Green
March 01 2022
Cento sindaci di altrettante metropoli si sono dati uno scopo comune creando la rete C40. La missione? Dimezzare le emissioni entro un decennio, rafforzando l’equità, costruendo la resilienza e migliorando le condizioni di vita per tutti. Viaggio negli esempi virtuosi di Milano, Londra, Parigi, Barcellona e New York.
Luoghi invivibili, inquinati, tormentati da piogge sottili che bagnano quartieri degradati e pericolosi. Così la fantascienza ha spesso dipinto la metropoli del futuro. Ma le cose non sono andate come immaginavano gli autori di queste fosche profezie. Anzi, sono state proprio le grandi città del mondo a indirizzare la storia verso una traiettoria meno grigia e più verde. Sono stati i loro leader ad attivarsi per primi per migliorare la qualità della vita dei propri cittadini. Già nel 2005 l’allora sindaco di Londra Ken Livingstone convocò i rappresentanti di 18 megalopoli per lavorare insieme sulla riduzione dell’inquinamento. Erano i primi passi di C40, una rete che oggi unisce i primi cittadini di quasi 100 città per collaborare e affrontare insieme la crisi climatica. La missione di C40 è di dimezzare le emissioni delle città aderenti entro un decennio, «migliorando l’equità, costruendo la resilienza e creando le condizioni per tutti, ovunque per prosperare» come si legge nel suo sito. Condizione per fare parte di C40 è di essere leader in questi campi, alcune città sono all’avanguardia per esempio nella gestione dei rifiuti, altre nella riduzione delle emissioni degli edifici, altre ancora nell’uso di veicoli pubblici elettrici.
Quanto le metropoli siano importanti nella lotta al riscaldamento globale lo spiega Caterina Sarfatti, direttore del programma Inclusive Climate Action di C40, che fornisce ai sindaci e alle amministrazioni locali il supporto per pianificare, costruire il consenso e realizzare un’azione climatica equa e vantaggiosa per tutti. «Le città occupano solo il 2 per cento delle terre emerse, ma sono responsabili del 70 per cento delle emissioni clima-alteranti» sottolinea Sarfatti. «E il fenomeno dell’urbanizzazione continua a crescere. Le metropoli concentrano dunque un coacervo di potenziali problemi ma anche di potenziali soluzioni. In questi anni abbiamo visto fiorire, proprio nelle città, le innovazioni più interessanti nel campo della trasformazione ecologica ed energetica: per fare un esempio, mentre nel 2009 gli autobus elettrici operativi nel mondo erano meno di 100, oggi sono quasi 70 mila grazie soprattutto agli investimenti delle metropoli cinesi. Quindi, mentre i governi nazionali spesso arrancano nella trasformazione ecologica, i sindaci si muovono più rapidamente, anche perché sono le figure istituzionali più vicine ai cittadini. E in questi ultimi anni hanno dimostrato una maggiore leadership politica su questo fronte. Sono stati loro a dire per primi, come politici, che bisognava stare sotto un aumento delle temperatura terrestre di 1,5 gradi centigradi. Il G20 c’è arrivato cinque anni dopo. E oggi sono centinaia le città che hanno piani concreti di azione per rispettare l’accordo di Parigi sul clima e la riduzione delle emissioni, mentre i governi si contano sulle dita di una mano».
I casi di metropoli che hanno avviato politiche green e inclusive sono tantissimi. Perfino la Grande Mela è citata da Sarfatti come un buon esempio: «All’importantissimo tema della decarbonizzazione degli edifici, centrale per la transizione energetica, l’amministrazione di New York è stata forse la prima ad aver introdotto nel 2019 una serie di regolamentazioni locali per ridurre drasticamente le emissioni degli immobili esistenti e affinché i nuovi edifici siano a emissioni zero. Stando attenta però a non danneggiare le fasce della popolazione più povera. L’obiettivo è tagliare le emissioni del 40 per cento entro il 2030 e dell’80 per cento entro il 2050».
