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Economia

I lavori più richiesti e pagati del futuro

Che gli stipendi italiani siano fra i più bassi d’Europa è una triste realtà che, ormai, non fa più notizia. Il livello salariale in Italia arranca, come noto, da oltre quindici anni. E, dal 2008 al 2013, è andata anche peggio visto che la crisi attuale ha spinto le aziende, già alle prese con un costo del lavoro troppo alto, a ragionare più sui tagli che sull’aumento delle buste paga.

Ma trovare un lavoro ben retribuito, anche per un giovane al primo impiego, è possibile. Non solo nei settori che vivono un vero boom, come il mondo digitale. Ma anche in quelli tradizionali, come la finanza, o nei comparti tipici del made in Italy. Senza dimenticare il grande potenziale di turismo, cultura e patrimonio artistico, sempre che (si spera) ci saranno gli adeguati investimenti. O, se si hanno attitudini e abilità diverse, i vari mestieri artigianali quali, tanto per fare un esempio, chef e sarti su misura.

La laurea è ancora un buon investimento che può raddoppiare lo stipendio
L’impresa, certo, non è facile. Partiamo dalla laurea. Se fino a qualche anno fa il fatidico «pezzo di carta» veniva considerato indispensabile per una buona carriera, oggi viceversa è bollato come «inutile» perché tanti neolaureati restano a casa senza lavoro o, quando va bene, si dibattono nella più selvaggia precarietà. Ma non è proprio così. «L’opinione corrente non tiene conto del fatto che i laureati che trovano un posto guadagnano fin da subito il 13 per cento in più di chi ha solo il diploma di scuola superiore» sottolinea Andrea Cammelli, presidente di Almalaurea, il consorzio che monitora l’inserimento dei laureati nel mondo del lavoro. «E questo vantaggio, nell’arco della vita, arriva a pesare sulla retribuzione fino al 50 per cento in più». Insomma, la laurea resta un buon investimento e garantisce stipendi più alti nel tempo.

Tanto più se accompagnata da un master o una specializzazione e, fondamentale, la padronanza (almeno) dell’inglese. Ma un titolo fa la differenza se si sposa con ciò che richiede il mercato. «Sappiamo che molte lauree non rispondono alle esigenze delle aziende: domanda e offerta di lavoro non si incontrano» prosegue Cammelli. «Tuttavia, è vero anche l’inverso: molte non sono sfruttabili perché manca il tessuto imprenditoriale adatto o un adeguato sviluppo di quel settore. Anche così si spiega l’ormai famigerata “fuga dei cervelli” all’estero». Politica e imprese, dunque, dovrebbero fare la loro parte per creare condizioni più favorevoli. Ma chi sceglie la propria strada dovrebbe essere più attento a conciliare le aspirazioni personali con la realtà. Quali, quindi, le lauree su cui puntare?

Ingegneria ed Economia i titoli che rendono di più
Le ricerche concordano sul fatto che, in tutto il mondo, ingegneria, economia e, in generale, gli indirizzi scientifici rendono più di quelli umanistici. Per l’Italia, una recentissima indagine della Fondazione Rodolfo Debenedetti ha inaugurato un metodo innovativo per individuare il «peso» reale della laurea. Lo studio ha preso in esame la città di Milano, incrociando per la prima volta dati mai raccolti: l’andamento scolastico dei ragazzi alle superiori, il reddito e l’istruzione delle loro famiglie, tempi e voto di laurea all’università, la carriera fatta a 5-10 anni dall’ingresso nel mercato del lavoro.

Ebbene, i risultati confermano che ingegneria ed economia hanno il valore aggiunto più alto. «A parità di tutte le altre condizioni, un laureato in economia guadagna in media 10 mila euro annui in più rispetto a un laureato in materie umanistiche fin dal primo anno dopo la laurea» spiega Massimo Anelli, ricercatore alla University of California e coautore della ricerca insieme a Giovanni Peri. «Tale premio lievita, con una busta paga che cresce più velocemente nei primi dieci anni (15 per cento in più per anno) e non penalizza le donne: la differenza salariale fra i due sessi si riduce al minimo». Giurisprudenza e medicina, invece, sono le lauree su cui incide di più l’origine familiare: in pratica, è più facile che chi ha scelto queste facoltà abbia alle spalle genitori avvocati o medici. In ogni caso, la meritocrazia vince: chi si laurea con il massimo dei voti, guadagna in media il 50 per cento in più di chi si laurea con voti bassi. Mentre la ricchezza della famiglia di provenienza ha un effetto minimo e incide solo il 6 per cento in più sul reddito atteso dal figlio laureato.

Appena 26.046 euro lordi all'anno per un neolaureato in altre discipline
L’andamento reale degli stipendi conferma questa fotografia. Mercer, società leader nella rilevazione delle retribuzioni nel mondo, calcola che un giovane italiano al primo impiego guadagna oggi appena 24.930 euro lordi all’anno, se è in possesso di una laurea triennale. Questa cifra sale a 26.046 euro con una laurea specialistica (3+2 anni), a cui si aggiungono ulteriori 664 euro se, dopo la laurea tradizionale, si è conseguito anche un master.

