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May 11 2018
Il problema dell’Europa, di fronte all’attivismo di Trump in politica internazionale, è sempre lo stesso: la sua debolezza. E la sua debolezza dipende in pari misura dalla sua frammentazione in interesse divergenti e protagonismi confliggenti (Francia, Germania, Gran Bretagna, Est…) e dall’assenza di leadership.
È imbarazzante il paradosso di un leader molto visibile e proattivo, Macron, delegittimato in patria da un consenso calante e a capo di un Paese che non è più da tempo il traino dell’Unione, mentre il Paese che di gran lunga è il più potente dell’Europa, la Germania, ha un leader indebolito dalle ultime elezioni, Angela Merkel, che soprattutto non sembra avere una chiara visione di ciò che Berlino vuol essere da grande.
Per non parlare della Gran Bretagna che sta uscendo dall’Unione e che si ritrova schiacciata sempre di più su un versante atlantico la cui strategia dipende dalle scelte pragmatico-umorali di Trump.
Mettiamo l’esempio della politica verso l’Iran. L’Europa non sa davvero “che pesci prendere”. Sembra incapace di una politica autonoma che le consenta di non rompere con l’accordo nucleare con Teheran ed evitare le sanzioni volute dagli Stati Uniti, seguendo una strategia che la porterebbe verso una visione eurasiatica di alleanza con la Russia e pragmatismo in Medio Oriente.
Al tempo stesso, non sembra pronta a sposare la sintonia con l’imprevedibile politica di Trump che spinge verso una situazione pre-Obama. La politica estera dell’ex presidente USA, alla resa dei conti, si è dimostrata fallimentare, anche verso l’Iran che ha intensificato le azioni anti-israeliane in tutta l’area approfittando della guerra in Siria. E Trump con le sue scelte di rottura sembra avere una sua logica e perseguire un disegno che non è sbagliato, per gli interessi americani.
Ma l’Europa? Tentata di difendere i propri interessi commerciali contingenti, l’Unione disunita vorrebbe tanto non dover imporre nuove sanzioni a Teheran, così come in modo riluttante ha seguito le indicazioni britanniche e americane sul ritiro dei diplomatici russi per la crisi della spia avvelenata nel Regno Unito.
In più, è minata all’interno dalla forza crescente dei movimenti impropriamente definiti “populisti”, che minacciano presto di scardinare le istituzioni e ribaltare la stessa identità “euro-atlantica”.
È evidente che le sanzioni alla Russia e una dirompente politica mediorientale (come quella che porterà in questi giorni al riconoscimento di fatto di Gerusalemme capitale di Israele con lo spostamento dell’ambasciata USA da Tel Aviv) sembrano essere in conflitto con gli interessi immediati dell’Unione.
Ma la strategia di lungo termine sembra sconsigliare di “rompere” con gli Stati Uniti. Il punto è sempre lo stesso. L’Europa è troppo debole per contare, e troppo disunita per essere un soggetto di politica internazionale.
Quello che faticosamente cerca di fare, è difendere i propri commerci, le proprie aziende, e rivendicare un primato morale che però è sempre più difficile difendere e soprattutto mantenere credibile.
L’Europa, di fatto, in quanto tale è un’espressione vuota. È priva di iniziativa propria, deflagrata nelle sue diverse identità nazionali e regionali, disperatamente in cerca di leader credibili, e incapace di scegliere tra due modelli: atlantismo e Eurasia.