Le class action italiane contro la Cina per il Covid-19
Il coronavirus allenta la presa e, mentre i mercati americani accusano il colpo e quello cinese si concentra sulla ripresa, covano recriminazioni sempre più radicate per la lentezza delle comunicazioni del rischio e le negligenze nella gestione dell'epidemia del governo cinese che nega ogni accusa. Sotto la spinta del presidente Trump che a testa bassa si è scagliato contro Cina e OMS, i primi ad agire sono stati gli Stati Uniti. Dopo la costituzione civile del Missuouri altri governatori hanno deciso di seguire l'esempio incardinando cause contro il Governo Cinese e il laboratorio di Wuhan. Sul territorio americano sono nate almeno quattro class action federali (azioni collettive a tutela dei consumatori) a disposizione delle imprese danneggiate dall'epidemia e, dopo i raggruppanti delle ricche imprese della Florida, i collettivi di cittadini sono spuntati un po' ovunque, come funghi dopo una pioggia. Ben presto il fenomeno è dilagato creando il particolare e raro caso di global lawsuit (causa globale) che oggi contempla una varia umanità e non sembra diminuire. Procedimenti contro la Cina sono stati avviati in Canada, Australia, Regno Unito, Paesi Bassi, Germania e, naturalmente, anche in Italia. Sono principalmente azioni risarcitorie che interessano il settore viaggi, assicurazioni, appalti pubblici, assistenza, beni di consumo. Prese singolarmente sono di scarso valore, ma se proposte collettivamente possono avere un impatto economico significativo. Per fare un esempio, il 24 marzo, l'avvocato Larry Klayman ha presentato una denuncia al tribunale federale del Texas chiedendo al Governo cinese ben 20 trilioni di dollari di risarcimento e, il 4 aprile, il think-tank britannico Henry Jackson Society ha depositato una istanza per 351 bilioni di pounds. Si è anche andati oltre. In India, la All India Bar Association ha addirittura presentato una denuncia al Consiglio per i Diritti Umani delle Nazioni Unite "per gravi crimini contro l'Umanità" causati dal comportamento reticente di Pechino nelle fasi iniziali dell'epidemia senza indicare cifre. In Italia la situazione è moderata per la diversità del nostro ordinamento, del contesto sociale e, non da ultimo, per la mancanza di incentivi per promuovere l'azione come il litigation funding (ossia il finanziamento dei contenziosi da parte di fondi specializzati) molto sviluppato in Usa, Canada e Australia. Va detto che nel nostro paese le iniziative legali collettive andate a buon fine sono davvero poche e la maggior parte sono state ritenute inammissibili morendo sul nascere. Nel merito era stata varata una riforma nel 2019 che sarebbe dovuta entrare in vigore nel 2020 ma che il Decreto Milleproroghe ha rinviato a novembre, poi si vedrà. Intanto, qualcuno si sta comunque muovendo. Il Codacons, insieme allo studio legale americano Kenneth B. Moll (leader statunitense nelle class action) ha deciso di approfondire le eventuali responsabilità della Cina nella diffusione della pandemia e sta raccogliendo adesioni per avviare un'azione di risarcimento danni di tutti i cittadini italiani danneggiati a cui ci si può iscrivere (https://codacons.it/risarcimento-cina). Sulla stessa linea si muove l'OnEurope Onlus che presenta la class action sul proprio sito (www.covid19classaction.it). Intanto una nota società torinese di trasporti su gomma si è affidata gli avvocati Alex Gilardini e Francesco Currò per seguire l'esempio dello studio legale statunitense Berman Law Group contro il Governo Cinese e il laboratorio di Wuhan. Anche per il famoso Hotel de la Poste di Cortina l'avvocato Marco Vignola ha presentato un atto d'accusa contro il Ministero della Sanità della Repubblica Cinese davanti al tribunale di Belluno per allarme non tempestivo e per non aver posto in essere i dovuti provvedimenti negli scali aeroportuali in partenza dalla Cina, causando danni al turismo e impedendo allo Stato Italiano una tempestiva assunzione dei provvedimenti sanitari.Gli atti che si stanno moltiplicando nel mondo stilano tutta una serie di prove principalmente ricavate da indagini militari e di intelligence, alcune affidando incarichi di approfondimento a prestigiosi centri di ricerca. Mentre il Governo cinese rigetta ufficialmente ogni accusa, ci si muove sul campo delle supposizioni e delle correlazioni, talvolta con toni vagamente spinti sul complottismo noir per quanto lo permetta un atto legale. Una freccia in più all'arco dei pool internazionali è stata offerta di recente dallo studio della Harvard Medical School, sottoscritto dall'University of Public Health di Boston e dal Boston Children's Hospital, che da mesi analizzava le immagini satellitari di Whuan e della provincia di Hubei per trovare dissonanze. La ricerca, pubblicata da The Guardian, tende a dimostrare che l'emergenza coronavirus sarebbe iniziata alcuni mesi prima della comunicazione del coronavirus a fine dicembre e non dal mercato di pesce di Wuhan. I fotogrammi satellitari dimostrano, infatti, un intensificarsi del traffico verso la città e nei parcheggi dei suoi ospedali tra settembre e ottobre 2019 che va oltre i normali parametri e in crescendo. Anche se il fatto non determina un collegamento diretto con la malattia, il dato crea comunque un nuovo tassello nei dossier che, secondo la CNN, l'investigazione internazionale e la CIA stanno raccogliendo dopo le ammissioni a mezza bocca fatte delle autorità cinesi e la tragica vicenda di Li Wenliang, l'oftalmologo di Wuhan redarguito dalla polizia per aver lanciato l'allarme (in chat con altri colleghi) sulla diffusione di una "misteriosa polmonite" con già sette pazienti gravi in isolamento nel suo ospedale. La chat fu oscurata dalle autorità cinesi per "grave disturbo all'ordine sociale" e il dottore interrogato e ammonito dalla polizia. Il 7 febbraio a 33 anni morì per le complicazioni provocate dal Covid 19 e il 2 aprile dichiarato eroe nazionale: il più grande paradosso di questa pandemia.Il fenomeno, seppur con poche speranze secondo gli esperti di diritto (per di più contro un paese non proprio così aperto neppure alle recriminazioni interne figurarsi a quelle straniere), mette il dito nella piaga, riportando a un interesse collettivo quello che inizialmente era stato posto come problema prettamente politico con i risvolti tipici dell'humus dei servizi segreti internazionali. Nei fatti questi atti legali, con le loro dettagliati descrizioni, permettono di fare il punto sullo sviluppo temporale dei fatti togliendo quella patina di complottismo e conducendo sul terreno più solido della concorrenza dei mercati e del richiamo alla responsabilità delle Nazioni. Semmai non si ottenessero risultati, con il loro valore dimostrativo e simbolico perlomeno avranno il pregio di contribuire alla cooperazione e alla tutela della collettività globale da azioni, volontarie o involontarie che siano, che si creano all'interno degli stati sovrani.
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