La pazza gioia di Paolo Virzì, alla ricerca della felicità: 5 cose da sapere
"Ma siete matte?". "Secondo alcune perizie sembrerebbe di sì". Una logorroica fino allo sfinimento e incontenibile, l'altra silenziosa e fragile. Sono due donne "matte", ferite e voraci d'amore, le protagoniste de La pazza gioia, nuovo film di Paolo Virzì presentato alla Quinzaine des Réalisateurs del Festival di Cannes.
Immerse in colori caldi, estivi e buoni, Valeria Bruni Tedeschi e Micaela Ramazzotti esplorano con umanità, tanta simpatia e stille di tragicità il mondo della malattia mentale, ora in equilibrio sulla commedia più dirompente e viscerale, poi inoltrandosi su corde più drammatiche, come il senso del realismo richiede.
Dal 17 maggio al cinema con 01 Distribution, ecco 5 cose da sapere su La pazza gioia.
1) Alla ricerca della felicità
Dopo le tinte fosche e torbide dell'ottimo noir sulla cattiva finanza Il capitale umano, Paolo Virzì usa pennellate più allegre e chiassose per raccontarci un altro "capitale umano", folle, strampalato, così bisognoso d'amore.
Beatrice Morandini Valdirana (Bruni Tedeschi), sedicente contessa, è un'impicciona e chiacchierona irrefrenabile, dal lessico forbito, pungente e sempre pronta a mettere i puntini sulle "i". Basta però sussurrarle "ti voglio bene" e lei, con un "grazie" di risposta, subito si calma. Anche Donatella Morelli (Ramazzotti) è terribilmente bisognosa d'amore; è chiusa nel suo dolore e nella sua magrezza. I suoi sogni e le sue sofferenze le istoriano il corpo in cicatrici e tatuaggi. "Comprati un quadernetto per scrivere le tue cosine invece di avere tutto il corpo così", la apostrofa spassosamente Beatrice. Le due donne sono ricoverate a Villa Biondi, accogliente casa di cura del pistoiese. Il brusio assordante delle parole di Beatrice trova terreno fertile nel silenzio di Donatella e tra le due sembra nascere un'improbabile amicizia che le porta a una rocambolesca fuga. Alla ricerca della felicità. Ma dove si trova la felicità? "Nei posti belli, nelle tovaglie di fiandra, nei vini buoni, nelle persone gentili", risponde Beatrice. Chiamatela matta!
2) Valeria Bruni Tedeschi in stato di grazia
Ombrellino ripara-sole da donna dell'alta società, sigaretta tenuta tra le dita con ostentata classe, Beatrice Morandini Valdirana tira fuori il meglio da Valeria Bruni Tedeschi, che è a Cannes anche con un film in concorso, non meno folle, Ma Loute di Bruno Dumont. L'attrice italo-francese è irrefrenabile, travolgente, così divertente e così tragica. In assoluto stato di grazia, soprattutto nella prima parte è il volano della dissennata comicità, che cela dietro di sé il suo volto più tagliente e tormentato. "Alcune volte avrei voluto essere ancora più precisa, ancora più profonda, fantasiosa, inventiva", ha detto Bruni Tedeschi, che con Virzì ha lavorato anche ne Il capitale umano, vincendo un David di Donatello. "Avrei voluto, e magari non mi sentivo all’altezza, però questa frustrazione ho l’impressione che sia stata positiva per il personaggio, perché Beatrice non è una donna soddisfatta. Ho cercato di darle in regalo anche la mia insoddisfazione personale, i miei nervosismi, la mia fatica, alcune volte anche la mia incapacità, perché lei è un’incapace".
3) Sceneggiatura agrodolce. Dalla parte dei matti
La sceneggiatura de La pazza gioia regala perle di leggerezza pensosa, con un breve divertente ritaglio autoironico di cinema nel cinema. "Ci siamo ridotti ad affittare la nostra casa al cinema italiano, non so se si rende conto?!", si lamenta la madre di Beatrice (Marisa Borini, madre di Valeria Bruni Tedeschi anche nella vita).
