Costume
June 26 2024
Si potrebbe cominciare dal titolo che Miuccia Prada e Raf Simons hanno dato alla loro collezione, mandata in passerella durante le sfilate milanesi maschili per l’estate 2025: Closer. Ovvero «Più vicino». Ma a cosa? Sicuramente agli abiti per capirne la fattura, coglierne i dettagli, apprezzarne le proporzioni, studiarne la genesi. Perché di studio c’è bisogno, per non rimanere «lontani» dalle motivazioni di una scelta stilistica ben precisa. Che, nel caso di Prada, si traduce in «abiti immediati, non artificiosi, in capi rubati dall’armadio del padre o della madre che si adattano in modo diverso al corpo, in indumenti volutamente stropicciati, patinati e invecchiati, testimoni dei segni del tempo. Vestiti imperfetti come la vita e la realtà». E siamo al punto, ecco a cosa serve accorciare le distanze: la vicinanza alle cose e alle persone promuove una maggiore aderenza al principio di realtà. Che in questo momento storico, così complicato a livello intenazionale, richiede cura, attenzione, rispetto, coesione e tanta vigile positività. E, non a caso, «Incontri» è la parola chiave che sintetizza la collezione di Sabato De Sarno per Gucci. «Mi piace incontrare luoghi e persone perché da questo nasce una libertà di pensiero che influenza le scelte quotidiane» racconta il designer.
La selezione accurata delle parole, il suo badare alla sostanza delle cose e soprattutto la capacità di declinare la sua estetica partendo dal concetto che «gli abiti non devono spaventare le persone, cioè non devono coprire la personalità di chi li indossa, ma abbracciarla» fa sì che in passerella sfilino modelli di rasserenante equilibrio e naturale eleganza, a volte enfatizzata dai volumi couture delle camicie, dalle frange che donano dinamismo al movimento, dai colori vivaci dei soprabiti in pelle impalpabile.
E se Luca Magliano decripta la realtà raccontandola con piglio politico, attraverso una grammatica ruvida e poetica che si esprime immaginando un guardaroba rigoroso e stropicciato, messo addosso alla più varia umanità, Alessandro Sartori per Zegna va dritto alla concretezza delle fibre di cui gli abiti sono fatti.
Apparentemente privo di intellettualismi, ma non per questo alieno a una personale lettura della contemporaneità, Sartori porta avanti la sua ricerca partendo dai corpi con le loro silhouette per arrivare all’elaborazione di tessuti, naturali, pregiati, stinti, leggeri in grado di rispondere alle esigenze estetiche e pratiche dell’attuale mascolinità.
Cifra che da sempre caratterizza la poetica di Giorgio Armani che con la sua compostezza, sostanziata nel prodotto, non ha mai perso di vista il principio di realtà come dimostrano entrambe le collezioni di Emporio e Giorgio Armani, concrete, ricche di pezzi che si possono comporre e scomporre, fluide e leggere non solo per i tessuti, ma anche perché prive di fronzoli e orpelli.
Un bilancio, infine, positivo: questi quasi cinque giorni di Milano fashion week hanno regalato un’aria di freschezza, nel grigiore macro della situazione globale, perché agli sproloqui delle scorse stagioni, allo storytelling al quale eravamo abituati e al vapore acqueo dei proclami sulle nuove e vecchie mascolinità, l’interesse si è spostato sugli abiti. Che per quanto intrisi di valore simbolico, per quanto portatori di identità ogni volta diverse, non sono altro che abiti. E veicoli di business. Un business fondamentale per il made in Italy.