Dal Mondo
November 26 2024
Durante il suo mandato Pierre Krahenbuhl -da marzo 2014 a novembre 2019 ha ricoperto il ruolo di Commissario generale per l'Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l'occupazione dei rifugiati palestinesi nel Vicino Oriente (UNRWA)- ha incontrato i leader delle organizzazioni terroristiche palestinesi designate, assicurando: «Siamo uno e nessuno può separarci, come pubblicato in un articolo di denuncia di UN Watch giovedì scorso». Secondo l'inchiesta, come riferisce il Jerusalem Post, l'incontro ha avuto luogo a Beirut nel febbraio 2017, con altri partecipanti, tra i quali il capo dell'UNRWA in Libano Hakam Shawan, Ali Baraka di Hamas, Abu Imad Al-Rifai della Jihad Islamica Palestinese (PIJ) e Salah Al-Youssef del FPLP, oltre ad altri rappresentanti di diverse fazioni palestinesi come il FDLP, il Comando Centrale del FPLP e Fatah Al-Intifada. Baraka, che supervisionava le relazioni estere dell'organizzazione terroristica con i regimi di Teheran e Siria, è stato recentemente designato dagli Stati Uniti per il suo ruolo in Hamas. Allo stesso modo, Rifai, un leader del PIJ del Libano, si era vantato in precedenza di aver inviato attentatori suicidi a Baghdad per uccidere personale militare americano e britannico.
Le indagini di UN Watch
In modo sorprendente, Krahenbuhl sembrava perfettamente consapevole delle implicazioni controverse di tali incontri. Durante questi colloqui Krahenbuhl ha esortato i partecipanti a mantenere il contenuto delle loro conversazioni lontano dall'attenzione pubblica, «per evitare di compromettere la loro credibilità o rischiare una riduzione o persino la sospensione’ dei finanziamenti da parte dei paesi donatori verso l'UNRWA». Secondo UN Watch durante questi colloqui Krahenbuhl avrebbe evidenziato «la necessità di uno spirito di collaborazione con gli interlocutori presenti e li avrebbe incoraggiati a sfidare in forma riservata le decisioni dell'UNRWA, assicurando loro possibili revisioni o persino un annullamento totale delle decisioni prese». Non solo, Krahenbuhl ha persino espresso l'idea di una collaborazione reciproca, incoraggiando i rappresentanti delle organizzazioni terroristiche a esprimere liberamente critiche verso le decisioni dell'UNRWA. Ha anche dichiarato che «avrebbero potuto incontrarsi mille volte per affrontare le preoccupazioni, con la possibilità di rivedere o persino annullare completamente le politiche già in vigore». L’allora direttore dell’UNRWA rivolgendosi ai leader delle fazioni terroristiche palestinesi disse: «La vostra cooperazione con noi nell'ambito di sicurezza e il vostro impegno a non chiudere istituzioni, strutture, scuole o uffici dell'UNRWA sono fondamentali per rafforzare questa collaborazione e se e riusciamo a raggiungere questo obiettivo, significa che siamo uniti, e nessuno potrà dividerci». Questi documenti offrono uno spaccato delle complesse e controverse relazioni tra la leadership dell'UNRWA e gruppi designati come organizzazioni terroristiche da diverse entità internazionali. Hillel Neuer, direttore esecutivo di UN Watch, ha evidenziato che Baraka, presente all'incontro con Krahenbuhl, aveva incontri regolari con i direttori regionali dell'UNRWA, alcuni dei quali lo avevano persino omaggiato in occasione dell'anniversario di Hamas. Le connessioni tra l'UNRWA e Hamas sono state oggetto di crescenti critiche dal 7 ottobre dell'anno scorso, quando Israele ha dichiarato che diversi membri dello staff dell'agenzia avrebbero partecipato al massacro, ricoprendo ruoli attivi nelle Brigate Izzadin al-Qassam di Hamas. Inoltre, nelle scuole gestite dall'UNRWA sarebbero stati insegnati contenuti antisemiti e che inneggiano al terrore. Un insegnante dell'agenzia sarebbe stato persino tra gli organizzatori delle proteste antisraeliane nei Paesi Bassi, agendo anche come leader di un'organizzazione affiliata a Hamas nel Paese.
Abbiamo chiesto all'analista americana Irina Tsukerman un commento su questa ennesima vicenda che vede l'UNRWA protagonista di legami con le organizzazioni terroristiche palestinesi: «I forti legami dell'UNWRA con Hamas e altre organizzazioni terroristiche a Gaza e in Cisgiordania non devono sorprendere. Non si tratta di un bug, ma di una caratteristica del progetto dell'agenzia. Il problema non riguarda solo l'implementazione, ma l'intero concetto di perpetuare lo status di rifugiato per più generazioni. Il risultato prevedibile è: a) dipendenza per i presunti beneficiari; b) mancanza di incentivi per le entità governative a investire nell'economia dei loro territori (il che garantisce il fallimento di qualsiasi costruzione di uno Stato fin dall'inizio); c) perpetuazione di uno status quo inaccettabile nei Paesi arabi, dove i palestinesi vivono nei campi per generazioni senza essere integrati, senza ricevere la cittadinanza o persino il diritto al lavoro - e dove l'estremismo prospera diventando un problema di sicurezza a lungo termine per il Paese ospitante. La creazione dell'UNWRA perpetua anche la fantasia secondo cui milioni di palestinesi hanno il ‘diritto al ritorno’ in quello che oggi è Israele, e hanno diritto a ogni pezzetto di territorio, indipendentemente dal fatto che sia mai appartenuto ai loro nonni, e a prescindere da come sia arrivato a non essere più in loro possesso. Finché questo mito persisterà, la maggior parte dei palestinesi sarà indotta a credere che Israele possa a un certo punto cessare di esistere e che quindi non ci sia motivo di accettare soluzioni territoriali di compromesso, di pretendere di meglio dai loro governi o di accettare anche solo una pace fredda con i loro vicini».
Non c’è dubbio che nel corso degli anni l'UNWRA è arrivata ad abusare del suo status anche al di là di quanto previsto e a monopolizzare gli aiuti umanitari internazionali, fungendo da unico tramite per il sostegno al terrorismo.
«Sì, la chiusura di organizzazioni che finanziano Hamas, come la Holy Land Foundation negli Stati Uniti, non ha avuto alcun impatto su Hamas perché il più importante canale formale di sostegno - attraverso la legittima e rispettata agenzia delle Nazioni Unite - è rimasto attivo. Naturalmente, è legittimo temere che, nel bel mezzo di un conflitto, la chiusura del principale canale di trasmissione degli aiuti possa avere un impatto sui civili. Ma la comunità internazionale dovrebbe porsi le seguenti domande: perché, dopo decenni e miliardi di aiuti, Gaza e la Cisgiordania dipendono ancora dalla generosità del mondo? Perché la comunità internazionale continua a sostenere proprio le organizzazioni terroristiche che poi rubano, incassano o vendono gli aiuti all'estero, colpendo i civili? Perché un'agenzia progettata per perpetuare il sentimento antisraeliano nella regione è così sacrosanta? I suoi finanziatori si preoccupano davvero così tanto dei palestinesi, o si tratta piuttosto di minare l'esistenza di Israele attraverso una falsa beneficenza?».