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March 24 2017
Incontro il poeta, pittore, editore e attivista, Lawrence Ferlinghetti, che compie 98 anni, a casa sua a North Beach nel quartiere degli italiani.
MAZ: Tra poco ne fai novantotto?
LF: Novantotto cosa? (Ride)
MAZ: che ne so… mesi?
LF: Novantotto secoli? (Ride con vigore)
MAZ: Voglio dire, stai per completare sulla terra novantotto giri attorno al sole?!
LF: Sì, sto cercando di capire anche come decollare molto presto verso l’atmosfera, fuori nello spazio. (Ride di gran cuore)
La nostra conversazione viene interrotta due volte dal telefono di casa: prima perché emette improvvisamente suoni come segnali dallo spazio evocato da questo gigante dell’umorismo e della leggerezza – Lawrence Ferlinghetti, classe 1919 –, e successivamente proprio da una serie di squilli; fino a che questo gentiluomo dell’altro millennio si accerta personalmente che l'apparecchio sia completamente spento, scusandosi per l’interruzione.
Un gesto semplice a cui però oggi è pressoché quasi impossibile assistere durante un incontro.
Con Ferlinghetti invece realizzi che il tempo, almeno quello della conversazione, ha ritmo e regole precise, e pertanto lo puoi anche fermare, finché il gioco dell'ascolto non sia ripristinato.
Le Origini
Il 24 marzo 2017, il "lost boy" — come lo definì qualche anno fa in un bellissimo articolo il Wall Street Journal, descrivendone l'incredibile metamorfosi che lo portò sin da bambino a saper sopravvivere ad una serie continua di difficoltà (orfano di padre, adottato da una famiglia all'altra in seguito all'ospedalizzazione della madre per la morte del marito), fino a diventare quella leggenda vivente di poeta assoluto quale è — Ferlinghetti inizia la sua novantanovesima primavera con molto ancora da dire sulla sua America di oggi.
Il bardo di North Beach, da quasi venti anni primo Poet Laureate di San Francisco, è più che mai attivo e ricercato – sembra che a breve possa incontrarsi con il Sen. Bernie Sanders per discutere sulle "magnifiche sorti e progressive" degli Stati Uniti d’America nelle mani dei Repubblicani.
Brillante ed estremamente acuto, sempre focalizzato respiro dopo respiro, Ferlinghetti mi regala ogni tanto qualche parola e persino una battuta in "norbiccese" — come piace dire a lui divertito —, vale a dire quell'idioletto che ormai pochissimi vecchi emigrati italo-americani parlano ancora tra di loro a North Beach: una sorta di grammelot notturno alla Céline o un pasticcio orfico alla Gadda, con cui si impasta insieme una manciata ricreativa di dialetti eruttati insieme dallo Stivale Italiano.
Si centellina, dunque, l'indomabile ariete, attivista sempre in prima linea per difendere i "San Francisco Values" in soccorso dei più deboli, e alle cui fondamenta ha contribuito dagli albori degli anni '50, dando continuazione da vero protagonista alla migliore tradizione poetica moderna americana degli anni '40, quale: la San Francisco Renaissance.
Si tiene molto impegnato e quotidianamente informato, oggi più che mai, sul destino del suo Paese che già quattro anni fa aveva definito con amara ironia "sulla buona strada per diventare un terzo mondo, qualora la retorica Repubblicana vincesse."
Lo addolora moltissimo non avere più la capacità di poter leggere assiduamente come prima. Si aiuta a passare le pagine dei libri sotto un ingranditore: la vista lo sta ineluttabilmente abbandonando, disegnando sul suo volto un'altra delle tante maschere poetiche che ha calzato lungo la sua intensa vita ricca di tante primavere, per resistere alla vita stessa, vale a dire, la maschera di un Tiresia bifronte: "ilare in tristizia, e triste in ilarità", come potrebbe dire il maestro degli ossimori, Gesualdo Bufalino.
Sei nato a Bronxville, New York, nel 1919, lo stesso anno in cui Malevic dipingeva "Bianco su bianco": la "tela bianca" o "il mondo in lutto", ma anche il miglior modo di cominciare da zero, no?
Si sono improvvisamente apparso sulla terra nel 1919, ma non ricordo molto di quell'apparizione.
Ricapitoliamo: fu un italiano di Chiari (Brescia), Carlo Ferlinghetti, e una meravigliosa donna franco-portoghese di origini sefardite, Clemence Albertine Mendes-Monsanto, che ti fecero apparire?
È vero!