Ovviamente, si tratta di una media fra i molteplici indirizzi di laurea dei dipendenti (un campione basato su 340 imprese italiane o stanziate in Italia).Quali, invece, i lavori meglio retribuiti? Dati alla mano, i più pagati dalle aziende sono proprio gli ingegneri e i laureati in discipline economiche. Sempre Mercer registra, infatti, che un ingegnere nell’area informatica, servizi tecnici o ambientale, dopo pochi anni di esperienza (ovvero già intorno ai 30 anni), può contare su una busta paga che parte da quasi 50 mila euro annui o arriva a superare i 60 mila. Lo stesso vale per un laureato in economia. In questo caso, più vivace è il ramo commerciale con stipendi base di circa 50 mila euro annui. Che, grazie agli obiettivi di vendita raggiunti, arriva oltre 75 mila. Peraltro, buona parte dei lavoratori di questi settori riesce a portarsi a casa salari più alti di tali medie. E per il futuro?

I settori del Made in Italy e quelli tradizionali restano fra i più remunerativi
«Stando alla domanda del mercato, le aree più appetibili si confermano essenzialmente due: i settori trainanti del made in Italy che hanno mantenuto buone performance e disponibilità per gli investimenti, come moda e lusso o agroalimentare. E i settori tradizionali destinati a restare evergreen, come finanza, energia ed healthcare, per via dell’invecchiamento della popolazione» spiega Tomaso Mainini, managing director di Michael Page, una delle più accreditate società internazionali di ricerca del personale. «Poi, c’è il grande emergente: il settore digitale che, per sua stessa natura, si muove molto velocemente» continua Mainini. «In questo caso, i giovani possono trovare lavoro a discrete retribuzioni fin dall’inizio perché contano soprattutto le competenze tecniche. Infine, ci sono settori con alto potenziale ma finora poco dinamici ai fini retributivi: per esempio, turismo, cultura e beni artistici. Mentre qualcosa di più si muove nell’ambito della ristorazione e nel settore alberghiero».

Il digitale, grande emergente, assicura stipendi da 35 a oltre 100 mila euro
La classifica stilata da Michael Page in base alle attuali richieste (vedi profili), segnala in forte ascesa quattro figure professionali nell’area digitale: il web marketing manager, responsabile delle strategie di marketing di un’azienda attraverso i nuovi mezzi come internet, cellulari, tablet; l’e-commerce manager (addetto delle vendite online); il seo (search engine optimization) manager e il community manager che si occupano, rispettivamente, di posizionare bene l’azienda nel mondo virtuale e di rafforzare la «comunità» dei clienti attraverso i social network, oltre che di monitorare la cosiddetta «brand reputation» (il buon nome, per così dire, di un marchio sul web). La domanda riguarda tutte le aziende: essere su internet e gestire bene questa presenza è ormai cruciale.

Anche perché, grazie alle nuove tecnologie, le reazioni dei consumatori sono più dirette e immediate. Basti pensare, per esempio, a quanto successo nel caso Barilla sul no all’ipotetico spot pubblicitario con coppie omosessuali (pro e contro la frase pronunciata dal primo imprenditore della pasta italiana si sono scontrati via Facebook o Twitter alla velocità della luce).
C’è, poi, l’esplosione delle imprese digitali vere e proprie come, tanto per citare uno dei successi più eclatanti, Yoox.com: l'azienda italiana nata nel 2000 per vendere online capi di alta moda e oggi quotata in borsa con un record di incassi. Gli stipendi? In base alle dimensioni dell’azienda e all’esperienza acquisita, il settore digitale garantisce salari da un minimo di 35 mila a oltre 100 mila euro all’anno. E parliamo, per lo più, di giovanissimi ai quali si aprono ampie prospettive di carriera all’interno delle direzioni marketing, commerciale e digital delle stesse aziende o altrove.

Ristorazione e sanità sono ancora dinamiche
Altro profilo emergente, il food&beverage manager: responsabile della gestione di ristorante, cucina, bar di alberghi o grandi ristoranti è addetto alla qualità di prodotti e servizi, alla soddisfazione dei clienti, al controllo dei costi operativi. E cura nei minimi dettagli la gestione di tutti gli eventi. Per questo ruolo, è fondamentale la conoscenza completa dell’inglese e dei principali programmi informatici, oltre a doti di organizzazione e capacità di instaurare buone relazioni interpersonali.
Si parte da circa 50 mila euro annui e si arriva a 80-100 mila, dopo 5-10 anni di esperienza. E, anche qui, si aprono chance di carriera, per esempio, come direttore di hotel. Le previsioni stimano una buona domanda anche per product specialist e medical advisor. Nel primo caso, si tratta di laureati con indirizzo scientifico (come ingegneria, farmacia, biologia) che si occupano degli aspetti tecnici e commerciali dei prodotti destinati all’assistenza sanitaria e alla cura della persona. Si è inquadrati con 30-50 mila euro annui senza esperienza, ma si sale fino a 60 mila entro i primi cinque anni. Il secondo profilo si rivolge, invece, a laureati in medicina e chirurgia incaricati di coordinare le attività di ricerca di un’area terapeutica e gli studi clinici nazionali o internazionali per aziende farmaceutiche o di prodotti medicali. In questo caso, si parte dai 45-70 mila euro all’anno per finire a 80-100 mila superati i 10 anni di esperienza.

