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July 23 2014
Nella guerra che si combatte a Gaza da oltre una settimana, una cosa sola è certa tra Israele e Hamas: entrambe le parti sono determinate ad andare avanti e pronte a innalzare il livello di scontro. Così determinate che Israele ha già scagliato su Gaza 2mila bombe da una tonnellata ciascuna, provocando 400 morti e ha pianificato un’operazione in grado di durare ancora settimane, se non mesi, fino a quando non avrà la certezza di aver reso il nemico inoffensivo.
Hamas, invece, è talmente determinata che ha scavato per anni decine di tunnel a profondità tali che raggiungono dai 10 ai 40 metri sottoterra e si ramificano in un’area che si estende per molte decine di chilometri in tutta la Striscia (la cui superficie totale è 360 kmq). Da qui i combattenti islamici possono spostare agilmente armi e uomini, e penetrare oltre le linee nemiche senza essere visti.
Questi tunnel sono così imponenti che il costo dell’escavazione di una singola galleria è calcolato intorno al milione di dollari, senza contare le spese per il consolidamento e la manutenzione delle strutture, soggette a crolli e cedimenti soprattutto durante i periodi invernali. Alcune fonti riferiscono che sono più estese e solide le reti sotterranee per il drenaggio dell’acqua dai tunnel che le reti fognarie di Gaza City.
Per edificare queste gallerie, gli operai di Hamas hanno consumato qualcosa come 600mila tonnellate di cemento, equivalenti a sette volte il cemento necessario per costruire il Pirellone di Milano, mentre i loro ingegneri hanno progettato spazi su tre livelli, per poter fabbricare anche i razzi nel sottosuolo. I servizi segreti sono convinti che l’arsenale di Hamas conti non meno di 9mila razzi, senza considerare i 1.500 vettori già lanciati sul territorio israeliano.
I numeri secondo l’intelligence
I razzi e i tunnel costituiscono, dunque, il patrimonio principale dei Movimento Islamico di Resistenza. E se Israele vuole rendere Hamas inoffensiva, deve anzitutto distruggere tutte le gallerie che si snodano sotto la Striscia di Gaza e far saltare ogni santabarbara nascosta al loro interno. Sono almeno 40 i tunnel, secondo l’intelligence, di cui 21 sarebbero già stati individuati e fatti saltare durante le operazioni di terra.
I bombardamenti dal cielo, infatti, non sono efficaci e non garantiscono l’interruzione del collegamento, dal momento che la rete di gallerie è costituita da più arterie tra loro comunicanti. Inoltre, non c’è certezza di poter raggiungere con precisione la profondità sufficiente a farli crollare.
La maggior parte degli ingressi ai tunnel è stata costruita all’interno delle case, in modo da rendere invisibili a chiunque gli spostamenti. È così che vivono i militanti di Hamas, sottoterra. Troppo rischioso muoversi in superficie, l’aviazione israeliana potrebbe colpirli con le bombe incendiarie, ordigni precisi e letali che penetrano i tetti delle auto e bruciano direttamente l’interno degli abitacoli, contenendo le esplosioni in un raggio di meno di dieci metri.
Se la prima fase dell’Operazione Protective Edge (“margine protettivo”) è consistita nei bombardamenti dal cielo, finalizzati a distruggere le postazioni di lancio di Hamas, la seconda, quella in corso, prevede dunque la demolizione delle gallerie dirette verso Israele. Mentre una terza fase, ancora da venire, prevede la demilitarizzazione completa di Hamas. Solo in questa fase, secondo il comando militare, sarà possibile negoziare un accordo con la controparte.
Le tipologie di tunnel
I tunnel sono stati scavati in tre diverse direzioni e corrispondono essenzialmente a tre tipologie di utilizzo: economiche, tattiche e da attacco. I tunnel “economici” sono diretti verso l’Egitto, i secondi corrono all’interno di Gaza e quelli da attacco conducono verso Israele. Sono questi ultimi i 21 tunnel distrutti sinora.
Le cosiddette “gallerie economiche” sono state progettate dagli ingegneri di Hamas specificamente per portare merci e materie prime dall’Egitto verso Gaza. La maggior parte di questi passaggi sono stati sigillati di recente dal regime militare di Abdel Fattah Al-Sisi, ma anche da qui in passato sono giunti numerosi carichi di razzi che sono andati poi a costituire l’arsenale militare del Movimento Islamico.
La seconda rete di tunnel è più labirintica ed estesa, e composta da numerose ramificazioni. Scavata sotto le città e i campi profughi di Gaza - Khan Yunis, Rafah, Jabaliya, e Shatti - è progettata sia per nascondere le scorte di razzi e lanciarazzi sia per smistarli velocemente in tempi di guerra. Ma, soprattutto, serve per permettere ai leader di Hamas di muoversi in sicurezza al riparo da bombe e da eserciti, costituendo anche una pratica via di fuga in caso d’invasione. Questa rete di tunnel costituisce l’ambiente naturale all’interno del quale si muovono le Brigate ʿIzz al-Dīn al-Qassām.
Secondo fonti dell’intelligence israeliana, inoltre, ogni singolo capo di Hamas - sia che si tratti di un capo locale che dei vertici e dei leader più anziani - ha a disposizione per sé e per la propria famiglia una botola all’interno della propria abitazione, che conduce a tunnel di protezione. Ogni dirigente di Hamas ha poi una vera e propria “stanza di guerra” dove riparare in situazioni di emergenza.
Infine, la terza rete di tunnel è stata scavata lungo il confine con Israele, per permettere ai soldati di Hamas di infiltrarsi in territorio israeliano e compiere azioni mordi e fuggi. Questa rete si estenderebbe in profondità nel sottosuolo israeliano. Sinora alcuni tunnel, come quelli scoperti a Sderot e a Erez, hanno dimostrato che gli uomini di Hamas possono arrivare a meno di 500 metri dalle abitazioni o dagli insediamenti israeliani.
Conclusioni
Questo scontro violentissimo e forsennato che ha portato nuovamente la guerra in Terra Santa e prosegue ormai da due settimane, sta perdendo i connotati di un momento episodico per entrambe le parti e sembra non volersi concludere con un’operazione chirurgica e limitata, ma appare sempre più come una svolta nei rapporti di forza tra Israele e Hamas. Con la prima che, nelle parole di un alto comandante dell’aeronautica, considera la minaccia da Gaza “non più accettabile”, e con la seconda che è pronta al martirio dei propri uomini pur di infliggere danni permanenti a Israele.
Se la prima fase è stata particolarmente aggressiva e sanguinosa, dunque, la seconda fase dell’Operazione Protective Edge rischia di essere ancora più pericolosa, non solo in termini di vite umane. Lo scopo della fase due resta quello di sigillare i tunnel, ma per fare questo, servono il dispiegamento sul territorio d’interi reggimenti e l’occupazione militare diretta.
Questo allarma tanto gli alleati di Hamas, che oggi sono anche Hezbollah nel Libano e i Fratelli Musulmani in Egitto, quanto gli osservatori internazionali come l’Egitto stesso, il cui colpo di Stato militare ha certamente contribuito all’escalation nella regione. Non va poi dimenticato il confine siriano, dove gli uomini del Califfato Islamico potrebbero decidere di muovere guerra, anche se per il momento questo non accade.
Insomma, un problema sempre meno locale e sempre più internazionale, dove la diplomazia occidentale è impotente e assiste inerte al precipitare degli eventi.