«L'economia italiana è resiliente»

L’economia mondiale, secondo le prospettive OCSE, mostra segnali di ripresa per il calo dei prezzi dell'energia, per il miglioramento del clima di fiducia delle imprese e dei consumatori e per la riapertura degli scambi commerciali con la Cina post pandemia: segnali incoraggianti, certo, anche se la ripresa resta comunque debole rispetto al passato a causa degli effetti dell’inflazione che, nonostante sia tendenzialmente in ribasso, continua a persistere. Nelle principali economie avanzate l’inflazione annua dovrebbe scendere dal 7,8% registrata nel 2022, al 6,1% prevista nel 2023 e al 4,7% prevista nel 2024; la diminuzione è conseguenza del calo dei prezzi dell’energia, dei generi alimentari e della contrazione della domanda.

Panorama.it ha incontrato l’economista Vittorio Daniele per il quale «pesa il rallentamento economico internazionale e l’incertezza del quadro geopolitico per il conflitto russo-ucraino e per quello israelo-palestinese».

Professore, al lettore della porta accanto interessano i dati, pochi e semplici. Partiamo dall’andamento dei prezzi.

«Nel 2023, nel nostro paese, l’inflazione è progressivamente rallentata, attestandosi -secondo le stime- al 5,7%. La decelerazione si deve principalmente alla diminuzione dei prezzi del gas e dell’energia che, dalla fine del 2021, erano cresciuti in maniera impetuosa spingendo verso l’alto quelli della maggior parte dei beni e servizi. Ma, come chiunque può verificare, il calo dei costi energetici non si è accompagnato con quello dei prezzi di molti beni e servizi, per esempio dei generi alimentari, che, invece, hanno continuato ad aumentare».

Con le conseguenze che possiamo immaginare…

«Negli ultimi due anni, l’elevata inflazione ha significativamente ridotto il potere d’acquisto delle famiglie italiane, in particolare di quelle che vivono di stipendi e pensioni che, per fronteggiare i rincari, sono state costrette a tagliare alcune spese, ad attingere ai risparmi o a fare ricorso a prestiti, sopportando elevati oneri per l’aumento dei tassi d’interesse».

Interessa il potere di acquisto delle famiglie italiane.

«La capacità di spesa dei lavoratori dipendenti andrebbe gradualmente recuperata con il rinnovo dei contratti di lavoro, se non si vuole che si riducano i consumi e che le diseguaglianze sociali, già elevate, aumentino ulteriormente. Come sempre accade, l’inflazione ha avuto un effetto redistributivo: nell’ultimo biennio, a beneficiarne sono state molte imprese, a partire da quelle del settore energetico, i cui profitti sono sensibilmente aumentati».

Nell’anno appena trascorso si è molto discusso, anche in senso critico, delle politiche della BCE

«Per ridurre l’inflazione, la BCE ha aumentato il tasso d’interesse, che ha raggiunto il 4,5%. Le banche hanno registrato un aumento degli utili, mentre, come previsto, la domanda di finanziamenti di famiglie e imprese si è ridotta. L’inasprimento della politica monetaria ha comportato un notevole aggravio della spesa per interessi per coloro che avevano contratto finanziamenti a tasso variabile. Ovviamente, anche i tassi sulle nuove concessioni di credito sono aumentati. Tuttavia, l’impatto negativo che ci si aspettava è rimasto contenuto».

L’aumento dei tassi d’interesse non ha avuto, dunque, conseguenze negative sulle capacità finanziarie delle imprese?

«Nonostante l’inasprimento dei tassi e la fine delle misure di sostegno attuate durante la pandemia (moratorie sui debiti bancari e accesso al credito garantito dallo Stato), secondo le stime di Crif Ratings-Nomisma, alla fine del 2023, i tassi d’insolvenza delle società di capitali italiane si sarebbero collocati attorno al 3%. Si tratta di un valore che, seppur in aumento, rimane tra i più bassi registrati dal 2008. Ci si attende che, con il rientro dell’inflazione, la Bce riduca gradualmente i tassi d’interesse nell’anno in corso».

Un cenno merita l’andamento del prodotto interno lordo.

«Secondo le stime preliminari Istat, nel 2023, il Pil è cresciuto dello 0,7% grazie al traino della spesa per consumi. Non c’è stata, dunque, la recessione che si temeva, ma un rallentamento in linea con lo scenario internazionale. Dati molto positivi si sono registrati, invece, sul fronte dell’occupazione, che ha raggiunto livelli storicamente elevati (61,8% a ottobre), con un tasso di disoccupazione che dovrebbe attestarsi al 7,6%».

Buone notizie, allora…

«C’è da dire che l’economia e l’occupazione hanno beneficiato delle misure espansive di politica fiscale attuate negli anni scorsi (in particolare dei bonus edilizi) e della spesa del Pnrr che, però, sconta dei ritardi».

Sarà per questo che a fine anno si è registrata una crescita della fiducia complessiva?

«Certo, l’Istat ha rilevato un aumento dell’indice di fiducia dei consumatori e delle imprese, segnalando un miglioramento delle opinioni dei consumatori sulla situazione economica generale e su quella futura. Innegabilmente, permangono condizioni di disagio in fasce significative della popolazione, come dimostrano i dati sull’incidenza della povertà e delle disuguaglianze».

Andiamo alle previsioni…

«Per il 2024, si prevede una crescita del Pil dello 0,7%, analoga a quella dell’anno che si è appena concluso, ma considerando l’incertezza del contesto economico e geopolitico internazionale, le previsioni debbono essere prese con prudenza. Come dimostra l’esperienza degli ultimi anni, anche quelle provenienti dagli istituti di ricerca più accreditati possono dimostrarsi erronee».

C’è da sperare, allora…

«Non proprio…È presumibile che, esauritosi l’effetto di ripresa post-Covid e cessato lo stimolo delle politiche monetarie e fiscali espansive che sono state attuate negli anni scorsi, l’economia italiana tornerà ai bassi tassi di crescita che la caratterizzano ormai da diverso tempo».


Vittorio Daniele, calabrese di Roccella Jonica, classe 1971, è ordinario di Politica economica all’Università Magna Graecia di Catanzaro, dove insegna anche Economia dello Sviluppo e presiede il Corso di laurea in Economia aziendale e management. La sua attività di ricerca riguarda, principalmente, lo sviluppo economico in prospettiva storica. Oltre ai numerosi articoli scientifici pubblicati su riviste nazionali ed internazionali, spiccano i libri La crescita delle nazioni. Fatti e teorie (Rubbettino, 2008), Il divario Nord-Sud in Italia 1861-2011 (con Paolo Malanima, Rubbettino 2011) e, soprattutto, Il paese diviso. Nord e Sud nella storia d’Italia, (Rubbettino, 2019) in cui esamina le cause del ritardo meridionale, attraverso un’analisi ricca di dati che riservano sorprese e smentiscono storici luoghi comuni.

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