L'apparizione di Xavier Giannoli, un sacro mistero - La recensione
Lourdes, Fatima, Betania, Guadalupe, Medjugorje e tutte le altre apparizioni mariane, riconosciute e non dalla Chiesa, luci e miracoli, visioni, illusioni. Poi c’è L’apparizionedi Xavier Giannoli (in sala dall’11 ottobre, durata 144’), cineasta francese di Neuilly-sur-Seine, autore non intensivo ma qualitativo, due volte in concorso a Cannes (A modo mio nel 2006 e À l'origine tre anni dopo) e una a Venezia (Marguerite nel 2015), talento visivo e sensibilità superiore. Doti che dispiega anche oggi in questa sua opera settima, basculante tra film d’indagine e dramma spirituale, con intensi echi emozionali.
Quattro elementi per raccontare un “miracolo”
Il racconto, scritto dallo stesso Giannoli e la collaborazione alla scrittura di Jacques Fieschi e Marcia Romano, grava su quattro elementi concreti e uno astratto ma, diciamo così, sobillante. Il primo è il protagonista maschile, che si chiama Jacques (Vincent Lindon) ed è un fotoreporter di guerra che tra le sabbie esplosive del medioriente perde un collega fraterno e quasi l’udito; il secondo è la protagonista femminile Anna (Galatéa Bellugi), giovinetta dai grandi ipnotici occhi grigioverdi che proclama di aver visto la Vergine Maria; il terzo è il paesino rupestre del sudest francese dove la Madonna si sarebbe palesata e che, per questo, diventa mèta di incessanti, adoranti e cospicui pellegrinaggi; il quarto s’avvolge all’apparizione medesima, con la connotazione di mistero gelosamente custodito dal locale parroco Padre Borrodine (Patrick D’Assumçao) iperprotettivo verso Anna e spalleggiato dallo strano e un po’ sinistro Anton (Anatole Taubman) che pare mosso soprattutto dai risvolti turistici e industriali della faccenda.
Accade così che Jacques riceva una telefonata dal Vaticano e venga colà incaricato di far parte della commissione d’esame col compito, come sempre accade, di valutare l’attendibilità dei fatti ed eventualmente dichiarare il loro riconoscimento ufficiale. Di qui il suo viaggio verso un’esperienza inedita e l’incontro con Anna, col parroco e con la realtà di un luogo cui pare arduo strappare informazioni concrete.
Una catena narrativa che si allunga all’infinito
Via via che l’esplorazione procede, anzi, l’arcano pare infittirsi, infilandosi tra le amicizie della ragazza e le testimonianze sulla sua vita passata e presente nonché le evidenze di quella manifestazione sacra: alla quale ora sembra difficile negare autenticità, ora, al contrario, diventa problematico dar credito. E con molti indizi che sembrerebbero, ad un certo punto, recapitare un segnale di inattendibilità. Ma non definitivo, perché altri anelli si aggiungono a quella catena che si allunga all’infinito/indefinito sotto gli occhi di quel reporter che pensava di aver visto tutto del mondo e che, adesso, deve fare i conti con dimensioni altre, nuovi interrogativi e nuove percezioni di sé.
La natura dell’incognita tra reale e soprannaturale
Tra cielo e terra, materia e spirito, guerra e pace, odio e carità rotola il racconto. Lo definiresti un giallo, anzi qualcosa di più e di meglio, un “giallo sacro”. Che assiduamente si (ri)carica di indizi e nuove prospettive, allargandosi come un ventaglio sul ricco territorio narrativo. Al regista, evidentemente, interessano molti aspetti dell’argomento: da una parte i meccanismi delle indagini che la Chiesa conduce per stabilire il confine tra la verità e la bufala, dall’altra lo studio della sempre fitta fauna di coloro che chiamano i “falsari di Dio”, dall’altra ancora la natura del dubbio che può infiltrarsi tra le certezze di un uomo, come il fotoreporter protagonista, che ha fatto dell’obiettivo fotografico, dunque della percezione assoluta del reale, una ragione di vita.
Un'avvincente e trascinante matrice emotiva
Tutto questo, mescolandosi e suddividendosi in capitoli, produce il film. Al quale consegna, accanto agli interrogativi e ai temi di sicuro interesse, una forte, avvincente e trascinante matrice emotiva. Non solo nel dilemma che percuote la coscienza di Jacques ma anche e soprattutto nel comportamento dell’incantata Anna, nella sua presenza magnetica e nella sua tensione sacrificale che sembra voler esplodere da un momento all’altro all’avvicinarsi della verità su quella Madonna reale o immaginaria che “sente le grida del mondo” e chiama i pellegrini alla preghiera. Sarà, ma in quei momenti ove la Fede si esprime in tutta la sua intensità riesce a generare commozione e vibrazioni: specie nei volti dei credenti, non certo nei candelotti accesi o nei souvenir ovunque apparecchiati; sicché appare benigno il concetto della possibile “santità”, non tutto il circo che le viene costruito attorno, inclusa la sua spettacolarizzazione, perfino televisiva.
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