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May 05 2016
Per Lookout news
Se la scorsa settimana, portata a termine la “liberazione” di Bengasi l’esercito libico al commando del generale Khalifa Haftar aveva annunciato un imminente attacco a Sirte, roccaforte dello Stato Islamico in Libia, gli scontri registratisi il 3 maggio a Zillah lasciano presagire che la missione militare, al pari della contestata “Operazione Dignità” lanciata due anni fa su Bengasi, rischia di rivelarsi un calvario. Nei giorni scorsi nella località situata 400 km a sud-est di Sirte, in una regione ricca di pozzi di petrolio, si sono verificati combattimenti tra le forze dell’esercito nazionale libico (LNA, sotto il comando del generale Haftar) e le milizie di Ziyad Belaam, leader della brigata bengasina Omar Mukhtar, appartenente al Consiglio Consultivo dei Rivoluzionari di Bengasi (coalizione di milizie islamiste che hanno combattuto l’esercito libico in Cirenaica negli ultimi due anni).
Secondo quanto dichiarato dal colonnello Ahmed Mesmari, portavoce dell’LNA, nei combattimenti a Zillah sono stati coinvolti reparti secondari dell’esercito (le falangi del JEM, Sudanese Rebel Justice and Equality Movement, prima al soldo di Gheddafi poi passate con l’LNA) che hanno affrontato le milizie islamiste fuggite nelle ultime settimane da Bengasi. Numerose sarebbero le perdite da entrambe le parti.
Il nucleo centrale dell’esercito sarebbe invece bloccato alle porte di Ajdabiya, in attesa di concordare condizioni di accesso alla città – che dovrebbe fungere da base operativa per le future operazioni militari nel golfo della Sirte – con Ibrahim Jadhran, leader delle Guardie degli Impianti Petroliferi di stanza ad Ajdabiya. Lo stesso Jadhran aveva dichiarato a fine marzo il suo appoggio – più di comodo che ideologico – al governo Serraj, principale avversario del comandante Haftar. La località di Zillah sarebbe dunque un passaggio quasi obbligato sulla strada verso Sirte qualora l’esercito centrale dovesse essere costretto a evitare di attraversare, lungo la costa, la municipalità di Ajdabiya accorciando il tragitto verso il bacino jihadista.
Guerra civile: un nuovo slancio?
Se dunque l’episodio di Zillah costituisse il preludio del già annunciato attacco da parte delle forze di Haftar allo Stato Islamico nella sua roccaforte di Sirte, non è escluso che forze diverse e contrastanti possano concorrere in maniera non coordinata alla lotta anti-ISIS. Lo testimonierebbe, d’altronde, lo spostamento delle milizie di Misurata verso est, in direzione di Sirte, registrato nei giorni scorsi. Un fatto cui lo stesso Haftar ha risposto lanciando un monito alle milizie della regione affinché desistano dal tentativo unilaterale di attaccare lo Stato Islamico probabilmente per riaffermare la legittimità del suo esercito e della sua giurisdizione.
Il problema, come sollevato anche da un recente comunicato del premier Serraj, è che un eventuale intervento disgiunto contro ISIS da parte delle molteplici forze in campo potrebbe generare ulteriori spaccature interne al sistema di potere che si è costituito in Libia. Nel comunicato del Consiglio Presidenziale, il governo di unità nazionale esorta infatti tutti i reparti in armi ad aspettare l’istituzione di un organo di coordinamento militare prima di dare il via all’offensiva per la riconquista di Sirte.
Il timore è che lo scontro possa altrimenti rivelarsi una mera recrudescenza della guerra civile fra est e ovest del Paese o fra milizie e centri di potere contrapposti. L’importanza di giungere a un esercito strutturato è stata sottolineata anche dall’inviato ONU Martin Kobler, “perché lo Stato Islamico si sta espandendo a sud, alleandosi con Boko Haram e con altre organizzazioni terroristiche in Ciad e in Niger”.
Ma, così come risulta impossibile unificare le tante anime della Libia post-Gheddafi sotto un’unica formazione politica – per inciso, è saltato anche l’appuntamento di Ghadames dove i deputati della Camera dei Rappresentanti di Tobruk avrebbero dovuto votare, il 4 maggio, la fiducia al governo Serraj – ancor più complesso sarà mettere in piedi un organismo militare uniforme e una tattica congiunta di intervento anti-ISIS. La trama di interessi personalistici, ancora una volta, scavalca gli intenti genuini di stabilizzazione del Paese.