Politica
June 22 2022
Sono 24 ore che la politica italiana è scossa dalla scissione, dall’addio di Luigi Di Maio al Movimento 5 Stelle che segna la fine dei grillini e del grillismo. E tutti a commentare. Renzi («bene così, il M5S è finito. Torniamo a fare politica»), Salvini («Non era più in sintonia con il partito»), Giorgia Meloni («La fine del partito di maggioranza relativa è una desolazione»).Tutti a parlare tranne uno: Enrico Letta. O meglio. Il segretario del Pd ha spiegato come la scissione sia cosa buona dato che «Conte non ha più i numeri per far cadere il Governo che quindi è più sicuro» ma di fatto ha sviato il nocciolo vero della questione: cosa ne sarà dell’alleanza Pd-M5S? Quale sarà il futuro del centrosinistra?
Si, perché ad un anno dalle elezioni politiche quello che era il piano originario del Nazareno per provare a vincere era chiaro: come prima cosa alleanza con Grillo-Conte-Di Maio. Un’alleanza che si basava non tanto sulle affinità politiche o su programmi comuni, quanto su una semplice legge matematica, anzi, un calcolo: Il Pd ormai non si schioda nei sondaggi dal 21%. Il resto del mondo di sinistra (Leu, Azione, Italia Viva e compagnia) si avvicinano al 10% se va bene. Totale: 31%, non basta. Serve una terza gamba, servono i grillini. E fa nulla se non la si pensa alla stessa maniera su qualsiasi cosa (in ultimo atlantismo, Nato, politica estera, armi all’Ucraina), l’importante è andare assieme per «non far vincere la destra».
Da ieri però tutto questo non vale più dato che il M5S non esiste più.
Senza i «dimaiani» (parola che solo a scriverla vengono i brividi) la forza elettorale dei pentastellati dovrebbe scendere ancora, arrivando al 10%. Il totale quindi ad oggi è 41%, poco, troppo poco.Così Letta deve pensare ad un’altra strada, deve racimolare altri voti. Un problema enorme già in situazioni normali ma che oggi diventa una montagna praticamente impossibile da scalare. Calenda infatti ha già detto che non c’è possibilità di alleanza con il nuovo partito di DI Maio. Che a sua volta ovviamente non vuol sentire parlare di Renzi. Quindi anche la terza gamba di centristi che secondo le speranze di chi nell’ombra, ma nemmeno poi tanto, ci sta lavorando e dovrebbe andare da Giorgetti alla Carfagna, dalla Gelmini a Calenda, da Toti a Di Maio, non sembra così solida.
A Letta non resta altro da fare che prendere tempo, raccontare che quanto sta accadendo è un bene per il governo Draghi, per il Paese etc etc etc ma non ha il coraggio di dire che quella di ieri è una pessima, pessima notizia per il Partito Democratico in vista delle prossime elezioni. Cosa confermata da alcune voci che da tempo girano in Transatlantico e in queste ore hanno ripreso forza: la storia politica italiana insegna che quando non puoi vincere una elezione devi almeno fare di tutto per non far vincere nemmeno il tuo avversario mettendo mano alla legge elettorale. In molti scommettono sul ritorno di fiamma del proporzionale che rimetterebbe (nel caso il centrodestra non arrivasse alla maggioranza dei seggi) in gioco tutti. Proprio come oggi. Senza i grillini Letta ha una sola carta da giocare per il 2023: Mario Draghi, anzi, il governo Draghi-bis.