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La Chiesa durante e dopo il Covid-19

"È l'umanità che ha abbandonato la Chiesa o è la Chiesa che ha abbandonato l'umanità?" La domanda di T.S. Eliot, contenuta nel suo profetico poemetto "I cori da La Rocca" continua a risuonarmi.

Non sono un sociologo, e quello è uno dei versi che, insieme ad altri di Miloszc, di Ungaretti, di Pasolini, mi sono risuonati assistendo allo spaesamento di molti in questa strana contingenza della pandemia, dove stiamo assistendo alle mille contraddizioni di una guerra di potere mondiale giocata sulla pelle della gente.

Le messe sospese, un Presidente del Consiglio che "concede" alla Chiesa quali funzioni fare o no, i poliziotti che interrompono una funzione, un popolo lasciato senza la benedizione dei suoi morti...Sono tutte cose che hanno segnato e segneranno la coscienza dei cristiani italiani, al di là delle statistiche che vedono in calo la frequenza alla messa domenicale, specie nelle fasce giovani e adulti e la riduzione di partecipazione in vario modo alla vita ecclesiale. Una Chiesa che qualcuno da un lato ha sentito vicina grazie alle azioni di carità, ma qualcuno ha visto lontana, paurosa, ossequiosa e timida dinanzi a un potere che ne confina il rito tra le attività meno essenziali della società. Ma non esistono due Chiese, quella della carità e quella del rito, l'una senza l'altra diventa un simulacro.

Se la prima riceve comprensione e onore anche da chi fino a ieri la derideva e dispregiava, la seconda viene spesso sopportata e malcompresa, come un vecchio arnese per gente fissata. E spesso le stessa liturgia, la estetica di certi canti e certi apparati rinforzano la impressione. Pur se, d'altro canto, luoghi di pellegrinaggio, santuari e anche abbazie sperdute non cessano di fiorire e rifiorire. Perché la differenza anche nella Chiesa la fanno le persone, essendo che l'incarnazione è non solo il contenuto dell'Annuncio cristiano ma anche il suo metodo, e non la strategia comunicativa. Ma queste considerazioni ancora sfiorano la drammaticità della domanda di Eliot e dei suoi versi.

La piazza di San Pietro deserta con il Papa da solo, è una immagine di portata storica e molti l'hanno commentata, insistendo sugli aspetti evocativi e sentimentali, abbastanza ovvi, ma forse non cogliendo la portata di quella scena. Scena che ha, a mio povero avviso, una analogia potente con un altro fatto inedito accaduto nella storia circa 700 anni fa, lo spostamento della sede papale ad Avignone. Un contesto storico diverso, ma simili le dinamiche di lotta di potere che portarono a quello "spostamento".

Il Papa stesso, apparso in queste settimane preoccupato e affaticato, ha più volte richiamato la necessità di una chiesa di popolo, non di gerarchie isolate. Eppure s'è trovato a consegnare alla storia l'immagine di un Papa da solo nella piazza. In collegamento mondiale, certo, ma come una delle tante star della comunicazione, quasi inverando uno spot di qualche tempo fa che immaginava un Ghandi collegato in video in tutto il mondo, con la domanda retorica (per quello spot) su quanto influsso avrebbe potuto avere se avesse potuto usufruire di tali mezzi. Il Papa si ê trovato ad avverare, in un certo senso, quello spot, un predicatore solo in mondovisione. E questo evento ha certamente sollevato il cuore di tanti e ha fatto da balsamo alle ferite di tanto dolore.

Ma non ha chiuso il problema sulla presenza della Chiesa oggi, ovvero su che tipo di presenza, e che tipo di "scandalo" sia una Chiesa che, nell'epoca della "legge-in-nome-della-salute" preconizzata da Foucault a proposito di nuovi autoritarismi, deve innanzitutto ricordare il problema della salvezza, sfuggendo, se ne ha forza culturale e testimoniale, a una lettura unidimensionale della vita e alla riduzione del Vangelo a vademecum per rispettare legalità e per fare buone azioni. Non a caso, molti commentatori della piazza vuota / Avignone hanno evitato di sottolineare, in quel che è stato comunque un rito, la presenza della croce e del corpo di Cristo nell'ostia, soffermandosi sul vuoto della piazza, il blu delle sirene e altri elementi scenografici "consoni" alla narrazione dominante. Il Papa ha avuto il coraggio di esporsi anche a questa ambiguità.

