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May 31 2019
Il vero latte di mucca rischia un crollo nei consumi. Schiacciato dalla moda dei succedanei, quali il latte di riso, di avena, di mandorla e di soia, e da una serie di errate informazioni che negli ultimi anni ne hanno gravemente rovinato la reputazione, il prodotto vaccino va incontro da parecchio tempo a una vera e propria demonizzazione. E con esso, i derivati –anche molto pregiati- che solo con la vera e autentica materia prima di qualità possono essere realizzati.Secondo i dati dell’Osservatorio Nestlè-Fondazione Adi, solo il 41% degli italiani beve latte tutti i giorni, contro il 55% del 2012, mentre negli ultimi anni il 25% l’ha proprio bandito dalla propria tavola, spesso senza averne motivo e cioè senza avere intolleranze al lattosio o allergie alle proteine del latte.
Il latte fa male oppure no?
Ma perché un prodotto che fa parte della dieta dell’uomo fin dalla notte dei tempi è stato scientificamente demolito e di conseguenza deprezzato (vedi proteste degli allevatori sardi nel febbraio di quest’anno) quando tra le altre cose è la base di partenza di molte eccellenze del made in Italy, apprezzate ed esportate in tutto il mondo?
E soprattutto, cosa c’è di vero e cosa di falso nelle affermazioni di chi non esita a mettere al bando un alimento così prezioso in nome di generiche accuse di scarsa digeribilità o addirittura di intolleranza ?
Una spiegazione ce la fornisce il professor Enzo Spisni, che dirige il Laboratorio di Fisiologia Traslazionale e Nutrizione del Dipartimento di Scienze Biologiche, Geologiche ed Ambientali dell' Università di Bologna:”Alla base della "caccia alle streghe" che si è verificata intorno al latte vaccino negli ultimi anni" spiega il professore "c'è un problema di fondo, e cioè il fatto che l'industrializzazione del processo produttivo ha effettivamente cambiato il prodotto originario. Cioè, il latte che beviamo noi oggi è profondamente diverso da quello che bevevano 50 anni fa i nostri nonni, mentre noi siamo fondamentalmente rimasti uguali, dato che la fisiologia umana impiega molte centinaia di anni a modificarsi. Quindi questo latte di oggi, che è più ricco di caseine è effettivamente più infiammatorio: questo non vuol dire che faccia male, ma di certo è diventato un alimento complicato che non tutti riescono a digerire".
Le conseguenze degli allevamenti intensivi
Alla base di queste problematiche di digeribilità del latte "moderno" c'è innanzitutto l'alimentazione delle mucche, il cui stomaco è programmato per nutrirsi di erba e fieno mentre negli allevamenti si usano mangimi industriali, cereali e soia. Più sono le proteine che vengono somministrate alle mucche, più aumenta la sintesi di caseine, meno il latte è digeribile:"L'alimentazione a base di soia e altri mangimi" continua Spisni "rende il latte munto da questi animali meno salutare di quanto potrebbe e dovrebbe essere. Tradotto: la mucca allevata male dà un prodotto di qualità inferiore. Se a tutto ciò aggiungiamo il fatto che l'uomo di oggi, nato in ambiente cittadino, più inquinato e con meno esposizione ai batteri buoni, ha un apparato digerente più delicato di quello dei nostri nonni, ecco che questa concomitanza di fattori rende il latte meno digeribile a più persone di quanto accadesse prima".
Allevamenti etici e filiera corta:una possibile soluzione
Come si può quindi intervenire per salvare dall'oblìo una grande eccellenza della tradizione italianacome il latte fresco, elemento indispensabile per il mantenimento dell'equilibrio nutrizionale, oltre che per il suo contenuto di calcio? E ovviamente i suoi numerosi derivati, quali mozzarelle, formaggi stagionati come grana e pecorino, burrate e yogurt?
Sicuramente con un ritorno ai metodi tradizionali di allevamento, con un maggiorre rispetto per gli animali, per i loro tempi e per le loro esigenze nel campo dell'alimentazione.
E su questo argomento, sono d'accordo anche molti produttori: già nel febbraio del 2018, per esempio, l'azienda "Alce nero" ha mandato sul mercato il primo yogurt biologico prodotto con il latte-fieno(latte di mucche alimentate solo con erba e fieno e lasciate libere di pascolare) grazie alla partnership con gli allevatori altoatesini di "Mila". Il loro yogurt, lungi dall'essere solo un prodotto, è anche un messaggio di sostenibilità e, secondo le parole dell'amministratore delegato Massimo Monti è "il punto di arrivo di un progetto che ha inizio con la salvaguardia dell'ambiente: quello dell'alpeggio, a opera di allevatori "contadini" impegnati nella difesa di un modello agricolo che preserva la salute della terra e dell'uomo"
Il modello Gran Sasso
Ma non c'è solo l'Alto Adige: in centro Italia, per esempio, in un territorio duramente provato dai terremoti e non certo a tradizione casearia come quello delle Marche, anche l'azienda Sabelli crede fortemente nella filiera corta e nel benessere degli animali. Con prodotti di grande eccellenza come il "Fior di Gran Sasso" è l'azienda che negli anni Sessanta, con il fondatore Nicolangelo Sabelli, ha fatto conoscere all'Italia del nord la treccia di fior di latte:"Siamo produttori di latticini e mozzarelle da tre generazioni" spiega l'amministratore delegato Angelo Galeati, nipote di Nicolangelo"e sin dagli anni '20 abbiamo sempre puntato sul tradizionale, sulle mozzarelle fatte con il latte di raccolta, dei produttori locali. Qui la manualità dell'uomo conta ancora qualcosa: racccogliamo latte da Abruzzo, Marche e Umbria e gli allevamenti sono tutti piccoli e rispettosi della salute delle mucche. Raccogliere latte da zone montuose, e per giunta dentro una zona Parco è senza dubbio anti economico: ma noi, pur di avere quel latte, lo paghiamo di più, sostenendo l'economia di tutto un territorio, proprio come faceva mio nonno negli anni Venti".
I risultati? Ottimi. Con 80 milioni di fatturato e una burratina (su ricetta pugliese) che è oggi leader del mercato anche nella grande distribuzione, Sabelli è riuscita nella quadratura del cerchio. La qualità paga sempre, se si parla di latte e formaggi ancora di più