In Europa, Londra si è distinta per l’impegno nel miglioramento della qualità dell’aria creando per prima una «congestion charge» molto restrittiva e inaugurando lo scorso anno una zona a zero emissioni (Ulez) che a oggi copre 3,8 milioni di persone. «Alcuni sindaci della capitale britannica, in particolare Sadiq Khan, hanno dimostrato coraggio, affrontando di petto il problema senza nascondere ai cittadini i danni che provoca alla salute l’inquinamento dell’atmosfera. Parigi» aggiunge l’attivista «è un altro bell’esempio di coraggio: la sindaca Anne Hidalgo ha pedonalizzato molto velocemente la Senna e zone del centro cittadino scontrandosi con l’opposizione di alcune lobby, ma dimostrando che le sue decisioni drastiche hanno portato benefici a tutti».
Sempre in Europa, una lezione interessante arriva dalla Spagna: «Barcellona è in prima fila sul fronte sociale: nel proprio piano-clima ha inserito tra gli obiettivi l’eliminazione della povertà energetica entro il 2030 e la realizzazione di una serie di rifugi climatici - dove proteggersi da eventi estremi come inondazioni o ondate di caldo - raggiungibile da ogni cittadini nel giro di 10 minuti. Una scelta che mostra come gli effetti del cambiamento climatico non riguardi solo luoghi lontani come il Bangladesh ma anche le metropoli europee. Houston, in Texas, dove tempeste e uragani si verificano molto più di frequente rispetto al passato, ha messo a punto un programma di ricollocamento dei residenti per spingerli, con una serie di incentivi, a spostarsi a vivere in zone più sicure della città».
L’Italia ha come portabandiera Milano: «È considerata un caso esemplare nella gestione del cibo e dei rifiuti» continua Sarfatti. «Nel 2020 è stata insignita dell’ambito premio internazionale Earthshot Prize sulle migliori soluzioni per proteggere l’ambiente e dare allo stesso tempo sostegno alle persone in difficoltà grazie al progetto degli hub di quartiere contro lo spreco alimentare. Milano è tra le città al mondo con il più alto tasso di raccolta di rifiuti organici e ha una politica molto attiva contro lo spreco alimentare, avendo stretto accordi con ristoranti e commercianti in modo che il cibo in eccesso venga recuperato e dato a cooperative del terzo settore».
Il capoluogo lombardo poi ha varato una serie di misure sulla mobilità, come le controverse piste ciclabili, o il concetto della città in 15 minuti, dove i servizi fondamentali dovranno essere più accessibili ai residenti, apprezzate a livello internazionale. Tanto è vero che il sindaco di Milano Giuseppe Sala nel 2020 ha guidato una task force di sindaci voluta dal primo cittadino di Los Angeles sulla ricostruzione post-pandemia, che ha prodotto uno dei primi documenti politici su come vada gestita la ripresa in chiave verde ed equa. Un documento interessante che è finito anche alla Casa Bianca come fonte di ispirazione. Per quanto riguarda l’America del Sud, numerose città si stanno distinguendo per l’investimento nel trasporto pubblico sostenibile, grazie ad autobus elettrici e funivie. Gli esempi insomma sono innumerevoli.
Certo non esiste la città perfetta e ognuna ha grandi problemi tuttora da risolvere, a partire dalle disuguaglianze. E poi ci sono gli effetti della pandemia. Che ha reso ancora più evidente come vivere in una metropoli con tanto verde, buoni servizi, piste ciclabili, sia importante. Ma ha anche incentivato l’uso delle auto private e questo naturalmente è un effetto negativo che i sindaci stanno già affrontando. «Rinascere dalla pandemia è una sfida anche per gli ecosistemi urbani».
Snam
il nuovo quartier generale della Snam a Milano, quando verrà ultimato nel 2024.
Trasparente per accogliere la luce naturale (ed evitare sprechi energetici), realizzato con materiali che contribuiscono a ridurre drasticamente le emissioni di CO2, avrà giardini pensili, verde al posto del cemento e benessere dei dipendenti come priorità. Vi presentiamo in anteprima la nuova, avveniristica sede milanese della Snam. Metafora di come stanno cambiando i luoghi di lavoro, in funzione dell’ambiente.
di Marco Morello
L'area è tra le più dinamiche di Milano, si trova a pochi passi dalla Fondazione Prada, uno dei poli cittadini dedicati alla bellezza e alla cultura; si trova non lontano dal prossimo centro nevralgico dello sport d’eccellenza: il Villaggio Olimpico, previsto nell’ex scalo ferroviario di Porta Romana. È in questo vicinato in gran fermento che, nel 2024, sarà inaugurato il nuovo quartier generale di Snam. Un progetto coerente con lo spirito avanguardista del luogo, un traguardo che le sue medaglie sembra averle già vinte.
