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February 16 2016
Per Lookout news
“Il viaggio verso la pace e l’unità del popolo libico è finalmente iniziato”. È così che nella tarda serata del 14 febbraio Martin Kobler, inviato ONU in Libia, ha salutato l’annuncio della nuova formazione di governo. Diciotto ministri anziché 32 (di cui cinque ministri senza portafoglio e tre donne) per un esecutivo “ristretto” rispetto a quello presentato un paio di settimane fa dal premier designato, Faiez Serraj, che non aveva ricevuto la fiducia del parlamento in quanto ritenuto “troppo ampio”.
Il controverso ruolo di ministro della Difesa è rimasto a Mahdi Ibrahim Al-Barghati, ex ufficiale dell’esercito di Gheddafi passato con i rivoluzionari nel 2011, già selezionato per l’incarico nella prima squadra di governo di unità nazionale. La sua nomina costituisce uno dei punti più discussi sia all’interno del Consiglio presidenziale che in parlamento, con parte dei deputati della Cirenaica (tra tutti Ali Gatrani) che sostengono al posto di Al-Barghati la candidatura del generale Khalifa Haftar, osteggiata invece da Tripoli e da altri deputati di Misurata (tra cui Ahmed Maetig, Mohamed Ammari e Abdussalam Kajman).
Durante gli ultimi colloqui di questi giorni a Skhirat, in Marocco, – scrive Libya Herald – la rosa dei candidati alla Difesa sembrava essersi ristretta a tre personalità: Mohamed Hassan Al-Barghathi, ex ambasciatore in Giordania, Abdulbasset Al-Badri, ambasciatore in Arabia Saudita e Giordania, e Hassan Abdullah Elabbar, ex comandante di polizia. E dopo una fase di stallo nelle trattative, durante la quale era stato addirittura ipotizzato di lasciare temporaneamente vacante la poltrona di ministro della Difesa, il Consiglio presidenziale ha infine annunciato la nuova squadra, sebbene con notevoli spaccature al suo interno. Due dei nove membri del Consiglio non hanno infatti approvato le decisioni e si sono ritirati.
La nuova formazione passerà oggi, martedì 16 febbraio, al vaglio del parlamento (la sessione di lunedì 15 febbraio è stata posticipata di un giorno per mancanza di quorum) dove l’influenza di Haftar è forte e dove la maggioranza dei deputati spinge per l’emendamento dell’articolo 8 dell’accordo, proposto dall’ONU e firmato lo scorso dicembre, sulla composizione dei vertici delle forze armate. Per questo motivo, i concitati annunci della formazione del nuovo esecutivo vanno presi con le dovute cautele anche in questo caso. Anche questa lista, infatti, rischia di non ricevere la fiducia del parlamento, esasperando il vuoto istituzionale che regna in Libia con ripercussioni negative sulla sicurezza del Paese.
L’intervento in Libia
Approvare con urgenza un nuovo governo libico è però necessario per affrontare anche in Libia l’avanzata di ISIS, che acquista forza giorno dopo giorno approfittando dello stallo politico. È questo in sintesi il messaggio lanciato dai salotti della diplomazia tedesca durante la conferenza di Monaco sulla Sicurezza. Dal terrorismo all’emergenza rifugiati, dal futuro della NATO alle principali crisi regionali, questi i temi principali in agenda a Monaco di Baviera, dove per l’Italia hanno partecipato il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni e della Difesa Roberta Pinotti.
Alla sessione dei lavori sulla Libia, il 14 febbraio, erano presenti il presidente della Camera dei Rappresentanti di Tobruk, Aguila Saleh, l’inviato speciale dell’ONU Martin Kobler, l’Alto Rappresentante dell’UE per gli Affari Esteri Federica Mogherini, il segretario di Stato americano John Kerry e i ministri degli Esteri di Egitto, Italia, Germania, Francia e Gran Bretagna.
Intanto è stata avanzata nei giorni scorsi, durante il vertice NATO dei ministri della Difesa (Bruxelles, 10-11 febbraio), la possibilità che la missione “Active Endeavour” della NATO (che sorveglia il traffico marittimo in funzione antiterrorismo nel Mediterraneo) venga estesa “anche alle zone prospicenti alla Libia, dove opera attualmente la missione militare italiana Mare Sicuro”, come ha confermato il ministro Pinotti.
L’intervento militare in Libia paventato nei giorni scorsi potrebbe dunque trasformarsi in un’operazione indiretta di monitoraggio e contenimento? In attesa di comunicazioni ufficiali, l’interrogativo resta d’obbligo. Forse i venti di guerra che hanno soffiato recentemente in Europa si stanno effettivamente placando, con i governi occidentali disposti ad attendere un interlocutore libico ufficiale – che possa gestire in prima persona la guerra allo Stato Islamico – prima di muovere passi arditi che rischiano un domani di essere condannati come affrettati. È già accaduto cinque anni fa con la caduta di Gheddafi.