E ti chiamavi Ferling – secondo l'abbreviazione che aveva fatto tuo padre del suo cognome quando emigrò alla fine dell’800 a New York –, finché dovendo fornire il tuo certificato di nascita per entrare nell'esercito hai scoperto di chiamarti Ferlinghetti.
La Marina, non l'Esercito!
Ferlinghetti: da marine a pacifista
Ha perfettamente ragione Ferlinghetti: ho detto erroneamente "Army", invece di "Navy". Era un aitante marine durante la Seconda Guerra Mondiale, che faceva su e giù per le onde gigantesche dell'Atlantico, "il meglio della guerra, il mare anche in tempesta", su una nave a caccia di sottomarini nazisti e giapponesi, e che insieme al suo equipaggio di giovanissimi e apparentemente improbabili marines con barbe, "troppo occupati a cercare di non morire piuttosto che radersi", aveva pattugliato i fondali sulle coste della Normandia, collaborando allo sbarco delle truppe per la liberazione dal Nazismo e dal Fascismo, il memorabile "Normandy Landings", giugno 1944, i cui torrenti di sangue in piena che scorrono risucchiati dentro l'oceano, forse, l'immaginario collettivo ricorda meglio attraverso il film di Stephen Spielberg: "Salvate il Soldato Ryan"
"Protetti da qualche angelo custode, perché le bombe esplodevano accanto a noi in acqua, ma senza affondarci mai" – come sottolinea Ferlinghetti, e facendo il verso all’epica con ritmo crescente, decanta: "Trenta uomini e tre ufficiali. Era una nave di legno. Era l'uomo contro il mare." Non a caso, forse, il binomio uomo-mare ritorna anche nell'ultimo dipinto in bianco e nero a cui ha messo mano.
Nel 1945, quasi due mesi dopo lo sgancio dell’atomica "fat man" su Nagasaki, si ritrova in Giappone a fare parte prima di una truppa di invasione e subito dopo di occupazione, dove dinanzi al deserto di polvere umana sparsa in "un paesaggio alla Anselm Kiefer, con mucchi di capelli e ossa dispersi per miglia, e carne raccolta in tazze da te" – come ripete Ferlinghetti – "in un battito di ciglia, il giovane marine tutto orgoglio-blu-americano per la divisa, le armi e la guerra, fu trasformato in un pacifista per sempre, scoprendo per la prima volta il senso e l'importanza di prendere una posizione politica."
San Francisco, The Last Frontier
Rientrato negli Stati Uniti, nel 1947 si laurea alla Columbia con una tesi sul critico John Ruskin in materia di luce nella pittura di William Turner. Ferlinghetti comincia a dipingere con frequenza. Alla fine degli anni '40, grazie a una borsa di studio, completa alla Sorbonne di Parigi un dottorato in letteratura sulla città come simbolo della poesia moderna e sulla natura del Gotico. Ferlinghetti – che durante uno dei viaggi in nave verso Parigi ha anche conosciuto la sua bella futura sposa, Selden Kirby-Smith –, decide quasi senza alcuna ragione di tornare in America, mirando però al "Far West", lungo la rotta dei 49ers, i pionieri per antonomasia, quelli che prendono le frecce sulla schiena, dritto verso "The Last Frontier", San Francisco.
Una "città di luce bianca" che, arrivando da Oakland, Ferlinghetti percepisce a prima vista come Mediterranea, Nord-Africana, di memoria ellenica e soprattutto dalla luce magica per il riverbero dell’acqua della Baia e per una quantità inaudita di cielo che ne penetra le strade. Qui nel 1953 insieme a Peter D. Martin, che quasi subito lascerà la sua quota interamente a Ferlinghetti, apre la City Lights Booksellers: oggi una delle più rinomate librerie indipendenti al mondo insieme alla Shakespeare & Co. di Parigi.
Nel 1955 Ferlinghetti apre anche la casa editrice di poesia, dando inizio alla fortunata collana dei Pocket Poets Series con il suo primo libro, "Pictures of the Gone World." City Lights Booksellers & Publishers si distinguerà da subito in tutta la nazione per una proposizione di valore unico: voler stampare libri soltanto in economica e tascabili, come esistevano già a Parigi, promuovendo in USA un nuovo principio di democratizzazione culturale a 360 gradi.
Oggi, con il senno del poi, non si può negare che questa vera e propria "cultural disruption", avviata da Ferlinghetti a San Francisco – sulle onde progressiste di KPFA, la radio indipendente basata a Berkeley, finanziata con le donazioni degli ascoltatori in difesa della libertà di parola e per un'informazione libera –, sia avvenuta attraverso un "cambio di paradigma" anche tecnologico, creando di fatto una nuova forma di divulgazione dei libri grazie al nuovo ed agile formato per tutti.