A scorrere i rendering, a leggere descrizioni e specifiche, si capisce quanto la sede sarà lontana dal concetto stantio di ufficio, grazie alle sue architetture futuristiche, la ricchezza di trasparenze per accogliere al meglio la luce naturale, le ampie zone di verde nei dintorni, un parco al posto del cemento, un giardino sospeso. Più vuoti, meno pieni. Una molteplicità di orizzonti aperti disegnati da Piuarch, lo studio che ha ideato l’architettura dell’edificio.
L’edificio si espanderà su una superficie totale di circa 19 mila metri quadri, sarà composto da 14 piani lungo tre volumi sovrapposti, con rientranze e sporgenze per trasmettere un’idea di dinamismo. Con il «fuori» e il «dentro» che concorrono allo stesso obiettivo: trasformare lo spazio di lavoro in una destinazione in sé, un approdo piacevole e non un obbligo di presenzialismo. Dove sentirsi a casa, come se si fosse in smart working, e dove le persone stesse possano contribuire a definire i nuovi modi di lavorare.
L’opera sarà realizzata da Covivio, una delle principali società immobiliari in Europa. Vivrà nel distretto Symbiosis, accanto ad aziende di primo livello che già l’hanno scelto per i suoi punti di forza. Il nome, d’altronde, ne racconta lo spirito: la simbiosi è quella tra le persone e i luoghi, la città e i suoi abitanti. Un tassello cruciale nella metamorfosi di un quartiere, accesa e sospinta dai suoi inediti riferimenti. Una teoria convertita in pratica, in quanto l’edificio sarà sostenibile, con emissioni locali nulle, l’energia che lo alimenta prodotta principalmente da fonti rinnovabili.
Scendendo nel dettaglio, l’immobile conseguirà le più importanti certificazioni nazionali e internazionali in termini di efficienza (Leed & Well non inferiori a Gold, Brave, Cened e Casaclima). Svetterà su un parco di 8.500 metri quadri, firmato dal paesaggista Antonio Perazzi, specializzato nello scrivere storie d’incanto con le piante. Un’impronta di verde che proseguirà in un teatro, pronto a essere messo a disposizione della collettività per attività didattiche all’aperto ed eventi. Una maniera per inserirsi nel tessuto locale, anche attraverso le attività di Fondazione Snam, che coinvolgono una rete di enti attivi sul territorio.
Il dinamismo ritorna all’interno dell’edificio, dove il benessere dei dipendenti sarà la priorità. I classici ambienti di lavoro saranno alternati con spazi dedicati alla collaborazione, alla creatività. Dove incontrarsi, discutere, far crescere sé stessi assieme alla società. Porre l’accento sul senso di comunità, ribadendo un’attenzione alla flessibilità. Il cappello, il filone, è di respiro internazionale: aderisce alla logica dell’iniziativa europea «Sharing cities», che fissa i criteri per mettere al centro la partecipazione, la sostenibilità, in ogni piano e processo di rigenerazione urbana. L’approdo, condiviso da Snam, è abbattere le emissioni di CO2, migliorare la qualità dell’aria, rendere le città più vivibili.
Mentre guarda al futuro, l’azienda non lascia indietro il passato. Aderisce ai bisogni del suo presente: oggi è distribuita in cinque sedi differenti tra il capoluogo lombardo e San Donato Milanese, che ospitano circa mille persone. Domani, mentre ottimizzerà la sua presenza immobiliare sul territorio, manterrà lo storico legame con San Donato Milanese: qui continuerà a rimanere operativo il cosiddetto «dispacciamento», il cervello tecnologico degli oltre 33 mila chilometri di rete energetica della società, accanto ad alcuni uffici e al centro di formazione «Snam Institute».
Inoltre, è in piedi una collaborazione con il comune locale per sviluppare progetti legati alla cura dell’ambiente. In particolare, la controllata Arbolia (vedi anche approfondimento a pagina 116) ha messo a dimora oltre 2 mila alberi per lo sviluppo di un nuovo bosco urbano. Il nuovo, avveniristico quartier generale sorgerà tra via Condino e via Vezza D’Oglio, a pochi minuti dalla metropolitana, in un’area facilmente raggiungibile in bicicletta. Un ulteriore sprone alla sostenibilità, principio che per Snam si esprime a tutto tondo. E che ha trovato casa.
