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February 23 2015
Di Giuseppe Mancini per Lookout news
Con un’operazione effettuata in notturna tra sabato 21 e domenica 22 febbraio, la Turchia ha evacuato i 40 soldati che sorvegliavano la tomba di Suleyman Shah. Si tratta di un piccolo avamposto in territorio siriano in riva all’Eufrate, di grande rilevanza simbolica perché ospitava le spoglie mortali del nonno di Osman, fondatore della dinastia ottomana, e perché è stato ottenuto da Mustafa Kemal Atatürk dopo aver ripreso la Cilicia alla Francia (trattato di Ankara, 1921).
Ossa e cimeli sono momentaneamente al sicuro in Turchia, troveranno nuova collocazione sempre in territorio siriano – ad Aşme – ma molto vicino al confine: in ogni caso fuori dalla portata dei miliziani dello Stato Islamico, che già un anno fa avevano minacciato un attacco.
Perché proprio adesso la decisione di evacuare? Il motivo di fondo è il timore che lo Stato islamico, sconfitto a Kobane, potesse decidere di rifarsi con un’azione di grande impatto. Per giunta, Ankara ha da pochi giorni formalizzato un impegno molto più fattivo nella coalizione anti-ISIS, in virtù di un accordo con gli Stati Uniti per l’addestramento delle forze ribelli e a una partecipazione di sempre più alto livello nei vertici di coordinamento.
Nell’imminenza delle elezioni politiche del 7 giugno, il costo di un nuovo scacco – dopo quello del personale diplomatico preso in ostaggio nei mesi scorsi a Mosul e poi liberato – sarebbe stato enorme. E infatti, persino le strutture esistenti – comunque moderne – sono state smantellate, mentre la nuova collocazione è sempre in territorio siriano proprio per non dar troppo l’idea di una ritirata totale.
Una questione di prestigio e di interessi elettorali, insomma. Ma anche la precisa scelta strategica di non farsi coinvolgere in modo diretto, perché un attacco contro la tomba – per l’appunto in territorio sovrano turco – avrebbe imposto una risposta decisa e violenta, non reputata funzionale all’interesse strategico primario che rimane la deposizione del presidente siriano Bashar Assad.
Vanno invece verificate le voci sul ruolo da protagonisti che i miliziani curdi del PYD/YPG – di concerto con le forze armate di Ankara – avrebbero giocato nel mettere in sicurezza un cordone per il passaggio delle truppe turche. Né il presidente turco Recep Tayyip Erdogan né il primo ministro Ahmet Davutoğlu ne hanno infatti parlato nei loro messaggi ufficiali.