampo inferiore a quello delle presunte concorrenti per il titolo, a partire dall'Inter ma coinvolgendo anche Milan e Napoli. Manca un regista vero, quello chiesto da Allegri per tutto il corso del mercato e che alla fine non è arrivato perché mancavano i presupposti economici per chiudere l'operazione. Ci sono giocatori dalla difficile collocazione tattica (Kulusevski e Chiesa ad esempio) e altri che non fanno la differenza (Morata). Chi trascina la squadra gioca quasi sempre e poi paga in termini di continuità e brillantezza considerato il ripetersi degli impegni.
Basta questa lettura per capire che le colpe di Allegri esistono - anche lui ci sta mettendo del suo nel faticare a trovare un undici di riferimento - ma sono inferiori a quelle di chi lo ha preceduto. Non Sarri e Pirlo, a loro volta in parte vittime della situazione, bensì di una serie di stagioni in cui le scelte sul mercato sono state costosissime e poco logiche. Oggi spesso la panchina della Juventus vale sulla carta più della squadra titolare: Chiesa e Kulusevski insieme sono colpi da 100 milioni di euro, il primo si è perso mentre il secondo è a tratti il migliore ma poco funzionale al calcio di Allegri. Su Arthur e sul suo rendimento meglio soprassedere: è arrivato a Torino strapagato per completare un'operazione utile al bilancio e per questo è inamovibile, non potendo disconoscere un'affare da 80 milioni imbastendone un altro in dodici mesi.
La crisi pandemica ha complicato il mestiere ad Agnelli e Cherubini, dopo la cacciata di Paratici. Tutto vero, però Agnelli e Nedved c'erano anche prima e hanno avallato, ad esempio, la politica delle plusvalenze stressate al massimo (167 milioni nel 2020) che si sono rivelate poi catene sulle possibilità di muoversi dopo. Il risultato è che oggi la Juventus rimane un elefante con costi altissimi, anche se ridotti dopo l'addio di CR7, rigidità ineliminabili nel breve periodo e di conseguenza poche possibilità di intervento laddove le mancanze sono evidenti.
Le colpe degli altri sono maggiori delle colpe di Allegri, impegnato a ricostruire dalla base lo spirito juventino se è vero che anche a livello di disciplina e gestione del gruppo molto era stato disperso in due anni di rivoluzione andata male. Pensare allo scudetto in queste condizioni sarebbe un peccato di superbia. La prospettiva è un posto nella prossima Champions League senza il quale anche il maxi aumento di capitale da 400 milioni di euro rischia di trasformarsi in un pannicello caldo.