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June 25 2019
Giovanni Succi richiama la mia attenzione quando presenta da GermiL’arte del selfie nel Medioevo intrecciando Dante e le sue Rime Petrose alla parola selfie. Mi sono persa quella serata ma sono arrivata giusto in tempo per Testi in testa, le sue canzoni al battesimo del vuoto alla libreria Gogol & Company di Milano.
La sua voce da gigante e la sua intenzione possono tutto senza bisogno di schiamazzi gestuali. I suoi versi hanno rapito e portato via gli ascoltatori attraverso paesaggi, dolori e risate ironiche. Per un momento anche i bambini che giocavano a calcetto in piazza si sono avvicinati, attratti dai versi e devoti, come indicava la palla ferma sotto il braccio.
Giovanni, da dove vieni? Dalla musica, la letteratura, il teatro, da dove fisicamente?
"Fisicamente da Nizza Monferrato, provincia di Asti. Vengo dal rock’n’roll e dal blues sempre per vie traverse. Dalla letteratura italiana partendo dalla filologia romanza e dalla storia della lingua, senza vergogna. Anomalo? Sono un’anomalia vivente."
Quando hai iniziato a scrivere?
"Più o meno a sei anni, era una notte buia e tempestosa."
Perché non ti piace la parola poesia?
"La parola poesia non ne può niente, è l’abuso che se ne fa a rendermela insostenibile. Oscilla tra due estremi opposti, come quasi tutto in Italia: anche gli analfabeti pensano di farla, oppure mette ancora in soggezione. Credo sia questo rollio a darmi la nausea. La trovi solo imbalsamata oppure fritta in padella. O pomposità o cialtroneria.
Vivo in un’epoca fradicia dell’onda lunga di cliché romantici, in una nazione che butta in poesia anche una lasagna e ripara i ponti che crollano con un cuoricino rosso. In Italia alzi la mano chi non è un poeta. E poi poesia sarebbe un obiettivo (per farmi capire dagli italiani: un target, una mission), eventualmente un esito, non una garanzia, non un blasone, non un alibi per non dire niente, dirlo male e darsi arie. Nella sostanza si chiamano versi, non poesia. È un mestiere che non si inventa, come ogni altro mestiere."
Perché il nome L’arte del selfie nel Medioevo?
"Cercavo un’immagine forte per affrontare in modo leggero un tema e una proposta quasi improponibili sulla carta: Dante e le Rime Petrose. Che cosa sono in fondo se non una forma di auto-rappresentazione con i mezzi dell’epoca: parole in ritmi e rime. (Il rap del XIII secolo? Perché no). Le Rime Petrose hanno la peculiarità di rovesciare di colpo tutto il Dante del luogo comune, tutto quello che di Dante credevi di sapere. L’autore trentenne ribalta la sua stessa poetica di un decennio prima. Cosa c’è di più improbabile di un rocker che ti racconta Dante e te lo rende vivo, al punto che devi ammettere: non ci posso credere, mi sono divertito e ho rivisto le mie opinioni sul più grande scrittore della storia. Ma pensa un po’, non era un coglione!
Non esiste un altro Instagram del medioevo toccante, vario e dettagliato quanto il suo. Si forgia una lingua, la rende adatta a qualsasi stile, ci si fa un poema. Addirittura un poema in cui l’eroe è lui stesso (addirittura già anti-eroe, con debolezze, dubbi, ire, fragilità…), alle prese con il mondo, mentre passeggia all’altro mondo (non era una novità il tema, ma il modo assolutamente sì). L’eroe è l’autore stesso, primato assoluto: non un Achille, un Enea, un santo o un chissà chi, ma un tizio, lui stesso; e ti parla direttamente, a tu per tu con chi lo legge da settecento anni. Oh raga, da non credere: sono davanti alla porta dell’Inferno. Che faccio, vado? E tu gli credi ciecamente e gli dici vai!"
Hai mai avuto paura all’idea di presentare proprio Dante? Credi che ti senta da qualche parte?
