La sovranità a colpi di click non funziona

Se la sinistra, con tanto di Landini al seguito, continua a proporre referendum a iosa, dimostrando così di non saper fare l’opposizione, forse dovremmo cambiare il primo articolo della Costituzione italiana. Nella nuova formulazione dovrebbe recitare così: l’Italia è una Repubblica fondata sui referendum. La sovranità appartiene al popolo che la esercita attraverso un click. Il referendum è previsto dalla Costituzione all’articolo 75. Insieme alla petizione, con la quale si formula una richiesta ad un’autorità, in genere governativa o a un ente pubblico (art. 50, Cost.), e al disegno di legge di iniziativa popolare, con cui il popolo può proporre una legge raccogliendo le firme di almeno 50 mila elettori (art. 71, Cost.), il referendum è uno degli strumenti di partecipazione popolare alla vita politica attraverso il quale il popolo può chiedere l’abrogazione totale o parziale di una legge. Si chiama referendum abrogativo. C’è anche il referendum confermativo, in particolare per le leggi di natura costituzionale come previsto all’articolo 132. Tanto per intendersi quello sul quale Renzi si giocò tutto e perse tutto nell’ormai lontano 2016. Non sono previsti dalla Costituzione italiana i referendum «propositivi», cioè tali non da abrogare una legge ma da proporla, né quelli «deliberativi» e quelli «legislativi», cioè quelli che propongano direttamente interventi legislativi.

La natura del referendum è quella di un’azione non ordinaria - diciamo così - dell’attività politica in ambito legislativo, ma «straordinaria». Il processo legislativo si svolge all’interno del Parlamento, Camera e Senato. I quattro referendum sul lavoro proposti dalla Cgil si aggiungono al referendum proposto dall’opposizione sull’autonomia differenziata (tanto per intenderci una forma di federalismo) e all’ultimo, presentato la settimana scorsa, sulla riduzione da dieci a cinque anni per l’acquisizione, da parte di immigrati, della cittadinanza italiana. Nella storia della Repubblica italiana, dal 1946, si sono svolti 72 referendum nazionali dei quali 67 abrogativi, un referendum istituzionale, un referendum di indirizzo e tre referendum costituzionali. Per quanto riguarda i referendum abrogativi il quorum della maggioranza degli aventi diritto, il 51 per cento, è stato raggiunto nel 58,2 per cento dei casi. Per quanto riguarda i referendum costituzionali, per la riforma del Titolo V e della seconda parte della Costituzione, per i quali non è previsto un quorum di partecipazione, hanno partecipato il 34 per cento degli aventi diritto, una quota bassissima tenuto conto dell’importanza dell’argomento del referendum.

Tutto questo per dire che quando si indice un referendum e si raccolgono le firme una volta su due non ci si riesce. Infatti, molte volte, più che esprimersi negativamente sulle questioni proposte, gli elettori hanno preferito non andare a votare e far saltare direttamente il referendum stesso. Ho l’impressone che questa opposizione (sempre sindacato al seguito il quale, ormai, si occupa più di questioni generali che non di contratti di lavoro e di stipendi dei lavoratori che in Italia sono fermi al palo da vent’anni) stia scegliendo la formula in modo un po’ azzardato e il primo motivo è quello che ho detto enumerando i casi, uno su due, in cui non si raggiunge il quorum e si fa spendere allo Stato centinaia di milioni di euro per nulla. Il secondo motivo - che mi pare di natura politica molto più rilevante - è che l’opposizione, evidentemente, non riesce a influire nelle aule parlamentari sulle proposte della maggioranza di governo. L’opposizione, generalmente, negli anni in cui non è al governo, si movimenta per alimentare il suo popolo in vista delle successive elezioni, per battere l’attuale maggioranza, formulando una serie di proposte, di visioni della politica diverse e lontane da quelle di chi governa. Insomma, nutre il futuro elettorato di contenuti in modo che esso si convinca sulla necessità di un cambio di rotta. Su questo fu maestro Silvio Berlusconi che, nei lunghi cinque anni di opposizione, dal 1996 al 2001, se ne inventò di tutti i colori: dal Tax day al Security day fino alla famosa nave Azzurra che navigò lungo tutta l’Italia fermandosi in varie città. Fu un modo di fare opposizione non distruttivo ma costruttivo. Ho l’impressione che questa opposizione non lo possa mettere in pratica, sia per le sue divisioni interne sia per una marcata mancanza di proposte.

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