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November 08 2017
di Cataldo Calabretta
"Il ricordo più vivo di mia madre è la sua voce. Una voce calda, accogliente, curiosa, piena di vita. La voce di una donna del Sud, che aveva visitato tutto il mondo senza allontanarsi da Bari. Una donna moderna, che metteva i suoi occhi in quelli di chi aveva davanti, per carpirne il mistero, il fascino, l’essenza. La vittima principale della sua sete di conoscenza ero io, il figlio magistrato emigrato a Roma da vent’anni. Mi chiamava la sera tardi voleva sapere se avevo mangiato, com’ era andato il lavoro, cosa combinavano i miei quattro figli, ma soprattutto pretendeva dal figlio magistrato delucidazioni sul funzionamento della misteriosa macchina della giustizia”.
L’ultimo libro del celebre magistrato Francesco Caringella, “Dieci lezioni sulla giustizia per cittadini curiosi e perplessi” (Ed. Mondadori) è dedicato alla madre. “Ho avuto il privilegio di trascorrere con lei 52 anni, 5 mesi e 28 giorni”, dice Caringella e aggiunge: “Naturalmente lei non comprendeva fino in fondo i miei ragionamenti. Non era mai soddisfatta delle mie spiegazioni. Per lei, erano troppo sottili e insopportabilmente cavillose. Come ogni persona di buonsenso, voleva che la giustizia fosse chiara, semplice e prevedibile. Pensava che dovesse esistere la «verità vera», al pari della «giustizia giusta». La verità, una sola, non le verità”.
In 144 pagine, con una scrittura fluida e molto comprensibile, si snocciolano i temi caldi della giustizia, dal tema della verità alla questione dei tempi processuali al ruolo e alle funzioni del magistrato.
L’autore spiega che il sentimento dei cittadini nei confronti della giustizia è di sfiducia crescente, generata dall’ignoranza. Giudici e giuristi dovrebbero abbandonare il linguaggio ampolloso e bizantino. “I tecnici hanno il dovere di usare parole semplici per chiarire ai cittadini un pianeta che li riguarda direttamente. La giustizia è amministrata in nome del popolo, non nell’interesse dei magistrati e degli avvocati. I cittadini si aspettano che i giudici chiariscano tutti i dubbi in tempi veloci e applichino agli autori di gravi delitti pene adeguate ed effettive”, scrive Caringella.
D’altronde la sentenza è un’opinione, discutibile come ogni opinione, pur se ufficiale e la divergenza di “opinioni” fra i giudici che esaminano lo stesso caso è del tutto naturale. A maggior ragione in un sistema come quello italiano, dove l’iter processuale si articola in tre gradi di giudizio, che possono diventare cinque se la Cassazione annulla il verdetto di secondo grado. “Mia madre Anna – chiosa il magistrato - non comprendeva fino in fondo i miei ragionamenti. Nel suo saluto finale vibrava, inconfondibile, l’amarezza di un’attesa tradita, di un bisogno inappagato. Per lei, erano spiegazioni troppo sottili e insopportabilmente cavillose. Come ogni persona di buonsenso, voleva che la giustizia fosse chiara, semplice e prevedibile”.
Cos’è la giustizia allora? In termini giuridici è la corretta applicazione della legge. Dal punto di vista etico, è la felicità per il maggior numero possibile di persone. Un’utopia? Un’utopia necessaria. Dice un proverbio indiano che l’umanità progredisce più grazie alle persone che camminano con la testa tra le nuvole che a quelle che camminano con i piedi per terra”.