Economia
April 10 2018
Grandi investitori istituzionali, fondi italiani e stranieri e persino il braccio finanziario dello Stato, cioè la Cassa Depositi e Prestiti. E' sempre più nutrito l'esercito di soggetti che si stanno schierando contro il colosso dei media francese Vivendi nella battaglia per il controllo di Tim, la maggiore compagnia di telecomunicazioni del nostro Paese, oggi al centro di una contesa che non si vedeva da tempo sul listino di Piazza Affari.
Ma cosa sta accadendo di preciso dentro Tim? Ecco, di seguito, una panoramica di tutta la vicenda con la posta in gioco e i protagonisti in campo.
Da tempo Tim (il cui marchio raggruppa oggi tutte le attività dell'ex-Telecom Italia) è sotto il dominio del gruppo dei media francese Vivendi, che fa capo al finanziere Vincent Bolloré. La società transalpina possiede però una maggioranza relativa del capitale, che sfiora il 24%. E' quanto basta per fare il buono e il cattivo tempo nell'assemblea dei soci e riuscire a nominare 6 consiglieri di amministrazione per avere la maggioranza nel cda.
L'unico soggetto in grado di contrastare Vivendi dentro Tim è in questo momento il fondo statunitense Elliot che nelle scorse settimane ha iniziato a rastrellare progressivamente azioni della compagnia telefonica italiana, arrivando a una quota del 10% circa.
Nella partita per il controllo di Tim si è inserito pure un soggetto pubblico, controllato dallo Stato: la Cassa Depositi e Prestiti (Cdp), che ha deciso di acquistare una quota di azioni della compagnia telefonica pari al 5%. Da tempo il governo italiano vuole avere infatti una certa influenza nella gestione della società poiché spinge per separare la rete di Tim, che è un asset strategico per l'economia nazionale, dal business principale dei servizi telefonici.
In vista della prossima assemblea annuale dei soci di Tim che nominerà il nuovo consiglio di amministrazione e deciderà chi comanda nell'azienda, si stanno creando due schieramenti: da una parte i francesi di Vivendi, che ancora comandano, e dall'altra una vasta coalizione che ruota attorno al fondo Elliot.
Al fianco degli americani si sono schierati diversi investitori istituzionali stranieri (per esempio alcuni fondi comuni e fondi pensione esteri), che si sono affidati a dei proxy advisor, cioè a società come Glass Lewiss e Iss che raccolgono le deleghe di voto in vista dell'assemblea, dove manifesteranno una linea comune per tutti gli azionisti rappresentati.
Nel capitale di Tim sono presenti anche diverse società di gestione del risparmio (sgr) iscritte all'associazione di categoria Assogestioni. Di solito, Assogestioni (tramite un organismo che si chiama Comitato dei Gestori) presenta una lista all'assemblea delle società quotate per far eleggere alcuni suoi manager di fiducia nel consiglio di amministrazione. Quest'anno le sgr non presenteranno una propria lista e appoggeranno uno dei due contendenti in campo (probabilmente il fondo Eliott). Cassa Depositi e Prestiti potrebbe invece svolgere il ruolo di ago della bilancia.
Il 4 maggio, nell'assemblea annuale dei soci, si capirà chi comanda dentro Tim. Se saranno ancora i francesi di Vivendi o la coalizione formatasi attorno a Elliot (il termine ultimo per la presentazione delle liste per il cda è la sera del 10 aprile). Sarà una battaglia sul filo di lana poiché i contendenti in campo devono sapientemente mantenere il loro pacchetto di azioni sotto la soglia del 27%, superata la quale scatterebbe per legge l'obbligo di lanciare un'opa (offerta pubblica di acquisto), cioè una scalata sulla totalità del capitale di Tim.