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Venezia vista dall'alto
Riqualificazione e protezione da turismo di massa ed eventi naturali. Il presidente della Regione Luca Zaia e il sindaco Luigi Brugnaro raccontano il futuro della Serenissima.
di Maddalena Bonaccorso
Non è moderna fragilità, quella di Venezia, ma resilienza antica. È la storia di una città abituata a resistere a tutto, a trovare soluzioni sostenibili e alternative, a sfruttare gli elementi naturali e a cercare di farli diventare vantaggio anche quando sembrano ostacoli. La sfida si costruisce giorno dopo giorno, e proprio dalla Serenissima prende il via il progetto della Fondazione «Venezia capitale mondiale della sostenibilità», partita lo scorso mese di luglio con il beneplacito del ministro dell’Economia e delle Finanze, Daniele Franco.
La firma dell’atto costitutivo della Fondazione è avvenuta nel corso di un incontro svoltosi nel Palazzo della Prefettura a Ca’ Corner a cui hanno preso parte, tra gli altri, i rappresentanti delle istituzioni pubbliche fondatrici del progetto, il ministro per la Pubblica amministrazione, Renato Brunetta, il governatore della Regione Veneto, Luca Zaia, e il sindaco di Venezia, Luigi Brugnaro, oltre ai rappresentanti delle prime istituzioni e alle numerose aziende promotrici della Fondazione: Snam, Assicurazioni Generali, Confindustria Veneto, Università di Ca’ Foscari, Eni, Boston Consulting Group, IUAV, Accademia di Belle Arti, Conservatorio Benedetto Marcello e Fondazione Giorgio Cini.
Lo scopo è porre la città al centro di un laboratorio globale di riqualificazione urbana e ambientale, e promuovere lo sviluppo di un piano di interventi funzionali alla crescita sostenibile del territorio; in particolare il rilancio di Marghera come polo per la produzione di energie alternative, la riqualificazione urbana e la promozione del patrimonio artistico e culturale di Venezia. In definitiva, si cercherà di rendere la città un centro di rilievo mondiale per il dibattito scientifico accademico e culturale sui temi della sostenibilità anche attraverso l’organizzazione di una «Biennale della Sostenibilità», riunendo ogni due anni istituzioni, accademici, esponenti del mondo dell’arte e delle scienze e imprese per discutere e proporre soluzioni sui temi relativi ai cambiamenti climatici e, più in generale, della sostenibilità.
«La Regione del Veneto sta ripetendo da tempo» spiega il presidente Luca Zaia «che la sostenibilità è l’unico futuro plausibile per proteggere e valorizzare la città più bella e fragile del mondo. Il piano su cui stiamo lavorando è molto ampio e complesso. Cerco di fare degli esempi» prosegue il governatore. «Un’opportunità che vogliamo cogliere è il grande progetto di riconversione del Polo di Marghera nel nuovo Polo di Sviluppo della tecnologia dell’idrogeno. L’idrogeno, lo ricordo, è ritenuto una delle linee di sviluppo energetico del futuro nella logica della riduzione delle emissioni climalteranti. Ci proponiamo su questa e su altre progettualità legate all’ambiente come il grande progetto di monitoraggio con l’utilizzo dell’intelligenza artificiale, un’idea che abbiamo proposto al governo, del tutto innovativa a livello mondiale».
Il Veneto, del resto, ha dimostrato di saper affrontare tematiche ambientali anche complesse, ottenendo risultati significativi. «È proprio così. Basti pensare alla gestione dei rifiuti che ci vede al top in Italia e in Europa» continua Zaia. «Oppure alla tematica degli inquinanti emergenti come i Pfas su cui il Veneto, a oggi, è la regione più avanzata in Italia. O, ancora, alla tematica dell’adattamento ai cambiamenti climatici rispetto cui la nostra regione si è dotata, ormai da anni, di un piano di opere che ha già visto centinaia di milioni di euro investiti per la mitigazione del rischio idraulico con effetti positivi già sperimentati sul campo. Invito anche a pensare alla tematica del consumo del suolo, dove ci siamo dotati di una legge innovativa che ha già iniziato a dare risultati evidenziando un’inversione di tendenza rispetto al passato, come testimoniato da Ispra, l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale, che certifica come il Veneto abbia dimezzato i gas climalternanti negli ultimi anni».
