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(Ansa)
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Jfk 60 anni dopo, Monda: «La presidenza Kennedy rimane una grande incompiuta»

La storia ha corso all’impazzata da quel 22 novembre del 1963 quando John Fitzgerald Kennedy, 35° presidente degli Stati Uniti d’America e primo cattolico a giungere sul gradino più alto della politica statunitense, venne ucciso a Dallas trascinando con sé certezze d’argilla e interrogativi d’acciaio. Oggi, come sottolinea Antonio Monda, scrittore e docente alla New York University, «la vicenda umana e politica di John Fitzgerald Kennedy continuano a non sovrapporsi: un grande uomo dal destino politico tragicamente incompiuto».

Ricorre oggi il sessantesimo anniversario dell’omicidio di John Fitzgerald Kennedy, il presidente degli Stati Uniti d’America ucciso da colpi di fucile mentre si trovava a Dallas in visita ufficiale. A bordo di una Lincoln Continental blu navy, con accanto la moglie Jacqueline, il governatore del Texas John Connally e sua moglie Nellie, Kennedy venne raggiunto da tre colpi esplosi da Lee Oswald tramite un moschetto Carcano, fabbricato a Terni nel 1940. Al netto di decine di inchieste e interrogativi ancora senza risposte, di enigmi irrisolti (e forse irrisolvibili…), quei proiettili non uccisero soltanto il più osannato presidente della storia degli Stati Uniti, ma infersero un terribile colpo al cuore di quella grande democrazia occidentale, gettando il mondo intero nello sconforto. Per la Commissione Warren istituita appena sette giorni dopo dal presidente Lyndon Johnson -passato alla storia per quel suo giuramento avvenuto a bordo dell’aereo presidenziale che stava riportando a Washington proprio con il corpo di Kennedy, alla presenza della vedova Jackie Kennedy e del giudice federale Sarah Hughes- l’unico colpevole fu Lee Harvey Oswald: aveva sparato al presidente e venne a sua volta ucciso appena due giorni dopo da Jack Ruby, oscuro criminale vicino alla mafia di Chicago. Oswald venne subito descritto come soggetto “disturbato” dal “bisogno di guadagnarsi un posto nella storia”, e la sentenza che lo riconobbe colpevole spazzò via qualunque ipotesi di complotto organizzato dalle potenze nemiche degli Usa.
Oggi, sessant’anni esatti dopo, i dubbi restano impressi nella coscienza collettiva che si è sempre interrogata se le cose fossero andate realmente in quel modo. Ecco perché i depistaggi, i retroscena e gli insabbiamenti non si contano più.
Intanto i fantasmi del passato riemergono: Paul Landis che lavorava nella scorta di Kennedy il giorno dell’attentato ha deciso di rompere il silenzio qualche giorno addietro, con un libro, The Final Witness (Il testimone finale).

Un libro clamoroso

Paul Landis, era nella scorta del presidente Kennedy quando venne ucciso a Dallas: dopo sessant’anni esatti esce allo scoperto su quanto accadde nell’assolata Dealey Plaza di dallas, in Texas, contribuendo a gettare ombre su ombre di uno degli enigmi della storia contemporanea. “The Final Witness” è stato pubblicato lo scorso 23 ottobre e appare opporsi alla storica teoria della Commissione Warren: uno dei proiettili esplosi all’indirizzo dell’auto presidenziale avrebbe colpito non solo il presidente ma anche il corpo del governatore del Texas John B. Connally Jr. La sua teoria sarebbe avvalorata dal ritrovamento del proiettile sotto inchiesta addirittura adagiato sulla barella su cui era stato adagiato Connally al Parkland Memorial Hospital, ingenerando quindi l’idea che lo stesso fosse stato estratto proprio dal corpo del governatore. Il mistero si infittisce anche per la circostanza che Landis stesso non sia stato mai sentito dalla commissione Warren: quel proiettile, trovato da Landis nella limousine presidenziale, sarebbe dallo stesso stato preso in custodia per evitare che cadesse in mani pericolose e portato con sé in ospedale, dove lo avrebbe sistemato vicino al corpo di Kennedy: pensava, forse, che quel “corpo del reato” avrebbe aiutato tutti, medici e investigatori, a far luce sull’accaduto. Evidentemente sbagliandosi. Ma che idea si sarebbe fatto Landis in quegli istanti? Egli sostiene da sempre -come riporta ora il libro- che le due barelle con i due corpi -quello di Kennedy e quello del governatore Conally- fossero state appaiate, con il proiettile passato dalla barella del presidente a quella del governatore. Nel libro Landis spiega la sua, aggiungendo mistero a questi sessant’anni: “Non c’era nessuno a mettere al sicuro la scena. Tutti gli agenti erano concentrati sul presidente. Temevo che un pezzo importante di prove potesse sparire e così l'ho preso”.

Panorama.it ha dialogato con Antonio Monda, in questi giorni in trasferta a Parigi con le sue “Conversazioni”: scrittore, docente universitario, è un profondo conoscitore della società americana contemporanea, sulla quale il Mito-Kennedy continua a pesare.

