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July 17 2013
"Un uomo che rappresenta un esempio morale da seguire". Parole pronunciate da Barack Obama, anzi trasmesse tramite un portavoce dei senatori Democratici, in occasione del forum per un mondo libero dalle armi nucleari che si è tenuto nel 2011 ad Astana, capitale del Kazakhstan.
Il presidente Usa però non si riferiva al Dalai Lama o a qualche altro Nobel per la pace, ma - attraverso il suo emissario - s'inchinava metaforicamente davanti al sultano dei kazaki, Nursultan Nazarbaev. Fa effetto rileggerle oggi alla luce del caso Shalabayeva , ma tant'è.
Per carità, tutto legittimo di fronte a un Paese che ancora mostra sulla sua pelle le tragiche ferite degli esperimenti atomici dell'epoca sovietica e che per primo ha smantellato le sue aree nuclearizzate. Ma è pur vero che per definire Nazarbaev un "esempio morale" bisogna avere una spiccata fantasia.
Atterrare ad Astana, la capitale del Kazakhstan, è un po’ come arrivare a Las Vegas, ma ci si diverte molto meno. La capitale del Kazakhstan è una città giocattolo, ma è molto lontana dall'essere il paese dei balocchi. Spicca come nella sigla di CSI una piramide egizia costruita dall’archi-star Norman Foster.
Attorno è tutto un luccichio di oro e di specchi che ricopre i palazzi e che trionfa nell’auditorium più imponente del mondo, realizzato dall’italianissimo Manfredi Nicoletti (un'opera colossale costata circa 200 milioni di euro) proprio di fronte alla residenza di Nursultan Nazarbaev, in carica dal 1991. Il presidente più longevo che il Kazakhstan abbia mai avuto. Lo sfarzo accecante fa immaginare notti di delizie tartare in location Bollywoodiane, ma è solo un'illusione.
Il Kazakhstan è il nono Paese più grande del mondo. Le sue terre superano quelle dell’Europa occidentale e arrivano fino alle propaggini delle steppe della Mongolia e alle foreste della Siberia. Ma la sua popolazione è di soli 16 milioni di abitanti, che vivono sopra immensi giacimenti di risorse naturali. Giacimenti che, manco a dirlo, fanno gola ai colossi dell’energia di tutto il mondo, a cominciare dai russi della Gazprom, e poi in fila ci sono americani, cinesi, olandesi, francesi, britannici e italiani.
In campo in prima linea c’è anche la nostra Eni, che già dal 1992 aveva avviato relazioni con Astana e ora può contare su una grossa fetta del giacimento di Kashagan, ritenuto la più grande scoperta petrolifera dell’ultimo trentennio.
Il giacimento è stato individuato nel 2000 e si stima che le sue viscere contengano riserve commerciali tra i 9 e i 16 miliardi di barili di petrolio. Il progetto del campo petrolifero è stato sviluppato da un consorzio internazionale, con un'alleanza chiamata North Caspian Sea Production Sharing Agreement, formata da 7 compagnie: l'italiana Eni (16,81%), la Shell (16,81%), la Total (16,81%), ExxonMobil (16,81%), KazMunayGas (16,81%), ConocoPhillips (8,4%) e Inpex (7,56%).
Ai primi di luglio gli americani della ConocoPhillips hanno venduto la maggioranza delle loro quote al governo kazako per un "obolo" di 5 miliardi di dollari, dopo avere illuso gli indiani di poter mettere le mani su una risorsa energetica così preziosa per Delhi.
Ma, molto probabilmente, il presidente Barack Obama nell'additare Nursultan Nazarbaev come un "esempio morale" da seguire ha dimenticato la repressione nel sangue delle recenti manifestazioni di protesta degli operai del giacimento di Zhanaozen, che chiedevano un aumento dei salari, ridotti ai minimi termini. I morti (almeno quelli ufficiali) sono stati 17. Eppure Obama, e con lui il mondo intero, ha fatto finta di non accorgersene.