Come radice storica e background culturale del progetto di «Venezia capitale mondiale della sostenibilità» non poteva non esserci la Fondazione Cini, con il suo segretario generale, l’architetto Renata Codello: «La questione di fondo è che Venezia è una città nata sostenibile. È l’unica che primariamente ha dovuto pensare alla sua sopravvivenza fisica, per esistere» spiega la presidente. «Tant’è che già nei tempi più remoti la tutela dell’acqua e della laguna erano problematiche cruciali, e le pene che venivano comminate a chi “disturbava” l’equilibrio erano severissime. Da questo punto di vista c’è quindi un dato fisico di base: non esistono altre realtà urbane che vivano questa situazione, Venezia è emblematica. Il secondo dato è quello che sulla città, negli ultimi anni, si sono concentrate una serie di criticità, che di fatto costituiscono tutto ciò che non si deve fare in termini di sostenibilità: l’over-tourism, il numero di turisti superiore alla compatibilità dell’accoglienza, lo spopolamento dei residenti, l’economia mono-culturale e i fenomeni naturali da contrastare con il funzionamento del Mose, che ancora non è totalmente “in linea”. Tutti questi elementi, già clamorosamente evidenziati con l’acqua alta del novembre 2019, sono stati ancora più messi a nudo con la pandemia. Ciò che alcune città e comunità ancora si ostinano a vedere come temi distanti sono qui a Venezia tangibili: è la ragione per cui occorre e si può partire da qui. Tutti questi elementi, insieme, ci danno la griglia delle difficoltà che devono essere affrontate per creare una vera e propria cultura della sostenibilità».
Venezia centro del mondo sostenibile, dunque, per tradizione antica, per storia, per cultura e per effetti contingenti. Ne è fermamente convinto anche il sindaco della città, Luigi Brugnaro: «Venezia, proprio nell’anno in cui celebra i 1.600 anni dalla sua Fondazione, guarda al futuro e dimostra, con questo importante progetto, non solo il suo ruolo di Città Capitale del Veneto ma anche il suo essere luogo di innovazione e d’avanguardia culturale e tecnologica. Un bagaglio di esperienza e sperimentazione che vogliamo mettere a disposizione del mondo intero. Sono, quindi, particolarmente orgoglioso di vedere avviato questo prestigioso e ambizioso progetto che premia un percorso virtuoso che la città sta attuando e toccando tutti quegli aspetti che possano, a pieno titolo, farle meritare il titolo di Capitale mondiale della sostenibilità».
La città veneta è stata proposta come laboratorio internazionale di sperimentazione e innovazione sociale dove transizione energetica, gestione dei flussi turistici, difesa della residenzialità, rigenerazione educativa e resilienza culturale si intersecano per affrontare la vera sfida del mondo contemporaneo: il contrasto ai cambiamenti climatici, di cui il capoluogo lagunare rappresenta l’emblema. «Venezia è una città unica, punto di incontro tra società civile, mondo accademico e scientifico, ma è sempre più spesso minacciata da fragilità cicliche e strutturali che mettono a rischio il patrimonio artistico, il sistema socio-economico e residenziale e l’ecosistema lagunare» aggiunge Brugnaro. «Ci aspetta una sfida di importanza storica, ancora più forte e decisiva in questo momento di uscita da una pandemia che ha ribaltato gli equilibri mondiali: occorre quindi tornare a riflettere sui temi dello sviluppo economico con forte senso di responsabilità e visione del futuro, cercando soluzioni sostenibili ai problemi attuali attraverso la scienza, la cultura, la tecnica e l’innovazione. Bisogna avere fiducia gli uni negli altri e fare comunità. Venezia dà il benvenuto a tutti coloro che vogliano collaborare per trovare soluzioni» conclude il sindaco. Venezia centro del passato, ma città ideale del futuro.
IED
Il progetto di recupero dell’Ex Macello di Milano dove sorgerà il nuovo Campus dell’Istituto Europeo di Design.
