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October 06 2016
«È meglio ottenere una pace accettata da tutti che un accordo debole che piace solo alla metà dei cittadini».
Durante la conferenza convocata al termine dell'incontro con Juan Manuel Santos, l'ex presidente colombiano Alvaro Uribe (2002-2010), il leader della campagna per il No nel referendum sull'accordo di pace con le Farc, ha aperto a un nuovo patto con la guerriglia, dichiarandosi favorevole al mantenimento del cessate il fuoco bilaterale e offrendo la sua disponibilità per «allargare il consenso» attorno al processo di pace, tenendo ovviamente conto del risultato referendario.
Rimangono però tutta una serie di ostacoli al raggiungimento di una nuova intesa con le Farc che ponga davvero fine a 52 anni di guerriglia.
1) Il primo ostacolo riguarda le esatta modalità della «giustizia di transizione»: un accordo di pace che preveda, in cambio del riconoscimento dei propri delitti, un'«amnistia tombale» per gli ex guerriglieri è già stato bocciato dalla maggioranza dei colombiani.
2) Un altro ostacolo riguarda il presunto diritto della guerriglia a «farsi partito», entrando nel Parlamento con propri rappresentanti, così come era previsto dall'accordo di Cartagena.
3) Il terzo ostacolo, più superabile, riguarda le rivendicazioni, legali ed economiche, delle vittime della guerriglia marxista sulle quali Uribe ha «battuto» per tutta la campagna elettorale.
Non sono scogli irrilevanti sulla strada di un nuovo accordo di pace.
C'è però da dire che (almeno a parole) la volontà di tutti gli attori colombiani, dal presidente Santos fino al leader della guerriglia Timochenko, è quella di proseguire sulla strada del dialogo, cercando un'«intesa» che non sia umiliante per nessuno e che soprattutto possa durare nel tempo.
Una volontà comune che è condivisa anche da tutte le cancellerie mondiali, dal Vaticano, dalle Nazioni Unite, dall'Unione europea, dagli Stati Uniti, dominus incontrastato nel Sud America dai tempi della dottrina Monroe.
«La pace in Colombia è vicina e noi riusciremo a farla diventare realtà» ha detto Santos al termine dell'incontro con Uribe, di cui fu (muscolare) ministro della Difesa prima della rottura e della sua salita alla Casa de Nariño a Bogotà.
Rimane ancora da capire quale tipo di accordo potrebbero accettare le Farc, alle quali sono ormai venuti meno i sostegni militari e finanziari che, per decenni, ha loro fornito la Cuba di Castro.
Pur controllando il 30-40% del territorio colombiano, le Farc - che non hanno esitato (pur di difendere i raccoglitori di foglie di coca presenti sul territorio da loro controllato) a fare affari con il narcotraffico - sono ormai un pallido ricordo di quello che sono state per decenni e contano oggi solo settemila effettivi, un numero cinque volte inferiore a quello di cui disponeva durante l'epoca d'oro negli anni 70 e 80.
Il vero punto d'attrito sul quale potrebbe saltare tutto l'impianto negoziale riguarda naturalmente l'amnistia, precondizione secondo le Farc della smilitarizzazione delle loro basi nella selva.
CHI È URIBE
Indiscusso vincitore nella campagna per il No all'accordo di pace con le Farc siglato a Cartagena de Las Indias, Uribe è stato presidente della Colombia dal 2002 al 2010, otto anni durante i quali la Colombia è cresciuta economicamente ed è riuscita a raggiungere - grazie anche una politica repressiva molto dura e molto discussa contro la guerriglia - un livello di stabilizzazione senza precedenti.
Il tutto in un Paese che, dal 1980 in avanti, ha dovuto superare prove durissime, dal narcoterrorismo di Pablo Escobar agli omicidi extragiudiziali dei gruppi guerriglieri e dei famigerati squadroni della morte (Autodefensas Unidas de Colombia) al servizio di terratenientes, narcos e proprietari.
Con ogni probabilità, se la Costituzione glielo avesse consentito, Uribe avrebbe vinto anche un terzo mandato. Un sogno che ora, dopo «aver saltato un giro», e forte della vittoria del No nel referendum, potrebbe tornare d'attualità.
Uribe è un avvocato, politicamente carismatico, figlio di un pezzo grosso del partito liberale, Alberto Uribe Serra, assassinato - secondo un documento top secret della Direzione Investigativa Antidroga del 1991 rivelato da corrispondente del Newsweek Joseph Contreras- «in un regolamento di conti tra narcotrafficanti».
Lo stesso Uribe, che negli anni della sua presidenza divenne un alleato di ferro del Plan Colombia americano contro la droga, fu inserito nello stesso documento della Dea del 1991 tra i narcotrafficanti più potenti della Colombia, alleato di Escobar e dei fratelli Ochoa, nonché nemico giurato, negli anni 80, dell'estradizione dei narcos verso gli Stati Uniti.
Il report di intelligence della DIA su Uribe (pag. 10) on Scribd
Il fratello minore di Uribe, invece, è stato arrestato nel febbraio 2016 per aver guidato il gruppo paramilitare di destra dei Dodici Apostoli ad Antoquia, autore secondo i giudici di moltissimi omicidi extragiudiziali.
Come ex capo dell'Aviazione civile negli anni in cui Pablo Escobar veniva inserito da Forbes tra gli uomini più ricchi del pianeta, Uribe - secondo gli organi di stampa americani e il periodico El Espectador, il cui ex direttore Guillermo Cano fu assassinato dal Cartello di Medellin per le sue frequenti denunce del narcotraffico - fornì numerose licenze di volo, e autorizzazioni ad utilizzare piste di atterraggio situate nelle fincas degli uomini più ricchi della Colombia, tra cui quella di Jaime Cardona, uomo forte di Pablo Escobar e del Cartello poi ucciso in una vendetta incrociata tra narcos.
I rapporti di Uribe coi capi delle Autodefensas Unidas de Colombia, gli squadroni paramilitari considerati vicini ai narcos e autori di due omicidi di candidati presidenziali legati alla sinistra, sono stati spesso oggetto di numerose inchieste giornalistiche e affondi di avversari politici, senza che lo straordinario consenso di cui gode l'ex presidente sia quasi mai stato scalfito durante i suoi due mandati presidenziali.