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July 17 2013
Con l'assoluzione del generale Mario Mori cade l'ennesima tegola del processo palermitano sulla presunta trattativa tra Stato e mafia. L'ex capo del Reparto operativo speciale, che nel '93 arrestò Totò Riina (ritenuto il capo dell'ala militarista di Cosa nostra), dopo essere stato prosciolto nel 2006 sempre dalla Procura di Palermo dall'accusa di favoreggiamento per non aver perquisito il covo del boss mafioso al momento del suo arresto, oggi è stato assolto da un'altra, infamante accusa, ovvero quella di favoreggiamento aggravato alla mafia.
Secondo la pubblica accusa rappresentata dai pm Nino Di Matteo e Vittorio Teresi (e da Antonio Ingroia, attualmente in attesa delle dimissioni dalla magistratura per "decadenza"), Mori e l'altro imputato, il colonnello Mauro Obinu, anch'egli assolto, sarebbero prima scesi a patti con i mafiosi, anche attraverso i contatti con Vito Ciancimino (il sindaco di Palermo che Giovanni Falcone definiva "il più mafioso dei politici, il più politico dei mafiosi"), e a seguito di tali accordi (quelli da cui è nato poi il processo in corso sulla mitologica "trattativa") avrebbero volutamente evitato di catturare Provenzano.
Una prima riflessione è che soltanto in Italia uomini dello Stato, che la lotta alla mafia l'hanno fatta sul campo, vengono esposti con tale indulgenza alla gogna mediatico-giudiziaria, come se fosse cosa normale, per un numero imprecisato di processi, che intanto ti strappano reputazione, serenità, denaro. Il tutto per assecondare il castello accusatorio di un groppuscolo di pm, sempre gli stessi, che sull'antimafia hanno nel frattempo costruito carriera, partiti, notorietà. "Noi - ha dichiarato recentemente al Giornale il generale Mori rompendo il suo abituale silenzio - non abbiamo memoria della gran parte degli attuali lottatori antimafia. Non li abbiamo visti perché non c'erano accanto a noi o al fianco di coloro che durante quella tragica stagione hanno davvero combattuto Cosa nostra, alcuni fino a perderci la vita. Rimane l'amara constatazione che forse la vera colpa che non ci viene perdonata da qualcuno sia quella di essere sopravvissuti".
Resta da chiedersi se qualcuno chiederà scusa. Innanzitutto agli imputati, che oggi vengono assolti "perché il fatto non costituisce reato". E che sono stati trasformati in criminali "trattativisti" con i peggiori mafiosi, mentre ad alcuni parlamentari è permesso, in aperta violazione della legge, di colloquiare serenamente con Provenzano circa i processi in corso, senza che nessuno batta ciglio. Andare a trovare in carcere un mafioso al 41bis e negoziare, o tentare di negoziare, con lui la collaborazione in cambio della libertà è "trattativa" oppure no? Ma Sonia Alfano e Beppe Lumia sono crociati dell'antimafia, cui tutto è consentito.In attesa di conoscere gli esiti trionfanti dell'altro processo, quello sulla presunta "trattativa" tra Stato e mafia, che da questo ha preso le mosse e che inevitabilmente incassa oggi una stoccata, bisognerà pure chiedere scusa a tutti i cittadini italiani. Quanto è costata ai contribuenti la fallimentare impresa? Quanto è costato mettere lo Stato sotto processo inutilmente? Oltre cento udienze, ingenti risorse sottratte alle impellenti necessità di una giustizia ormai in bancarotta. E i bancarottieri sono quegli stessi irresponsabili, che a Palermo continueranno a tenere in piedi, nelle prossime settimane, un'autentica farsa. Una dispendiosa farsa.