Lettera a Godard

Caro Jean-Luc Godard,

mi costituisco subito: non ti ho mai troppo amato, sono e sarò sempre mozione Truffaut. Ma certo, come si fa, è come dire che non amo Firenze o il passito di Pantelleria, che è pure vero, ma non si può liquidare la questione così in fretta.

Va bene, il tuo Adieu au langage passato ieri qui a Cannes (in 3D: birbantello) è pieno di cose, alcune pure molto giuste, ma siamo nel 2014, quest’idea di abbattere ancora le sovrastrutture fa molto Fuori orario di enrico ghezzi, che ha detto addio alle maiuscole circa quarant’anni fa.

E va bene pure l’addio ai vestiti, con le origini del mondo (le tue non sono mica passere) in primo piano, tutti nudi con televisori sempre accesi su film muti o al massimo Le nevi del Chilimangiaro di Henry King, mai un talent show che sia uno, si parla di Solženicyn e Rodin con l’uccello di fuori, è un attimo che finiamo dalle parti di Eros di Antonioni, che insomma, ci siamo capiti.

Va bene (adesso, va bene) dire che i cani son più bravi degli esseri umani, chi a una certa età non ha bisogno di un cockerino, e però è subito Manifesto animalista di Michela Vittoria Brambilla, no: Adieu à Enrica Bonaccorti.

Ti chiedo solo perché sei dovuto arrivare a questo punto: girare fino all’ultimo respiro (una bella battuta, vero?). L’hai fatto per occupare i tuoi pomeriggi da pensionato al posto di fare l’orto? Nel caso, lo capisco e teneramente apprezzo, anche se ci sono molte più attività di volontariato cui dedicarsi, di questi tempi.

L’unica vera visione è stata, all’ingresso della proiezione, il salto di tutte le code, non esistevano più gerarchie, accrediti rosa coi blu e coi gialli, i vecchietti di Juan-les-Pins su a correre per le scale della sala Lumière insieme ai blogger lituani. Se faceva parte della tua operazione di rottura, allora sei un figo vero.

Se no, restiamo come prima. Tu mi prometti che t’iscrivi all’università della terza età, io che, la prossima volta, un goccio di passito lo bevo.

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