Professore, sessant’anni fa, a Dallas, veniva ucciso il simbolo della “Nuova Frontiera”…

«Kennedy e la sua presidenza sono state, purtroppo, una grande incompiuta perché quanto ci è stato restituito dalla Storia in questi sessant’anni sembra scorrere su due piani paralleli che mai hanno perfettamente combaciato. E mi spiego: un’immagine in superficie molto glamour, splendente, perennemente sotto i riflettori della stampa americana, con il giovane Kennedy nella sua veste di brillante oratore, un bellissimo uomo sempre circondato da intellettuali di primissimo livello».

Dalla Cortina di ferro alla contrapposizione con l’URSS, dalla crisi dei missili di Cuba al Vietnam. Kennedy ha lasciato tracce indelebili…

«Certo, parliamo proprio del secondo piano parallelo, ovvero quello politico. Ma se scendiamo nella carne viva di questa seconda dimensione, ci accorgiamo facilmente come le delusioni non siano certo mancate, come dimostrato dalla vicenda della Baia dei Porci».

Si parla di Mito-Kennedy, della Corte di Camelot. E allora?

«E’stata la morte prematura del simbolo del sogno americano, ucciso ad appena 46 anni, ad alimentare il Mito: ma se oggi mi viene chiesto un giudizio politico complessivo, avrei difficoltà a far combaciare quei due piani di cui parlavo. Il giudizio non è esaltante: lo è stata più l’immagine».

La cronaca giudiziaria ha inchiodato Lee Harvey Oswald alle proprie responsabilità. Ma i dubbi restano.

«I dubbi restano, certo, anche a voler dare ascolto ai milioni di pagine scritte sulla sua uccisione. Personalmente sono del parere che la Commissione Warren abbia ben inquadrato la morte del presidente. Certo, le stranezze sono ancora molte, ma le tante teorie del complotto sono tutte più fantasiose e piene di dubbi di quanto abbia concluso la Commissione».

Kennedy era circondato da numerosi amici, ma anche i nemici non è che mancassero, in ogni parte del mondo. Alla fine parrebbe essere stato ucciso da un ex marine mentalmente instabile.

«Continuo a pensare che sia l’ipotesi più verosimile: Oswald era un ex marine con un passato poco chiaro e su cui pesava la sua instabilità mentale. Se quell’ipotesi ha retto al peso della storia una ragione deve pur esserci».

C’è un libro, scritto da una delle guardie del corpo del presidente, che sta facendo parlare di sè…

«Non l’ho letto, ma se i misteri aumentano, perché non rimanere alle certezze della Commissione Warren?».

Intanto Robert Kennedy Jr, 69enne figlio di Bob e nipote del presidente John, ha annunciato che correrà per la Casa Bianca come indipendente.

«Rispondo facendo mie le parole che usò Theodore Roosevelt, 26° presidente, dal 1901 al 1909, del suo lontano cugino Franklin Delano Roosevelt, successivamente 32° presidente dal 1933 al 1945, sbagliando: “è un Roosevelt andato a male”. A me viene da dire “è un Kennedy andato a male”».

Lei vive da trent’anni in America: Kennedy, la politica, le presidenziali del 2024…

«Le prossime presidenziali sono totalmente incerte: non credo che il giovane Kennedy abbia delle chances, è tutto aperto. Potremmo ritrovarci Trump alla guida degli Stati Uniti, o vedere Biden in sella per un secondo mandato. Così come potrebbe persino prevalere Nikki Haley, ex governatrice della Carolina del Sud e Ambasciatrice degli USA alle Nazioni Unite durante l'amministrazione Trump: la 51enne, repubblicana moderata, mi sembra cavalcare i favori del presente, soprattutto per quella sua “mission” di svecchiare il Partito repubblicano. Ovviamente riferendosi a Trump…».

E Kennedy, sessant’anni dopo?

«Di Kennedy rimane il Mito, ovviamente».

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Antonio Monda, nato a Velletri nel 1962, giornalista, narratore, saggista e docente universitario presso il Film and Television Department della New York University, è uno dei più autorevoli conoscitori della letteratura americana contemporanea. E della società a stelle e strisce. Collabora a Repubblica, Vogue e RAINews 24, dove tiene la rubrica “Central Park West”. Vive a New York dal 1994 con la moglie giamaicana, Jacqueline Greaves, e i figli Ignazio, Caterina e Marilù. Nel febbraio del 2015 è stato nominato direttore artistico della Festa del Cinema di Roma che ha guidato sino all’edizione del 2021: ha condotto per il TG5 la trasmissione di approfondimento televisivo Lettera da New York. Vincitore, tra gli altri, del Premio Cortina d’Ampezzo e del Premio Biagio Agnes, il 3 giugno del 2019 il Presidente della Repubblica Italiana Sergio Mattarella lo ha insignito dell’onorificenza di Ufficiale al Merito della Repubblica. Sta lavorando al nuovo romanzo il decimo della saga newyorkese.

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