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October 06 2017
Non ho ancora capito di quale pericolosissima malattia è malata l'imprenditoria italiana. Quale raro virus cioè l'abbia contaminata al punto da rendere necessari interventi drastici e disperati paragonabili all'amputazione di un arto o all'espianto di un organo. In un Paese normale chi decide di fare impresa dovrebbe ricevere il plauso della comunità, non dico tappeti rossi ma un briciolo di riconoscenza anche sì. Perché rischia di suo, perché crea posti di lavoro, perché contribuisce al benessere della comunità. Senza contare che ci sono moltissime imprese che ci rappresentano in tutto il mondo e che sono orgoglio al pari della bandiera.
Nei quattro anni di "Panorama d'Italia" ne abbiamo raccontate e incontrate quasi mille con storie molto spesso sconosciute eppure esemplari. Non c'eravamo mai accorti però che questo tessuto avesse in corpo una patologia talmente radicata da meritarsi un codice antimafia come quello approvato dal Parlamento. Da meritarsi cioè una legge che - non in capo a un sospetto ma addirittura soltanto alla presenza di un indizio - può amputare un'azienda col rischio concreto di causare una cancrena mortale.
Non entro nei tecnicismi e nelle diatribe giuridiche: quel che è certo - e che nessun leguleio può smentire - è che con la nuova legge non è necessaria alcuna sentenza di colpevolezza per procedere al sequestro di un'azienda e dei beni di un imprenditore. Per spogliarlo di tutto non si dovrà pronunciare un tribunale "in nome del popolo italiano", ma un collegio nella fase delle indagini preliminari.
Difatti parliamo di sequestri preventivi per persone indiziate e non ancora giudicate colpevoli dei reati più diversi, dall'essere fiancheggiatori di terroristi e mafiosi a essere considerati membri di una banda dedita alla corruzione o alla commissione di reati contro la pubblica amministrazione. Scrivere o dire in televisione che il nuovo codice antimafia si applica ai corrotti è dunque falso perché, ripeto, le misure sono adottate in assenza di una sentenza di colpevolezza.
E la presunzione di innocenza? Possibile che nessuno tremi come una foglia davanti alla domanda che un solo indizio o anche più indizi possano rovinare la vita di un imprenditore e uccidere la sua azienda? Possibile che l'idea di essere innocenti e persone perbene sia così passata di moda da far rinunciare a qualsiasi garanzia? Bene ha fatto Vincenzo Boccia, presidente di Confindustria, a mettere in guardia durante l'incontro con "Panorama d'Italia" in Sardegna dall'equiparazione tra imprenditori e delinquenti ma è soprattutto nella cultura antindustriale che risiede il dramma di questo Paese e cioè nella "visione della società anomala".
Perché, cito ancora Boccia, "un imprenditore vive di reputazione, se lo rovini con la cultura del sospetto e del sequestro preventivo non è che poi, quando lo riammetti al consenso sociale senza macchia, lo riabiliti: oramai lo hai comunque distrutto". Mascariare, sporcare la reputazione, calunniare, delegittimare: questo frasario è della mafia. Dovrebbe far ribrezzo a chi ha votato in Parlamento un codice nel quale affiancare la parola antimafia sa tanto di bestemmia.