Lifestyle
March 16 2016
Adinolfi contro Kung Fu Panda: "Volete capire come si fa il lavaggio del cervello gender ai bambini? Per esempio con il protagonista di Kung Fu Panda che ha due papà".
La vicenda
Così tuona su Facebook il direttore del quotidiano La Croce e candidato a sindaco di Roma per il Partito della Famiglia (che poi è sempre un meraviglioso paradosso il fatto che gli alfieri della “famiglia tradizionale” siano spesso personaggi che contravvengono agli stessi principi che vorrebbero imporre agli altri, visto che Adinolfi è divorziato come Pierferdinando Casini e Giorgia Meloni è in dolce attesa senza essere sposata…).
A rispondergli, fra gli altri, in diretta su Radio DeeJay, Fabio Volo, conduttore de Il Volo del Mattino e doppiatore del pandesco protagonista del cartone, che pungola Adinolfi sottolineando come non solo il goffo panda del cartone animato, ma anche Gesù abbia avuto due padri (uno "biologico" e l’altro adottivo).
Orgia Cartoon
Non serve scomodare il Vangelo per “mettere in croce” Adinolfi.
Basta essere stati bambini (o adulti) “normali”.
Chi è la mamma di Qui Quo e Qua?
E il padre di Tip e Tap?
Che relazione c’è tra Ciccio e Nonna Papera?
Leggere Topolino non ci ha fatto diventare tutti gay, mi pare.
D’altra parte, nelle grandi storie capaci di appassionare i più piccoli (ma anche i più grandi) non è così scontato che la famiglia tradizionale vinca su quella atipica: da Marcellino pane e vino cresciuto dai frati, a Mowgli cresciuto dai lupi, passando per Tarzan cresciuto dalle scimmie, Cenerentola da matrigna e sorellastre, Pinocchio da Geppetto.
Spostare su questo piano le discussioni sulla famiglia, sulla genitorialità, sull’educazione dei figli, non giova a nessuno.
Se da una parte le spinte dei progressisti a nuove norme che inquadrino e tutelino, da un punto di vista giuridico, le nuove realtà familiari (che sono un innegabile dato di fatto) sono sacrosante, non si dovrebbero mettere alla berlina le comprensibili preoccupazioni dei conservatori che guardano con sospetto e diffidenza a queste nuove famiglie ("arcobaleno", si dice, definizione che rende la cosa faticosamente digeribile anche al sottoscritto).
Credo, sinceramente, che abbiano ragione i primi, i progressisti.
Ma, personalmente, se non mi sforzo di riflettere razionalmente sulla faccenda, e mi lascio prendere dall’emotività, non posso negare (e non vedo perché dovrei!) che pensare alla famiglia significa per me pensare a un padre, una madre, dei figli, punto.
E no: due padri, due madri, una tribù di hippy, un consiglio d’amministrazione di speculatori finanziari, lupi, panda, oche, anziani falegnami, scimmie eccetera, eccetera, non rappresentano affatto la mia idea di famiglia.
Ma i cartoni che c’entrano?
Il punto è che il dibattito è serio, e le persone serie, conservatrici e progressiste, esistono in entrambi gli schieramenti.
Se i conservatori saranno costretti ad accettare, inevitabilmente, l’affermazione dei diritti rivendicati dai progressisti - frutto di una realtà economica e sociale non più aggirabile - è anche vero che i progressisti non dovrebbero considerare tutti i conservatori dei fascisti fanatici (come spesso tendono a fare), perché le tradizioni, come le parole, sono importanti.
E madri surrogate, figli in provetta, promiscuità sessuale, eccetera, eccetera, a prescindere da quelle che siano le realtà singole e collettive, a prescindere da quel che la scienza può provare, sono spauracchi che (ci) spaventano abbastanza, e non sempre a torto.
Se però, per affrontare queste contraddizioni, si inizia a fare l’esegesi dei cartoni animati, delle fiabe, e delle narrazioni per bambini in genere, sforzandosi a tutti i costi di trovarci questione digenere laddove il valore aggiunto dovrebbe essere prima di tutto la qualità dell’intrattenimento, non ne usciamo più.
E faremo la fine di animalisti fanatici e femministe bollite, gente che sente il bisogno di difendere il povero lupo di Cappuccetto rosso e maledire il Principe Azzurro approfittatore della Bella addormentata.
Le storie sono storie, e non si dividono in conservatrici e progressiste, ma in belle e brutte.
Un Paese che affida il dibattito sulla questione della famiglia a Mario Adinolfi e Fabio Volo (con tutto rispetto per entrambi, anche se più per il secondo che per il primo), è invece un Paese condannato ad avvitarsi su se stesso, incapace di produrre non solo buone famiglie, quali che siano, ma anche buone storie, per i nostri figli.