La sede dell’Istituto Europeo di Design, un distretto museale, nuove abitazioni e un sistema di spazi aperti a tutti. Ecco come verrà reinventata l’area ex «Macello» a Milano.
di Guido Fontanelli
«Cosa c’è di più sostenibile e resiliente dell’insegnamento?». Esprimevano grande soddisfazione le parole di Francesco Gori, amministratore delegato dell’Istituto Europeo di Design, quando nell’ottobre scorso commentava al talk «Le nuove città, resilienti e sostenibili», alla Biennale di Venezia, l’avvio di un nuovo progetto urbanistico a Milano.
Il motivo di questo appagamento è il progetto di recupero dell’ex Macello del capoluogo lombardo, dove sorgerà il nuovo Campus internazionale dello IED, accanto a un distretto museale scientifico dedicato alla divulgazione delle tecnologie e a un sistema di spazi aperti a tutta la città, con case a prezzi accessibili (sotto i 2.500 euro al metro quadrato) per 1.200 famiglie e centinaia di studenti. «È un progetto molto importante per Milano, in particolare per un’area sostanzialmente abbandonata da qualche decina d’anni che viene così restituita alla città» ha dichiarato Gori, secondo cui «il campus contribuirà a rigenerare, riqualificare, ripopolare le aree dismesse del quartiere Calvairate attraverso la costruzione del più grande polo di formazione in ambito creativo».
Il futuro dell’area dell’ex Macello è stato disegnato dal piano Aria di Redo Sgr, vincitore della seconda edizione di Reinventing Cities, il bando internazionale indetto dal Comune di Milano insieme a C40 (la rete che unisce i sindaci di un centinaio di città): il bando prevede l’alienazione o la costituzione del diritto di superficie di siti da destinare a progetti di rigenerazione urbana in chiave sostenibile. In questo caso si tratta dell’ex Macello che si estende per 15 ettari, e comprende due aree, attualmente separate da via Cesare Lombroso, in passato parte della cittadella dei mercati generali.
«Da un mercato dismesso nascerà un polo culturale d’eccellenza, con edilizia di qualità a prezzi accessibili, verde e servizi» ha sottolineato il sindaco Giuseppe Sala. «Reinventing Cities è nata insieme a C40 proprio con questo obiettivo: ricucire pezzi di città in un’ottica innovativa, nel rispetto di elevatissimi standard ambientali, portando benefici diffusi sul territorio grazie a una stretta sinergia tra pubblico e privato. Sostenibilità, proiezione internazionale e inclusività: è questa la via per continuare a far crescere Milano e farla camminare insieme alle grandi città del mondo». Una visione condivisa da Hélène Chartier, responsabile di Zero carbon development per C40: «Quando quattro anni fa abbiamo avviato Reinventing Cities, Milano è stata la prima città a salire a bordo e da allora è stata un grande partner di C40 per modellare e co-sviluppare l’iniziativa».
Mobilità green, cinture di parchi e aree rurali, trasformazione del tessuto cittadino. Il sindaco Gaetano Manfredi traccia il futuro del capoluogo campano.
di Sergio Barlocchetti
«La transizione energetica e la sfida dei cambiamenti climatici richiedono politiche adeguate per ogni scala di riferimento» dice a Panorama il sindaco di Napoli Gaetano Manfredi. «A livello urbano e sovra-urbano è necessario lavorare per l’efficientamento delle reti di distribuzione, per una gestione sostenibile della mobilità e per la riduzione dei consumi energetici. È inoltre importante preparare le città alle innovazioni tecnologiche; penso all’idrogeno e alle opportunità legate a questo vettore energetico nella mobilità urbana, nelle tecnologie per il riscaldamento degli edifici e in altre applicazioni. Le realtà urbane devono essere pronte ad accogliere benefici e opportunità offerte dalle nuove tecnologie.
Quali sono le aree a maggiore criticità di Napoli nelle quali è prioritario intervenire?
Sicuramente dove è alta la densità abitativa e dove coesistono attività produttive con attività agricole e funzioni residenziali. Queste zone richiedono attenzione e politiche adeguate con interventi mirati e di sistema, in grado di mitigare le criticità ambientali a cui spesso si accompagnano criticità sociali.