L'export manager
Fra i lavori a più rapida crescita, anche l’export manager. «È una delle figure in assoluto più ricercate dalle aziende di qualsiasi settore e dimensione, e per le quali tutti sono disposti a pagare molto bene» spiega ancora Mainini di Michael Page. In pratica, è il «motore» delle esportazioni: studia come e dove vendere un prodotto all’estero, cerca nuove piazze, stringe alleanze a livello locale e anticipa la concorrenza. «Si tratta di laureati in discipline economiche che, tuttavia, a volte hanno competenze tecniche sul prodotto che debbono vendere nei vari mercati. Serve destreggiarsi molto bene con l’inglese o, meglio ancora, con più di una lingua e viaggiare molto, anche se la base resta l’Italia. Ma un giovane entro cinque anni di esperienza arriva a guadagnare fino a 70 mila euro e, dopo una decina, fino a 150 mila».

Per i liberi professionisti nuove opportunità, ma bisogna avere le carte giuste
E i liberi professionisti? Difficile fare previsioni. Oggi rappresentano una buona fetta di lavoratori in Italia ma, sul numero effettivo degli attivi, ci sono solo stime (da 1,5 milioni a 3,5) ed è piuttosto complicato stabilire quanto guadagnano. Troppe le variabili fra la città in cui si esercita, i costi effettivi, gli ordinamenti delle professioni e, non ultimo, il reddito dichiarato (non esistono statistiche affidabili e si registra una certa ritrosia a parlarne). Inoltre, la crisi ha inciso pesantemente anche su avvocati, notai, farmacisti e medici. Il crollo del settore immobiliare, per esempio, ha ridotto gli atti di compravendita notarili. Il calo del potere d’acquisto delle famiglie ha visto tagliare le spese di farmaci e cure mediche. Per taluni, va messo in conto anche una sovrabbondanza dell’offerta.

Gli avvocati iscritti all’Albo italiano, per esempio, sono circa 260 mila. Solo a Roma se ne contano quasi 30 mila: la metà di tutta la Francia. Eppure, a sentire gli esperti, spazi ci sono o si possono creare anche in funzione di un migliore servizio di giustizia. «Le aree nuove sono diverse» sottolinea Guido Alpa, presidente del Consiglio nazionale forense. «La consulenza, nella quale gli avvocati possono fornire pareri legali; la composizione delle liti prima di una causa con un ruolo di “negoziatori” e anche la risoluzione stragiudiziale di eventuali conflitti tramite la mediazione e gli arbitrati affidati agli avvocati. Con adeguate riforme di legge, si potrebbero ancora ampliare gli ambiti professionali anche nell’ottica di semplificare i rapporti giuridici. Un altro settore che si sta aprendo è quello dei rapporti transnazionali, anche per via degli acquisti online: è importante perciò conoscere il diritto comunitario e internazionale e, almeno, l’inglese» conclude Alpa. Un dettaglio che i futuri «principi del foro» dovranno tenere bene a mente.

E i futuri "principi del foro" dovranno sapere bene l'inglese
«Oggi il 90 per cento degli avvocati italiani non parla lingue straniere» avverte Gian Ettore Gassani, presidente nazionale degli avvocati matrimonialisti. E questo fa perdere molte opportunità. «Il diritto internazionale, il diritto ambientale, quello marittimo o aereo, i contenziosi con i paesi esteri per l’e-commerce, l’antitrust, le operazioni di fusione e acquisizioni, sempre più frequenti con la globalizzazione, sono tutti ambiti con forte richiesta» sottolinea Gassani. «Anche il diritto di famiglia ha preso piede perché la società è cambiata: coppie di fatto, coppie miste, divorzi e, sebbene non ancora diffusi in Italia, i patti prematrimoniali.

Ma bisogna essere adeguatamente preparati. Altro passaggio chiave sarà associarsi in studi più grandi per abbattere i costi e contare su più risorse, come già avviene altrove». In effetti, senza arrivare alle cifre vertiginose di titolari o partner di studi legali, un avvocato sotto contratto all’estero percepisce un salario di 150-200 mila euro all’anno (o anche più con i bonus di risultato per le cause vinte). Lo stesso vale per i notai, professione molto ambita e finora ben remunerata. «Aprire e mantenere uno studio ha un costo alto, soprattutto nei primi anni» spiega Gabriele Noto, vicepresidente del Consiglio nazionale notariato. «Si deve investire molto nell’aggiornamento professionale e nella tecnologia: in Italia, d’altronde, siamo ormai l’unica professione paperless». Così, il saldo fra spese ed entrate, è di alcune decine di migliaia di euro nel primo anno. Ma conta molto la sede assegnata. Se non basta, c’è sempre la politica. Nonostante i tagli, la busta pagadi onorevoli e senatori è ancora buona. Ma, avvertenza d’obbligo, di questi tempi non è più una carriera così certa.

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