"Male non fare, paura non avere. Se Dante ci sente - spero di no - gli sarà arrivato anche tutto l’odio immeritato che gli deriva dall’obbligatorietà scolastica: ragazzi, anche un piatto di spaghetti dipende da chi te lo cucina.
Eventualmente se fa schifo, lo stronzo è il prof., non Dante.
Comunque no, per sua fortuna non ci sente, ma credo ne sarebbe felice: fedele al suo insegnamento io oso l’inosabile, lo rimetto in carne ed ossa, lo porto dove non è mai stato, lo sporco di rock’n’roll, rischio come lui ha sempre fatto. Certo, a differenza sua ho la fortuna di vivere in un tempo in cui non rischio il rogo. Racconto la vita che ha fatto e, a fronte di quella, che cosa ha prodotto, con quali mezzi, in quali tempi. Il risultato è che qualunque altro scrittore ne esce asfaltato. Gli rendo umilmente un servizio, mi sembra il minimo: pochi (pochissimi) ricordano o hanno mai capito perché sia così un gigante: nessuno te lo spiega, lo si dà per scontato. Sovranisti e nazionalisti, oggi così devoti alla patria in virtù della pizza e del bidet, non sanno una mazza di arte, letteratura o della lingua che hanno in bocca (uniche autentiche radici dell’italianità). Per quel poco che posso io rimetto almeno la palla al centro. Poi se la gioca lui. E ovviamente vince, come da sette secoli a questa parte."
Per chi scrivi quando scrivi?
"Per te che ascolti."
“Tutto il resto è letteratura. Brutta o bella, passata o futura. Ed è esattamente quel che resta. Tanto vale farla.” Cosa deve fare o avere, per te, la letteratura per essere bella?
"Per questa domanda ci sono di solito due risposte pronte, due cliché falsissimi entrambi. Il primo: per essere bella la letteratura deve essere vera. La letteratura è di per sé tutto tranne che vera. Letteratura è finzione umana. (Fiction deriva da un termine latino). Gli animali non la fanno, non la si trova in natura, quindi è un artefatto e nasce da un bisogno umano. Dante non fece viaggi oltremondani, non incontrò mai Virgilio, non rivide mai Beatrice: tutto inventato. Chi non è del mestiere confonde continuamente il vero con il verosimile. Una cattedrale è un’invenzione. Sta in piedi? Sì, ma non in quanto vera, anzi proprio in quanto finta, artefatta (cioè fatta ad arte). Se arte-fatta male, anche una cattedrale crolla.
Il secondo falso cliché è che per essere bella la letteratura debba essere spontanea, fatta col cuore. Cazzata. Di spontaneo al mondo c’è solo la Natura. C’è un progetto anche dietro una pizza o un agnolotto. Il cuore non pensa, vibra, pulsa, serve a pompare sangue. Il sangue dovrebbe ossigenare il cervello. Se nel cervello ci sono le pigne, il cuore al massimo può provare a ossigenare le pigne."
Di solito chiedo all’intervistato di parlarmi del buio, a te vorrei chiederti anche sull’amaro.
"L’Amaro Succi, dalla metà dell’Ottocento, è rimasto effettivamente nel buio dal 1946 al 2017. Poi un giorno scrissi questa storia sul mio blog, raccontando di voler intitolare “Con Ghiaccio” il primo album di inediti a mio nome (per la mia discografia rimando a nomi come Bachi Da Pietra ecc.). Volevo risorgere come l’amaro (che sarei io) e dei veri distillatori (Erba Volant), appassionati da questa storia, hanno riprodotto quel liquore. È potente, un rimedio a tutti i mali, vi invito all’assaggio."
Prossime date:
27 giugno, Cortili di Ago, Modena.
25 luglio, Fondazione Tito Balestra, Castello di Longiano (FC).
3 agosto, Chiostro di San Rocco, Carpi.
7 settembre, Iubel Festival, Todi.
Giovanni Succi