È così che, in qualche misura, la poesia è risorta da lettera morta, sepolta fra le pagine dei volumi silenziosi, per farsi fiato e, via via, voce di opposizione, grido di battaglia politica in difesa delle minoranze, e infine canto pop, jazz, blues e rock di pace a favore dell'amore contro ogni guerra, culminando per l'appunto nel mega raduno del 1967 alGolden Gate Park, che esattamente mezzo secolo fa venne battezzato come, Summer of Love.
Ferlinghetti, mutatis mutandis, guida così una "start up culturale" avanti lettera, con tanto di manifesto, visione e "followers" profondamente impegnati sul sociale; che produce cambiamento antropologico e politico reale; creando un'onda di dissenso sempre più grande, quale la straordinaria contro-cultura americana, che raggiungerà persino le coste del Vecchio Continente, dirompendo dentro le accademie e le università baronali sulle note di Bob Dylan e della poesia Beat; sbarcando nell'entroterra europeo per scorrere verso Oriente, infiltrandosi nell'humus locale di ogni singola cultura.
Ferlinghetti comincia a pubblicare talenti del calibro di Kenneth Rexroth, Allen Ginsberg, Charles Bukowski, Gregory Corso, William S. Burroughs, Jack Kerouac, Diane DiPrima, William Carlos Williams, Bob Kaufman, Michael McClure, Philippe LaMantia, Gary Snyder.
La vittoria giudiziaria in difesa della pubblicazione di "Howl" di Allen Ginsberg nel 1956 –, accanto a cui si schiererà venendo arrestato con l'accusa di oscenità –, creerà un precedente miliare per la difesa della libertà di parola e di culto negli Stati Uniti d’America, come sancisce il Primo Emendamento della Costituzione. La vittoria fu anche grazie all'aiuto dell'ACLU (American Civil Liberties Union): la stessa associazione che si è opposta a inizio di questo anno agli ordini esecutivi del presidente Trump, con cui si discriminava in qualche modo la libertà di culto religioso, vietando di fatto l'accesso negli Stati Uniti ai musulmani, anche in possesso di carta verde o regolare visto di lavoro, provenienti da alcuni precisi paesi.
Tenerezza e indignazione
Citando il passo finale della sua celeberrima, "I Am Waiting" (Sto Aspettando), da "A Coney Island of the Mind" (New Directions, New York City, 1958) – una raccolta bestseller di poesie, tradotta in oltre una dozzina di lingue, con cui Ferlinghetti ha venduto più di 1 milione di copie: oggi pari, forse, al peso di un miliardo di followers sui social media –, chiedo se lui sta ancora "aspettando perpetuamente e per sempre un Rinascimento della meraviglia".
Ferlinghetti si smarca e, facendosi più serio, mi dice che: "quella è una poesia molto romantica; un Rinascimento della meraviglia suona molto bene, però resta puro romanticismo." Io insisto: "ma non abbiamo forse bisogno proprio di questo oggi?". "Beh — dice un insolitamente incupito Ferlinghetti — ci vuole ben altro che un Rinascimento della meraviglia per liberarsi del presidente degli Stati Uniti d’America, Donald Trump."
Ecco pronunciarlo il nome che gli cambia letteralmente l'umore. D'altronde, mi aveva espresso le sue serissime preoccupazioni già la scorsa estate, all'indomani della vittoria delle primarie da parte di Trump. Non va dimenticato che Ferlinghetti — come ricordava recentemente, Harriet Staff di Poetry Foundation (Chicago), riprendendo un post del blog di City Lights in merito a un'intervista rilasciata da Lawrence a una studentessa di 9 anni per il giornale scolastico, The New Yick Times — alla domanda, quale fosse il più bello e il più brutto ricordo della sua vita, ha risposto: "Il più bel ricordo della mia vita sono gli anni da studente a Parigi. Il peggiore le ultime elezioni presidenziali." Anche se quell'eccezionale intervista terminava con un afflato di speranza, avendo rivelato alla bambina che il segreto della vita è "La Tenerezza, vivere la vita con tenerezza"; è indiscutibile che ora Ferlinghetti sia seriamente impensierito dall'amministrazione Trump.
