Kamala Harris inizia a essere nervosa

Manca ormai meno di un mese al voto. E Kamala Harris non può permettersi di dormire sonni tranquilli. Lo sappiamo: a prima vista, questa potrebbe sembrare un’affermazione strana. In fin dei conti, da quando è scesa in campo, la vicepresidente ha raccolto circa un miliardo di dollari in finanziamenti (più del doppio di quanto rastrellato da Donald Trump nello stesso arco temporale). Tuttavia, a una tale potenza di fuoco economica non sembra corrispondere una candidatura effettivamente solida.

Secondo il modello predittivo di The Hill, la vicepresidente ha oggi il 51% delle chances di vincere le elezioni: si tratta di un calo di cinque punti rispetto alla fine di settembre. Un quadro preoccupante per la Harris emerge anche dalla media sondaggistica di Real Clear Politics: a livello nazionale, la vicepresidente è in vantaggio di appena l’1,8%: Joe Biden, al 12 ottobre 2020, era avanti di dieci punti, mentre Hillary Clinton, quattro anni prima, di sei.

La situazione non migliora per quanto riguarda gli Stati chiave. Secondo un sondaggio Emerson di pochi giorni fa, Trump sarebbe leggermente in testa in Arizona, Georgia, North Carolina e Pennsylvania: quattro Stati che, se il tycoon riuscisse realmente a conquistare, lo porterebbero diritto alla Casa Bianca. Quattro Stati in cui, anche secondo la media di Real Clear Politics,il candidato repubblicano risulterebbe, al momento, lievemente in vantaggio.

E poi ci sono i segmenti elettorali cruciali. Anche qui la Harris dà segnali di difficoltà. Secondo Newsweek, la candidata dem ha il 56% del voto ispanico: tre punti in meno, cioè, rispetto a Biden nel 2020. Dall’altra parte, il Siena College ha rilevato che la vicepresidente è al 78% con il consenso afroamericano, mentre Biden, quattro anni fa, era al 90%. Lo stesso Barack Obama, durante un recente evento elettorale in Pennsylvania, ha ammesso di non vedere lo stesso entusiasmo da parte dell’elettorato maschile afroamericano che si registrò in occasione della sua campagna del 2008. Un problema, questo, che, oltre alla Pennsylvania, riguarda, secondo Politico, anche il Michigan. È chiaro come tali margini ridotti rappresentino un campanello d’allarme inquietante per la Harris, soprattutto in quegli Stati chiave che appaiono maggiormente in bilico.

Senza dubbio, la vicepresidente è forte nel voto femminile, rispetto a cui, secondo Emerson, è avanti a Trump in Georgia, Michigan, Nevada, Wisconsin, Pennsylvania e North Carolina. Il tycoon, di contro, è in testa con questo elettorato soltanto in uno degli Stati chiave, l’Arizona. Dall’altra parte, la Harris è però in notevole difficoltà con il voto maschile. Un elettorato, questo, rispetto a cui, stando al Siena College, il tycoon è avanti di undici punti a livello nazionale.

Sia chiaro: la corsa resta apertissima. Ma le difficoltà della Harris sono oggettive. Il che stride evidentemente con un certo coro mediatico che, soprattutto ad agosto, la considerava già come la candidata vincente. Insomma, che cosa è successo? È successo che senza dubbio la sua discesa in campo a luglio ha acceso l’entusiasmo in alcuni elettori che non erano affatto elettrizzati da Biden. Il problema è che, visto il sistema elettorale vigente negli Stati Uniti, non basta mobilitare elettori in generale: bisogna mobilitare i segmenti cruciali dell’elettorato, quelli cioè che possono garantirti la vittoria negli Stati chiave.

Ecco, la Harris ha mobilitato, sì, ma probabilmente non quei raggruppamenti elettorali che potrebbero rivelarsi decisivi a novembre. La vicepresidente è in notevole difficoltà nella Rust Belt perché ha dei problemi sia con l’elettorato operaio sia con quello cattolico: due fasce elettorali, queste, rispetto a cui storicamente Biden era più forte. D’altronde, lo abbiamo visto, la vicepresidente arranca anche nel voto delle minoranze etniche. Chiaramente un candidato debole non è necessariamente un candidato perdente. Tuttavia resta il fatto che la Harris è stata un po’ troppo velocemente celebrata come più competitiva di Biden. Le prossime settimane ovviamente saranno cruciali. E tante cose potrebbero ancora avvenire. Ma, a ormai meno di un mese dal voto, la vicepresidente sta diventando sempre più nervosa.

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