La seconda parte del film, in sella a un turbinoso, incidentato e interminabile road movie, entra nelle ferite più profonde e inaccessibili delle sue due protagoniste. Cerca anche di spiegare, forse un po' didascalicamente, quello che probabilmente non si può spiegare, ricorrendo anche a flashback non sempre armonici. E affida a Senza fine di Gino Paoli, la canzone simbolo de La pazza gioia, una grande verità: "Tutto è ormai nelle tue mani, mani grandi, mani senza fine".
"Se è vero che in questo film abbiamo messo in scena momenti cupi, sconsolati e anche violenti, mi è sembrato per altri versi di non aver mai filmato tanta esaltazione, tanta ebbrezza, tanta ilarità", ha detto Virzì, che ha realizzato lo script a due mani con la regista Francesca Archibugi. Prima di comporre il copione hanno preso informazioni da psichiatri e psicoterapeuti di cui avevano adocchiato libri e articoli, in libreria, sulle riviste, nei blog. "Abbiamo chiesto loro di prenderci per mano e di accompagnarci nel mondo delle strutture cliniche, delle loro storie di terapie", ha raccontato Virzì. "Abbiamo incontrato, nei luoghi della cura, i più diversi tipi di pazienti: i catatonici, gli eccitati, i melanconici, gli impiccioni, i sospettosi, i logorroici. Mi viene da aggiungere: come nella vita di tutti i giorni". E hanno deciso di scrivere un film dalla loro parte. Dalla parte dei malati mentali. Dalla parte di Beatrice e di Donatella. Profondamente umano.
4) Applausi a Cannes
"Merci Quinzaine": è stato il commento emozionato di Paolo Virzì al termine della proiezione pubblica del suo film, accolto con dieci minuti di applausi. La pazza gioia è stato proiettato il 14 maggio, secondo italiano alla Quinzaine des Réalisateurs dopo Fai bei sogni di Marco Bellocchio e prima di Fiore di Claudio Giovannesi. Emozione - e qualche lacrima - anche sul viso delle attrici, di sua moglie Micaela Ramazzotti e di Valeria Bruni Tedeschi. Applausi anche a scena aperta, buone recensioni internazionali e grande interesse per le vendite internazionali al Marché (Like Crazy il titolo de La pazza gioia per l'estero). Per Le Monde, La pazza gioia "è un gran bazar di vita e di cinema". Variety ha scritto con entusiasmo: "Personaggi e dialoghi sono la chiave del film che riesce a trovare equilibrio tra humour e realismo, risultando una delle poche recenti commedie italiane con serie possibilità di successo internazionale".
5) A Villa Biondi, tra attrici e vere pazienti
Villa Biondi, la casa di cura del film, è una bellissima dimora sulle colline toscane, un po' fatiscente ma ricca di disegni e vitalità. Come capita ovunque, qui ci sono figure un po' rigide e più interessate al protocollo che al benessere delle utenti (vedi l'assistente sociale interpretato da Sergio Albelli), e altre col cuore grande e devotamente dedicate al proprio lavoro di riabilitazione (come il bellissimo personaggio incarnato da Valentina Carnelutti).
Villa Biondi nella realtà è una tenuta agricola abbandonata, dove è stato creato il set. "Mi piacerebbe che esistesse davvero", ha detto Virzì. "Abbiamo voluto immaginare che fosse un posto anche accogliente, dove potesse venir voglia di tornare. Io sento di aver bisogno di una Villa Biondi, dove cercare un riparo dalla ferocia del mondo, nei momenti di sconforto".
A Villa Biondi, accanto ad attrici professioniste, sul set c'erano anche alcune pazienti del Dipartimento di Salute Mentale di Pistoia, che hanno portato la loro esperienza personale e anche la loro arte: tra le varie attività riabilitative, infatti, svolgono attività teatrali.
In questo video in esclusiva un estratto de La pazzia gioia:
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