L'agenda segreta di Trump: i fantasmi del passato
In nemmeno un paio di mesi di attività, questo nuovo governo americano ha già prodotto un cumulo di motivazioni tale da poter sfidare persino molti tra l'elettorato repubblicano a continuare a pensare che questo presidente voglia davvero il bene dell’America e del suo popolo, cioè la classe media. Nel rispetto di chi possa pensarla diversamente da Ferlinghetti, non si può certo negare che questo artista non abbia camminato abbastanza, attraversato quasi un intero secolo lungo latitudini e dorsali del mondo, e visto oltre ogni misura di cosa è capace l'uomo, perché le sue preoccupazioni non vengano prese seriamente in considerazione. Per meglio rendersi conto di cosa non è stato testimone Ferlinghetti, è utile leggere anche il suo recente libro, "Writing Across the Landscape: Travel Journals 1960-2010" (Liveright-W. W. Norton&Co. New York, 2015), curato da Giada Diano e Matthew Gleeson.
Ora disponibile anche in italiano grazie alla bellissima traduzione sempre della Diano per Il Saggiatore: "Scrivendo sulla strada. Diari di viaggio e di letteratura" (Milano, 2017).
Ferlinghetti ha toccato con mano il peggio dell'orrore del "secolo breve": Pearl Harbor e la Seconda Guerra Mondiale con il Nazismo e il Fascismo; la doppia atomica sul Giappone, il Maccartismo e il fallimento del Comunismo; la rapacità del "capitalismo patrimoniale", come lo chiama Thomas Piketty, che ha spazzato via l'attore principale dal palcoscenico dell'"American Dream", vale a dire proprio la middle class, dividendo la società sempre più in una grande massa di poveri da un lato, e una più piccola nicchia di ricchi dall’altro, il cosiddetto 1%, secondo l’accezione del movimento, Occupy Wall Street. In altre parole, come negare che Ferlinghetti sia stato un faro nell'oceano tempestoso del Novecento, e che ora continui a mandare segnali chiari alla nostra alba del terzo millennio, allarmato da un orizzonte sempre più pericoloso per l'umanità?
"I media americani e anche europei non hanno ancora cominciato a discutere l’agenda segreta di Trump" – attacca determinatissimo e con un nuovo passo, illuminato dal suo argomentare – "che non è quella usata in campagna elettorale — "Make America Great Again", e tutte le cose grandiose che avrebbe fatto per gli americani. Quelli erano solo fumogeni. Si tratta piuttosto della totale "aziendalizzazione" del Paese da parte di Trump, avendo nominato nel suo gabinetto di governo numerosi capi di corporation. Vedi il petroliere texano, Rex Tillerson, nuovo ministro degli esteri, ex presidente della ExxonMobil che possiede enormi holding petrolifere in Russia. Non ha ancora fatto una sola dichiarazione o una conferenza; se ne sta defilato, tutto in silenzio, mentre Trump fa rumore. Questa presenza massiccia delle corporation nel governo di Trump è il primo vero segno evidente che le multinazionali possano diventare più potenti del governo stesso. È una formula molto fascista, esattamente come è già avvenuto con il Nazismo in Germania e con il Fascismo in Italia: Hitler e Mussolini coinvolsero grandi aziende dentro i loro rispettivi governi. Temo però che quello che Tillerson e Trump hanno in mente sia molto più potente di quei casi: qui saranno direttamente le grandi corporation a guidare il paese. Qui siamo oltre la semplice ripetizione della storia, rischiamo di peggio. A mio avviso, è la cosa peggiore e più pericolosa mai accaduta nella storia della politica americana, siamo ben oltre gli orrori di Nixon e Reagan. Questi sono i risultati dei fumogeni del suo populismo, quando invece si tratta di un razzista e fautore della supremazia bianca. E anche chi lo ha votato sta già cominciando a realizzare la gigantesca mole di bugie che produce quotidianamente." "Cosa pensi che possa accadere?" – gli chiedo. "Prima delle elezioni di mezzo termine, tra due anni – risponde Ferlinghetti – molti repubblicani si schiereranno contro di lui, cercando di fargli un impeachment prima. Sai, la media dei cervelli dei deputati americani si accende molto lentamente. (Sorride amaramente, Nda) Anche la media del loro grado di istruzione è molto bassa. Stessa cosa vale per la più grande parte dell'elettorato americano. Così qualsiasi venditore di fumo che gli prometta una torta in paradiso, lo acchiappa."