Lo ha fatto con la autorevolezza del suo compito e coi segni della sua fede: la croce, la Madre, l'ostia. Ma ovviamente in tanti hanno pensato che risultasse in quei giorni strana l'impossibilità a organizzarsi come hanno fatto esercizi commerciali e altri luoghi fino a costringere i fedeli persino a Pasqua a stare senza messa, cioè una Chiesa senza popolo, o meglio in contumacia, mentre in molte parti del mondo fedeli esposti a ogni rischio, tra terrorismo e violenze, perdono la vita e la rischiano pur di accedere alle messe.

Sono domande che hanno traversato la mente di molti e certo le risposte cripto-protestanti e spesso superficiali di attori e cantanti suffragate da chierici vanesi che indicavano cose ovvie tipo che si può pregare benissimo anche a casa, non han fatto che aumentare il disagio. E al di là della stretta questione del rito e della messa, il rischio di una riduzione della Chiesa al consenso o meno che riscuotono le sue gerarchie, a riguardo dei temi maistream, non rischia di mettere in secondo piano il valore della presenza viva e operante di gruppi, movimenti, comunità e delle azioni culturali e sociali che compiono ? E soprattutto, questi ci sono? Hanno una posizione originale rispetto alle culture dominanti del nostro tempo ? O si beano di piacere alla gente che piace ? Il corpo vivo della Chiesa è stato anche avvilito nella bassa considerazione che hanno avuto nei provvedimenti governativi le scuole spesso di ispirazione cristiana che offrono un servizio pubblico insostituibile nel sistema di formazione del Paese oltre che, si spera, una visione culturale originale sui grandi temi antropologici e vitali della modernità.

Ad esempio sfidando il senso della parola "libertà", parola chiave della modernità, che anche in queste settimane ha subito varie forme di dislettura, di compressione, di risemantizzazione attraverso la pratica della narrazione e del governo di un fenomeno tutt'altro che chiaro nei suoi reali contorni.

L'impressione di molti è stata che la Chiesa italiana in queste settimane non abbia voluto disturbare il manovratore e anche una omelia del Papa è stata "usata" come presunta correzione all'alzata di toni che i Vescovi avevano avuto dopo lo "schiaffo" di Conte a proposito di funerali e messe. Al di là del comprensibile assolvimento necessità organizzative e quindi economiche, la ricomparsa delle messe nella fase in cui si riavviano anche i ristoranti e attività non di valore primario nella società, lascia l'impressione di una valutaziome tiepida della questione del loro valore.

Nelle ultime settimane si sono succeduti vari commenti autorevoli (da Galli della Loggia a Veronesi a Sofri) che da laici hanno rivolto accuse e apprezzamenti non solo al papato ma alla presenza della Chiesa nella società. Ma a volte pare che a questi commentatori sfugga il cuore di fuoco della vicenda, ovvero non tanto le presunte caratteristiche ideologiche del papato o le ammirevoli opere di beneficienza, quanto la questione della originale presenza dell'evento cristiano e del suo portato culturale per l'uomo di oggi.

Di fatto, tra turbolenze, documenti, presenza virtuale, assenza carnale, "schiaffi" e firme, la barca di Pietro, abituata ai marosi della storia, sta attraversando una fase ricca di inquietudine. E come sempre ricca di santità accanto agli smarrimenti. Un'epoca dove la domanda di un poeta come Eliot risuona senza tregua, e a cui forse la risposta non c'è, se non come assunzione seria e sofferta dell'interrogativo, e di entrambe le ipotesi che adombra. Alle quali non vi ê alternativa, se non nella offerta di quel punto di fascino che solo avvicina il cuore dell'uomo al cuore della chiesa: la figura di Cristo, il suo evento nella storia.

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