Calciomercato
September 15 2020
Paul Pogba è stato il primo e da lì la Juventus ha cambiato modo di fare. La prima maxi plusvalenza, estate 2016, con contorno di polemiche sul prezzo e sul trattamento riservato al potente agente del centrocampista francese, Mino Raiola. Tutto lecito, come dentro le regole Uefa e di economia è la strada che ha preso il club bianconero per supportare il tentativo di diventare in fretta una big del calcio europeo come giro d'affari, riducendo il gap aperto con Real Madrid, Barcellona e le corazzate inglesi. Un cambio di marcia che ha spinto i bianconeri ha mettere insieme da quel giorno la bellezza di 526,9 milioni di euro di plusvalenze. Quasi un quarto dei 2,2 miliardi di fatturato complessivo del periodo 2016-2020 con il record nella stagione appena conclusa, quella della pandemia e della crisi che ha colpito tutto il calcio e che sta mettendo a dura prova i bilanci delle società.
La premessa è che non è stata solo la Juventus a scegliere questa strada. Nello stesso periodo di tempo, ad esempio, anche il peso delle plusvalenze sui ricavi della Serie A si è avvicinato alla soglia del 25% e ci hanno fatto ricorso in maniera massiccia anche le grandi. Un po' per tenere dietro ai rigidi paletti del Fair Play finanziario, molto per avere denaro fresco da reinvestire in conti economici altrimenti destinati all'asfissia visto il crescente impatto degli stipendi e del costo dei cartellini. Nell'ultimo bilancio Juventus il peso sale al 29% con 166 milioni su 573: un record.
Il caso della Juventus, però, fa scuola perché il cambio di strategia dall'estate 2016 è stato chiaro e netto. Per intenderci, nel quadriennio precedente (2012-2016) le plusvalenze erano state in tutto di 74 milioni di euro e avevano coperto solo i 5,5% del giro d'affari complessivo. Anni in cui il club di Andrea Agnelli aveva iniziato la sua striscia vincente in Italia, stava crescendo per fatturato - passato dai 172 milioni dell'ultima stagione pre-scudetto ai 387 di quella che portò all'estate della cessione di Pogba -, ma si misurava anche con un contesto italiano in grande ritardo rispetto al resto d'Europa.
La progressione alla voce plusvalenze è stata violenta, così come quella del fatturato arrivato a toccare i 621 milioni nel 2019 prima di ripiegare causa pandemia e anche per colpa dei cammini in Champions League non all'altezza delle aspettative. I bianconeri hanno usato il calciomercato come leva per sostenere la crescita insieme al ricorso all'indebitamento e a investimenti sulla rosa (Ronaldo su tutti) fatti anche allo scopo di dare appeal commerciale al marchio. Magari sacrificando qualcosa alla progettualità tecnica, ma dando a Marotta e Paratici i fondi necessari per alzare l'asticella il cui parametro di riferimento è il costo sostenuto per stipendiare i tesserati della società: erano 197 milioni nel 2015, sono diventati 301 nel 2019 e sarebbero cresciuti ancora senza gli accordi della primavera Covid che hanno sterilizzato parte delle spese in un'annata di forte tensione economica per il calcio. E per spingere la crescita anche la proprietà ha messo mano a un aumento di capitale da 300 milioni.
La domanda è: questo modello di business può garantire sopravvivenza a tutto il sistema? Quando sta accadendo nei mesi del post lockdown indica che c'è una componente di rischio notevole. Quella delle plusvalenze è una bolla che si alimenta dell'aumento del valore dei cartellini, stagione dopo stagione, perché garantisce così di poter finanziare con nuove operazioni i costi di quelle precedenti che appesantiscono i conti economici alla voce ammortamenti. Se viene a mancare la spinta della crescita, tutto il sistema rischia di crollare. E' uno degli allarmi scattati in un calciomercato fermo, senza soldi veri in circolo e con le società impegnate a cercare di vendere o almeno smaltire gli esuberi. L'impressione è che sarà difficile invertire la tendenza in fretta. Chi si è abituato a fare delle plusvalenze una fonte quasi fissa di ricavo dovrà fare i conti con questo problema. Attenzione: riguarda soprattutto la Serie A, in parte la Liga e in generale i mercato in cui le voci strutturali (a partire dagli stadi) sono in forte ritardo.