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February 06 2019
Lo chiamavano «l’urlatore». Con lui, dicevano, il vero pericolo non è perdere il lavoro, quanto perdere l’udito. Nei talk show è stato a lungo ospite fisso, perfetto per la rissa. Un Vittorio Sgarbi senza parolacce, capace di attaccar briga con chiunque. E poi lo chiamavano anche «il sandinista» perché è sempre stato molto barricadero e poco conciliante. Una specie di ardito sindacale, insomma, con il coltello tra i denti, amante del gesto estremo più che del faticoso lavoro della trattativa. Lotta dura, felpa senza paura. Le felpe, in effetti, le ha sempre indossate con gusto, ancor prima che Salvini lanciasse la moda. È il suo capo d’abbigliamento preferito, insieme naturalmente alle immancabili magliette della salute.
Ma ora Maurizio Landini, neo segretario della Cgil, dovrà affrontare una sfida nuova. Non dovrà più dar voce alla ribellione tumultuosa, infatti, ma al corpaccione molle di una confederazione che per oltre la metà dei suoi residui 5 milioni di iscritti è formata da placidi pensionati. Il sindacato, in effetti, ha smesso da tempo di rappresentare il mondo del lavoro: più che rosso, ormai è diventato grigio, come i capelli dei suoi iscritti. Più che le fabbriche presidia circoli e balere. Più che le rivendicazioni salariali ha come cuore le questioni previdenziali. Saprà l’ex ragazzo fumantino dell’Appenino reggiano calarsi nel nuovo ruolo vetero-istituzionale?
Di cambiamenti, di sicuro, ne ha fatti già tanti. Prima urlava sempre in tv, poi ha cominciato a centellinare le sue presenze. Prima ha fatto la guerra alla Camusso, poi è entrato nella sua segreteria. Prima lottava per le pensioni anticipate, adesso dice che la pensione anticipata con quota 100 non va bene. Prima chiedeva il reddito di cittadinanza, adesso dice che è una pessima idea. Fra l’altro il motivo per cui boccia il reddito di cittadinanza è che «mescola due cose che andrebbero affrontate separatamente: lotta alla povertà e politiche per il lavoro». Nel 2017 a Micromega diceva che lotta alla povertà e politiche per il lavoro «devono andare di pari passo». La coerenza, del resto, non è mica una maglietta della salute.
Ma proprio per questo da lui ci si può aspettare di tutto. Molti sospettano infatti che porterà il sindacato rossogrigio alla Svolta gialla, cioè grillina. Il 33 per cento degli iscritti alla Cgil, per la verità, secondo Tecnè, già vota Cinque stelle. Il 10 per cento vota Lega. Ciò significa che quasi un iscritto su due è a favore della maggioranza di governo, fatto piuttosto strano per un sindacato che storicamente ha sempre portato acqua a Pci-Ds-Pd. Il nuovo vertice ne prenderà atto? E cambierà direzione? Il 9 febbraio, alla prima uscita in piazza del neosegretario, si vedrà. Intanto il suo primo atto ufficiale è stata una presa di posizione da favore del regime socialcomunista venezuelano di Nicolás Maduro. Non si è sandinisti, per caso, in fondo. E non si è sandinisti per un solo giorno. Quarto di cinque figli, madre casalinga e padre partigiano, fin da giovanissimo in fabbrica, divoratore di libri gialli, ex tifoso del Milan di Rivera, ora passato alla Reggiana, amante di Liguabue e Zucchero, alla domanda «sei comunista?», Landini ha sempre risposto: «Non so». Non ha mai letto Marx, era vicino ai Ds, mai al Pd, anche se per un po’ di tempo ha civettato con Matteo Renzi, di sé dice: «In tasca ha solo due tessere: l’Anpi e la Cgil». Peccato che non abbia anche quella del tram, ha commentato un mio amico nel descrivermi il personaggio. «Perché»?, ho chiesto io. «Perché ci si potrebbe attaccare, visto quello che gli toccherà…».
Gli toccherà cambiare la Cgil, infatti. E non è facile. Secondo una ricerca Demoskopea dello scorso settembre (ricerca, per altro, contestata dal sindacato), l’ex Potenza rossa ha perso quasi 300 mila iscritti in due anni. Di sicuro ha perso ruolo, presenza, significato, capacità di parlare ai propri iscritti, appeal nella società, peso nella vita pubblica. Non riesce a far presa sui giovani, non è riuscito a capire le trasformazioni profonde dell’economia e del Paese. È stato travolto dalla crisi. Ed è sempre più ostaggio delle sue Pantere grigie, che stanno al lavoro più o meno come Matusalemme all’asilo d’infanzia. Riuscirà l’ex urlatore a cambiare tutto ciò? O preferirà, ancora una volta, cambiare se stesso per adattarsi?
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