Les souvenirs, al cinema tenero è il ricordo – La recensione
La vita nella terra di mezzo. Quella che sta tra presente e passato e qualche volta si espande nel futuro. Il suo veicolo d’elezione? I ricordi, Les souvenirs come recita il titolo del film – uscita 14 aprile - che Jean-Paul Rouve, cinquantenne regista francese di Dunkerque (con impegni prevalenti di attore e sceneggiatore) ha desunto dal romanzo L’eroe quotidiano di David Foenkinos poi suo collaboratore alla sceneggiatura.
Un piccolo affresco familiare nel quale tutti sembrano inseguire tracce di memoria: il capofamiglia Michel (Michel Blanc) appena andato, un po’ malinconicamente, in pensione; sua moglie Nathalie (Chantal Luby) che vive nel ricordo di un marito un tempo romantico e travolgente, ora in barboso, pessimistico e nevrotico declino; figurarsi Madeleine (Annie Cordy), ottantacinquenne mamma di Michel, appena rimasta vedova dopo un matrimonio durato una vita, immersa in una reminiscenza sconfinata e nostalgica.
A riequilibrare, diciamo così, le sorti di un nucleo irreversibilmente incanalato sul viale del tramonto ci sarebbe il giovane Romain (Mathieu Spinosi), figlio di Michel e Nathalie, naturalmente nipote di Madeleine, aspirante scrittore con meno creativa occupazione attuale di portiere notturno in un alberguccio.
Un guaio: la casa di riposo
Insomma c’è bisogno d’una scossa. Che avviene quando Madeleine, come fatalmente prima o poi succede a quell’età, perde i sensi e cade nel suo appartamento pieno di cimeli coniugali. Ricovero, consulto di famiglia. Per la vecchietta non c’è scampo: casa di riposo.
Accogliente come un hotel, direttrice affettata e antipatica il giusto, camera con vista parco, ospiti in qualche modo sopravviventi. Per Madeleine, piena di rimpianti ma ancora pugnace e reattiva tanto da non digerire la nuova destinazione, si aprono ulteriori orizzonti di mestizia, illuminati soltanto dalle visite che, sempre più spesso, le fa il nipote Romain. Col quale si salda definitivamente e prepotentemente un rapporto di reciproca complicità.
Una “coppia” magnifica
Scossa numero due. Madeleine scappa dalla casa di riposo e scompare. Vane tutte le ricerche. Disperazione del figlio il quale, vedendo già di suo tutto nero, la crede morta. Chi non si arrende è il nipote che ha l’intuizione illuminante di partire alla volta di un paesino della Normandia, dove la nonna ha trascorso la propria infanzia e dove, puntualmente la ritrova: incominciando con lei un nuovo viaggio nella rimembranza, nostalgico sì ma senza mestizia.
Anzi colmo di spensieratezza, trapunto di stramberie nel tempo a questo punto sospeso, capace di far dimenticare a Madeleine il suo, di tempo, regalandole l’illusione di una rinnovata primavera della vita. Come quando passa una giornata nella “sua” scuola elementare - dove fra l’altro Romain incontra nella dolce maestrina Louise (Flore Bonaventura) la sua ragazza dei sogni - al culmine di una giostra emotiva che potrà esserle fatale.
Il tempo perduto e ritrovato
Non c’è che dire. Per i francesi Marcel Proust è sempre un faro. Il temps perdu e quello retrouvé restano fasi di una recherche che ha una dimensione di appartenenza culturale estesa e profonda. Anche al cinema. Anche in un film che, come questo, esplora il tema del ricordo in una sfera di commedia delicata e affettuosa, percorsa da rapporti ricamati con leggerezza e soffice garbo.
Al centro, però, rimane prezioso e tenerissimo il legame fra nonna e nipote, i due estremi generazionali e caratteriali della famiglia. Il loro viaggio diventa un’evasione, specie di traversata complice, solidale e felice ai confini della realtà nella sfera del dialogo unico e sostenibile.
È questa, in effetti, la traccia migliore della storia, che nello spazio rimanente di personaggi e fatti non riesce a scansare del tutto certi stereotipi narrativi di genere. Limiti, comunque, ampiamente riscattati in quell’universo evocativo, caldo e benigno nel quale le due anime vaganti s’immergono nella loro vacanza dal sapore di frutto proibito e per ciò zuccherino e prelibato.
Da Hal Ashby a Charles Trenet
Ed ecco riaffiorare, in tema di evocazioni, un altro film cui è impossibile non pensare vedendo Les souvenirs: quel capolavoro del 1971 chiamato Harold e Maude di Hal Ashby che, sia pure in un contesto e in una rete di relazioni diversissimi per caratteri ed esemplari cinematografici, proponeva nel folle trip del diciottenne Harold e l’ottantenne Maude – fra carri funebri, cimiteri e istinti suicidi - una toccante riflessione sulla vita, la morte, gli affetti e lo scorrere degli anni.
Poi, certo, là c’era la fantastica colonna sonora firmata da Cat Stevens, con parte delle canzoni pubblicate in Tea For the Tillerman e If You Want To Sing Out, Sing Out scritta apposta per il film. In compenso Les souvenirs sfodera qualcosa di magico e molto, molto francese come Que reste-t-il de nos amours di Charles Trenet (eseguita da Julien Doré) allora l’orizzonte diventa sognante come gli occhi di Madeleine che guardano in alto, sorridenti e brillanti, vedendo materializzarsi tra le nuvole anche le forme del suo tempo migliore.
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