Media, candidati ultime presidenziali e letteratura
Parlando del ruolo dei media e dei candidati della campagna elettore scorsa, Ferlinghetti cita "l'acutezza di Rachel Maddow di MSNBC"; mentre all'opposto definisce Fox News, "un campione di notizie false, che dà alle masse quello che vogliono sentirsi dire." Aggiunge anche che la Clinton: "non ha saputo parlare alla gente del Mid-West, dove Trump invece ha stravinto. Lei era tutta East-Coast/New York City/Establishment.Non ha saputo assolutamente capire come parlare alla massa di disoccupati del Paese. Invece, Bernie Sanders e Trump avevano lo stesso elettorato, entrambi parlando della concentrazione di tutto il denaro solo nelle mani dell’1% della popolazione. Il problema però è che Trump è stato un grande venditore televisivo, sapendosi prendere quell'elettorato. Sanders era il più eretico da potersi opporre a Trump, ma il partito democratico lo ha fatto fuori." Nella grande confusione culturale, paura e incertezza sociale e politica che l'America sta attraversando, chiedo a Ferlinghetti: "C'è un libro che ti sentiresti di consigliare?" Senza battere ciglio risponde: "Rileggete, o leggete per chi non lo avesse già fatto, Sinclair Lewis, "It can’t happen here": un racconto politico semi-satirico del 1935, in cui l'autore immagina la possibilità che dei fascisti possano prendere il potere in America."
Il ruolo dei poeti tra politica e impegno
A questo punto, chiedo a Ferlinghetti dei poeti e del loro ruolo nella società di oggi, citando prima dal suo, "Poetry As Insurgent Art": "Se vuoi essere un poeta, crea opere capaci di rispondere alla sfida di tempi apocalittici, anche se questo significa suonare apocalittico."
Cosi domando: "Che ne è della voce dei poeti per costruire il sogno di un popolo dell’avvenire?" Ferlinghetti disincantato rivela che: "dopo tanti anni di lavoro trascorso nella pubblicazione di poeti, ho realizzato che ce ne sono veramente pochissimi capaci di portare avanti un discorso politico coerente. La più parte dei poeti in America non ha la stessa tradizione dei poeti in Francia, Germania o Italia; penso soprattutto a Pasolini che poteva portare avanti undiscorso politico molto coerente, fino anche a morirne. Da quando Trump è stato eletto trovo che i poeti in America siano stati troppo in silenzio. Non credo ci sia oggi in America una grande voce all'altezza di opporsi a Trump. Quello di cui oggi avremmo bisogno è: una grande, nuova e giovane voce poetica. Fino ad ora, nessuno ha alzato la voce."
In realtà, mi permetto di far notare a Ferlinghetti, che di poeti che scrivono e parlano in pubblico ce ne sono tanti, forse mai abbastanza; chiedo dunque se il problema non sia piuttosto squisitamente di medium, voglio dire: non è già sempre il mezzo il suo messaggio? Qualche settimana fa il Poet Laureate d’America, Juan Felipe Herrera, ha radunato migliaia di studenti a Tucson in Arizona, per incoraggiarli con la sua poesia a prendere posizione. Tuttavia se 10, 20 o anche 30 poeti di età media sui 60 anni che si radunano, ancora nello spirito beat, una volta alla settimana in una biblioteca pubblica di San Francisco per leggere ed ascoltare reciprocamente le proprie poesie – molto belle e anche molto arrabbiate –, possono queste voci poetiche in mezzo al mare magnum dei social media e della comunicazione digitale credere ancora di poter creare un uragano o anche solo un venticello di cambiamento sulla terra ferma? Ferlinghetti sorride. Non servono piuttosto nuovi mezzi e strumenti adeguati ai tempi per alzare la voce, o per lo meno un artefice che sappia usare quelli che già sono a disposizione grazie alle nuove tecnologie? Dalla Beat Generation alla Bit Generation lo scarto non è forse un fonema dell’anima e anche una certa abilità creativa da Efesto? In altre parole, quale potrebbe essere la tecnologia e l'azione equivalente alla "disruption" dei tascabili di Ferlinghetti e della sua libreria e casa editrice sprigionata tra gli anni '50 e '80? Così chiedo ancora a Ferlinghetti: "non scrivevi tu già nel "Populist Manifesto" del 1976: "Poeti uscite dai vostri armadi. Aprite le vostre finestre, aprite le vostre porte, siete stati intanati troppo a lungo nei vostri mondi chiusi." Sorride il vecchio bambino e con leggera amarezza, commenta: "Così vero anche oggi, ahimè!"
L'eredità di Ferlinghetti
"Dove potremo trovare la tua migliore eredità?" - chiedo per concludere.
Lo sguardo di Lawrence Ferlinghetti si accende di ghiaccio-blu, guardando sempre in avanti al futuro, risponde con tenerezza: "Sarà nel nuovo libro che il mio editore sin dal 1958, New Directions, sta per pubblicare in autunno a cura di Nancy Peters: "Ferlinghetti’s Greatest Poems."
Un indispensabile Ferlinghetti è già in cammino: ci aspetta il prossimo autunno, sempre en avant.