Con i fondi del Pnrr, quali progetti possono essere attuati per primi?
A livello urbano gli interventi finanziati dal Pnrr riguarderanno più fronti: la mobilità, con interventi diversi, tra cui il potenziamento della rete metropolitana, l’ammodernamento del nostro parco autobus con mezzi elettrici e il potenziamento della rete di colonnine per la ricarica dei mezzi elettrici; la riqualificazione del patrimonio edilizio con interventi sulle scuole o sugli edifici residenziali pubblici; quindi il verde cittadino, con la riqualificazione di giardini e parchi storici, tra cui la Villa comunale.
Esiste un progetto per realizzare una «cintura verde» attorno alla città?
Napoli ha una grande potenzialità rappresentata dalle aree verdi presenti nel territorio comunale, al di là del modello urbano della «green belt». Oltre ai parchi e ai giardini urbani ci sono le aree rurali del Parco delle colline, la cui vocazione va sostenuta e rafforzata. Accanto alle politiche di conservazione di queste zone, infatti, il modello della ruralità urbana può rappresentare una via di sviluppo e innovazione anche sociale delle periferie.
I primi passi che farà?
Cominceremo con la rivisitazione del piano regolatore, non per il Pnrr, ma perché quello attuale fotografa una città di 30 anni fa e chiaramente sono cambiate le esigenze, i modelli di sviluppo e le necessità. Ci sono temi di grande complessità che richiedono un aggiornamento.
Può illustrare in concreto che cosa intende?
I nuovi modelli sociali ed economici stanno definendo forme diverse per lavorare, abitare e muoversi. Questo riguarda inevitabilmente la città di Napoli, sia per i suoi cittadini sia per i tanti turisti. Ma anche le nuove tecnologie e i cambiamenti indotti dalla pandemia che stiamo attraversando stanno modificando le necessità.I regolamenti urbanistici devono accompagnare questi cambiamenti definendo nuovi modelli di sviluppo sostenibile del territorio urbano. La città policentrica - di cui abbiamo tanto discusso in campagna elettorale - ovvero una realtà urbana dove i servizi si avvicinano al cittadino ovunque risieda, può essere realizzata solo attraverso una rivisitazione del piano regolatore che ridistribuisca le funzioni metropolitane e ridisegni le connessioni, anche verso l’esterno. Inoltre, la transizione energetica va perseguita in città con il potenziamento di una mobilità sostenibile, con la riduzione dei consumi energetici, con modelli alternativi di sviluppo. Un passo fondamentale in questa direzione è proprio la revisione degli strumenti urbanistici.
Potenziamento dei tram, mezzi a idrogeno, riqualificazione. «La mia città avrà la “Low emission zone” più grande d’Italia» annuncia il sindaco Dario Nardella.
di Sergio Barlocchetti
«Da quando sono sindaco abbiamo approvato oltre 40 progetti di rigenerazione urbana, un record, evitando il consumo di nuovo suolo» racconta a Panorama Dario Nardella, primo cittadino di Firenze. «La dismessa Manifattura Tabacchi oggi è rinata come hub della cultura, dell’innovazione, della moda. Sono stati riconvertiti palazzi storici come il Granaio dell’Abbondanza, ora centro di formazione, il Palazzo di San Marco, ex tribunale, oggi centro internazionale per le arti dello spettacolo» continua Nardella. «Il Quartiere San Donato, da ex grande sito industriale, adesso è il Centro direzionale di Firenze con il Palazzo di Giustizia, le università, la sede della Regione Toscana e altre realtà. L’elemento di svolta è stata la realizzazione del sistema tramviario cittadino, un progetto da 2 miliardidi euro che prevede la realizzazione di sette tramvie, di cui tre realizzate. Queste hanno portato a 26 mila veicoli in meno in circolazione al giorno e 4.200 tonnellate di PM10 in meno.
Firenze e le fonti energetiche rinnovabili, a che punto siamo?