Tutta questa storia, fatta di idrocarburi e contratti miliardari, si svolge però nelle viscere del Kazakhstan, ma in superficie la realtà non è affatto scintillante, nonostante la chimera delle architetture ardite di Astana. Appena si lascia la capitale si dimenticano in fretta i suoi fasti, pervicacemente voluti dal presidente, e ci si inoltra in una terra brulla, dove le strade sembrano tracciate con la punta di un dito. Pochissime infrastrutture, e villaggi che hanno ancora il sapore degli antichi yurta dei nomadi.
Gente della steppa mentre ci si muove verso Est, dove i sovietici per cinquanta anni hanno sperimentato le loro scoperte nucleari. A Kurchatov, villaggio fondato in onore dell’inventore dell’atomica sovietica, un piccolo museo degli orrori ricorda cosa sono stati i test nucleari che i sovietici hanno fatto qui, in questa terra immensa, desertica e montagnosa, sin dall’epoca di Stalin.
Foto del dittatore sorridente con al fianco Laurentij Beria, il feroce direttore del Kgb, si alternano ai poveri resti di cani, mucche e pecore, immolati alla causa della ricerca nucleare. Ma gli animali non sono stati gli unici a patire la corsa al nucleare della Guerra Fredda. Gli esseri umani hanno pagato un prezzo altissimo per i muscoli che Mosca voleva mostrare a Washington. Prezzo che continuano a pagare anche oggi, con i loro malati e i bambini nati deformi.
Sono centinaia i sopravvissuti. Racchiusi in centri per gli anziani. Nell’area di Semipalatinsk (definita Ground Zero) sono stati effettuati più di 500 test atomici. È un luogo che sembra uscito direttamente da un film dell’orrore. Un vento tetro e un silenzio senza interruzioni. Assenza assoluta di vita. Poco distante un lago fluorescente, unica nota di colore. Ma nelle sue acque non ci sono pesci, bensì mostruosi animali partoriti dalle mutazioni genetiche. E sì, perché quel lago è il frutto di una delle tante esplosioni atomiche. Secondo gli scienziati ci vorranno milioni di anni perché l’effetto delle radiazioni svanisca da Semipalatinsk.
E, proprio su questo, il presidente Nazarbaev gioca la sua carta vincente in casa e fuori. La sua prima decisione subito dopo l’indipendenza fu quella di chiudere il sito di Semipalatinsk e aiutare i sopravvissuti e i loro figli con un forte sostegno finanziario e centri medici allestiti grazie alla cooperazione internazionale. All’estero, invece, Nazarbayev si è fatto paladino di un mondo privo di armi nucleari, organizzando il forum del 2011 al quale hanno partecipato delegati di più di 400 Paesi del mondo. Un incontro che ha sancito il suo trionfo politico sulla scena internazionale.
Quando il presidente americano Barack Obama invia un messaggio ufficiale in cui ti addita come un “esempio morale” non si può che gongolare. E che importa se questo “esempio morale” ha sulla coscienza centinaia di morti e il pugno di ferro senza alcuna pietà nei confronti dei dissidenti politici. Tutto questo viene agevolmente messo come polvere sotto il tappeto del festival internazionale del cinemadi Almaty, dove Sigourney Weaver, Gerard Depardieu e Catherine Deneuve fanno i grand commis, dando lustro alla corte del sultano Nazarbayev.
E il sultano gongola eccome. Le ultime elezioni se le è aggiudicate, ça va sans dire, con il 95% dei voti, e ora il padre padrone del Kazakhstan sogna di lasciare tutto nelle mani di Dariga, la figlia prediletta che ha battuto le due sorelle nella corsa al trono di Astana. Lei, intanto, ha già in mano tutte le telecomunicazioni e il core business del Paese, tanto per allenarsi a prendere lo scettro paterno quando verrà il momento. Come nelle migliori dittature, travestite da democrazie.