Economia
October 09 2017
Più di 2,8 milioni. È il numero dei contratti di lavoro a tempo determinato esistenti in Italia, secondo i dati dell'Istat rielaborati in un rapporto appena divulgato dalla Fondazione Di Vittorio che fa capo alla Cgil.
Il report mette dunque in evidenza che le aziende italiane tendano ancora a proporre ai propri dipendenti degli inquadramenti precari, nonostante il Jobs Act, la riforma del lavoro del governo Renzi, avesse l'obiettivo opposto: disincentivare il precariato e far decollare le assunzioni stabili a tempo indeterminato.
Dunque, a giudicare dai numeri della Fondazione Di Vittorio, sembrerebbe che la riforma abbia fallito in pieno il suo scopo. A ben guardare, la realtà è un po' più complicata di quanto non sembri a prima vista.
Innanzitutto, se è vero che sono aumentati i lavori temporanei, non va dimenticato pure che è in crescita anche il numero di posti di lavoro a tempo indeterminato, che ad agosto erano 14,88 milioni, contro i 14,6 milioni del 2015.
Inoltre, ci sono alcuni aspetti importanti da considerare, messi in evidenza dal sociologo del lavoro Francesco Giubileo in un suo intervento sul sito web Lavoce.info.
È vero che il Jobs Act harottamato l'articolo 18 e introdotto i contratti a tutele crescenti, rendendo più flessibili i rapporti a tempo indeterminato per incentivare così le imprese ad assumere stabilmente i nuovi dipendenti. Tuttavia, come sottolinea l'editorialista de Lavoce.info, il governo Renzi ha varato ancor prima del Jobs Act un'altra riforma del lavoro (o per meglio dire una“mini riforma”), che va nella direzione opposta.
Si tratta del Decreto Poletti(dal nome dell'attuale ministro del lavoro) che nella primavera del 2014 ha di fatto liberalizzato i contratti a tempo determinato. Prima di tre anni fa, le aziende che volevano reclutare un dipendente con un inquadramento a termine dovevano indicare nel contratto una causa precisa che giustificava l'assunzione precaria. In assenza di questa causa, il contratto poteva anche essere dichiarato illegittimo e convertito in un tempo indeterminato.
Il Decreto Poletti di 3 anni fa ha tolto però questo vincolo della causale, eliminando pure alcuni paletti che impedivano il reiterato rinnovo dei contratti a temine (pur mantenendo il tetto massimo di 3 anni per la loro durata).
Dunque, per effetto del Decreto Poletti e nonostante il Jobs Act, le aziende non hanno oggi alcuna convenienza a proporre a un dipendente un contratto stabile anziché a tempo determinato. “Per quale assurda ragione”, chiede Giubileo su Lavoce.info, “un datore di lavoro dovrebbe assumere una persona con un contratto a tutele crescenti (e a tempo indeterminato ndr)?".
Proponendo un inquadramento stabile, infatti, oggi l'imprenditore si espone al rischio di dover pagare delle penali in caso di licenziamento, cioè un indennizzo pari adalmeno 4 mensilità di stipendio.
Optando per il tempo determinato, invece, il datore di lavoro può sempre scegliere di non rinnovare il contratto alla scadena senza essere tenuto a spiegare il perché. Per questo, secondo Giubileo, sarebbe ora di cambiare al più presto il Decreto Poletti, per non avere le armi spuntate nella lotta al precariato.