Dal 2005 Firenze ha ridotto del 40 per cento le emissioni totali di CO2. Siamo la città in cima alle classifiche nazionali per numero di colonnine elettriche e di veicoli elettrici per abitante. La città è sede di una delle più grandi aziende al mondo del settore, Baker Hughes, che sta sperimentando l’uso di CO2 per produrre idrogeno. Questo oggi è il settore di maggiore impegno anche grazie al progetto del Comune in collaborazione con Regione Toscana, Snam e Rfi per creare un’area di produzione, stoccaggio e distribuzione dell’idrogeno per alimentare i treni della Linea faentina e una flotta di bus. Stiamo sperimentando la geotermia per il riscaldamento dei centri sportivi. Il solare rimane al momento la rinnovabile più usata, ma penso anche alle pellicole fotovoltaiche da applicare alle finestre o al progetto di collaborazione con Tesla solar roof per realizzare tegole solari praticamente identiche a quelle tipiche toscane.
Mobilità urbana e privata, un conflitto inevitabile?
Il conflitto si supera con poderosi investimenti sul trasporto pubblico. Occorre dare ai cittadini un’alternativa valida che garantisca certezza dei tempi di viaggio, comfort e convenienza. Abbiamo investito sulle tramvie realizzando in quattro anni le due linee che collegano il centro all’aeroporto e all’ospedale Careggi. Stiamo realizzando l’estensione della Linea 2 - da nord al centro storico - e quest’anno inizieremo la Linea 5 diretta a sud est. Abbiamo già risorse per la Linea 4 (Firenze - Campi Bisenzio, in progettazione), e La linea 6 (centro-Stadio-Rovezzano). Porteremo ogni anno sui tram quasi 80 milioni di persone. Realizzeremo lo «scudo verde», 87 porte intorno alla città a delimitare la Low emission zone più grande d’Italia nella quale potranno circolare solo veicoli a impatto basso o nullo. Avremo la flotta di bus più moderna d’Italia. Intanto, stiamo implementando la rete per la ricarica elettrica. Sul fronte delle piste ciclabili entro il 2024 raggiungeremo i 110 chilometri.
L’Unione europea ha fissato le tappe per ridurre le emissioni nelle megalopoli. Cento saranno pronte già entro il 2030.
di Marco Morello
Il senso lo raccontano i dati: le città coprono appena il 4 per cento dell’intero territorio dell’Unione Europea, ma sono abitate dal 75 per cento della sua popolazione. Una soglia che dovrebbe salire ancora, raggiungere l’85 per cento entro il 2050. Serve una reazione, anzi una missione: «The Climate-neutral and smart cities mission», il nuovo patto verde dell’Ue. Che fissa due snodi intermedi, di medio e di lungo periodo: il primo, per il 2030, intende ridurre del 55 per cento le emissioni totali; il secondo, più ambizioso, mira a trasformare l’Europa nel primo continente con zero emissioni nette di gas a effetto serra, riducendole e compensando le residue entro il 2050.
Il traguardo non è fumoso, né distante: entro otto anni, per il 2030, la Commissione Europea vuole avere già 100 città «virtuose», un gruppo di destinazioni all’avanguardia in grado di anticipare di un quinto di secolo l’obiettivo generale. Di raggiungere la neutralità climatica, agendo subito: le «100 climate-neutral cities», da tabella di marcia, verranno confermate nelle prossime settimane. Non con un obbligo, una direttiva decisa dall’alto, anzi come effetto di una candidatura spontanea avanzata dalle interessate.
A rendere ancora più funzionale il modello è la modalità scelta dall’organismo comunitario: non si parla di accordo, ma di contratto, quasi a testimoniare il peso specifico di uno sforzo bilaterale, che distribuisce le responsabilità tra le parti. «Crea sinergie tra le attività esistenti» si legge nella presentazione ufficiale dell’iniziativa. Che prosegue, scendendo nel dettaglio: «Anche se non saranno legalmente vincolanti, questi contratti costituiranno un chiaro e altamente visibile impegno politico, non solo con la Commissione e le autorità regionali e nazionali, ma anche con i loro cittadini».
Inoltre, includeranno un piano d’investimenti, uno sforzo economico che non sarà univoco: solo per il biennio 2021-2023, per la fase di start-up del progetto, l’Ue promette di stanziare circa 360 milioni di euro in ricerca e innovazione. Le aree che le riceveranno sono un’ottima lente per leggere i territori d’intervento immaginabili: l’energia, la mobilità, la pianificazione urbana. Con l’opportunità, per chi aderirà, «di offrire un’aria più pulita, trasporti più sicuri e minore congestione ai suoi abitanti».