Laser antiaerei operativi entro un anno, Israele schiera il “raggio di ferro”
Qualche mese fa avevamo preannunciato che le forze militari israeliane (Idf) avrebbero presto schierato armi a concentrazione d’energia, ovvero laser (ma non soltanto), per contrastare le minacce aeree provenienti dal Libano e dall’Iran. Ed è di qualche giorno fa la notizia che proprio il sistema laser Iron Beam (termine che sta per raggio, radiazione), sarà integrato nella rete di difesa israeliana entro la fine del 2025. Nell’ultimo anno le Idf hanno lavorato parecchio per renderlo parte del sistema di difesa denominato “C3” e per dare il via allo sviluppo di varianti trasportabili da veicoli blindati, anche leggeri, con potenze ridotte della metà e a un decimo di quella nominale. Le sperimentazioni proseguono, per questo motivo il tempo è necessario, sia per la sperimentazione operativa, sia per la produzione in serie degli apparati, per i quali il 28 ottobre scorso la Difesa ha stanziato l’equivalente di quasi mezzo miliardo di euro. Tanto denaro servirà per pagare l’attività di Elbit (azienda nazionale che si occupa di elettronica militare e che costruisce l’emettitore del laser – laddove “cannone” sarebbe un termine improprio – e per quella che dovrà fare Rafael, costruttore e fornitore dell’interno sistema, con facoltà di esportarlo dove il governo israeliano consentirà di farlo.
Lo Iron Beam funziona emettendo in modo concentrato una grande quantità di energia, fino a 100 kilowatt, potendola dirigere con precisione verso i bersagli per rendere ancora più capillare e al tempo stesso economica l’efficacia degli altri sistemi antiaerei esistenti come gli Arrow 2 e 3 e il David’s Sling, quelli che compongono lo Iron Dome attuale intervenendo su portate medie e lunghe. I primi bersagli del laser antiaereo israeliano potranno quindi essere droni, razzi, missili da crociera e balistici, intervenendo quando la quantità di ordigni in arrivo può essere tale da saturare le difese attuali.
Il punto di forza del laser è certamente il fatto di non scagliare alcun effettore fisico verso il cielo, eliminando la necessità dei rifornimenti delle postazioni e abbattendo drasticamente i costi. Laddove un intercettore dello Iron Dome, come il diffusissimo missile Tamir, costa l’equivalente di 70.000 dollari, un colpo, pardon lampo, di laser non supera i 25 dollari. Nel momento in cui l’energia colpisce l’ordigno in arrivo mette fuori uso l’elettronica di bordo prima ancora di fonderla per surriscaldamento o incendiarne la struttura. Sarà quindi da sperimentare attentamente poiché se il bersaglio resta interno esso potrebbe deviare dall’obiettivo programmato. Non a caso gli Usa utilizzano già i laser ma dalle navi, abbattendo bersagli in mare aperto, e quello della “incertezza della distruzione” non è l’unico punto negativo dei sistemi a energia diretta. Fattori critici sono la precisione e la rapidità di puntamento, poiché i danni agli ordigni nemici vengono provocati quando l’energia si accumula sul bersaglio e non da un evento istantaneo come l’intercettazione da parte di un’altra arma o di un proiettile. Per essere precisi, i puntatori devono essere pilotati da radar ad alta precisione ed esattamente come un comune cacciatore che spara a una preda volante devono “anticipare” la traiettoria. Il movimento delle torrette laser deve quindi essere perfetto, ma in questo esse sono facilitate dalle dimensioni e dal peso, più contenuto rispetto a quello di una batteria con canne da fuoco. Che si tratti di laser oppure di radiofrequenza, l’emissione viene influenzata dalle condizioni atmosferiche in essere. La pioggia, ma anche nebbia, grandine, neve, sabbia in sospensione, interagiscono con il fascio emesso provocando deviazioni, attenuazioni, diffrazioni eccetera. Vero è, comunque, che seppure limitatamente, anche i missili in arrivo devono fare i conti con questi eventi. Infine, c’è la possibilità di danni collaterali, poiché i laser nell’atmosfera e al di fuori di essa viaggiano per migliaia di chilometri e potrebbero causare accecamenti o danni altrove soprattutto quando “l’alzo” del raggio emesso fosse basso e proseguendo nella sua propagazione potrebbe colpire qualcosa che non sia inerte. Fino a un anno fa lo sviluppo dell’arma Iron Beam non è stato completamente a carico di Israele, la collaborazione con l’industria degli Stati Uniti, specialmente con Lockheed-Martin, è infatti nota da tempo e talune componenti sono comuni agli apparati usati dalla US Navy e dalle Idf.
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