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May 21 2014
Se la Libia fosse in America Latina si potrebbe usare il termine “pronunciamiento” per indicare la sollevazione militare guidata dal generale Khalifa Haftar in Cirenaica e dal colonnello Mokhtar Fernana in Tripolitania che in pochi giorni hanno “congelato” le istituzioni e scatenato pesanti offensive contro i miliziani qaedisti di Ansar al-Sharia. Lo stesso Haftar ha detto che il suo obiettivo è ripulire la Libia dai terroristi di Ansar al-Sharia e dai Fratelli Musulmani che con un voto parlamentare truffaldino hanno insediato il 4 maggio scorso Ahmed Mitiig alla testa del governo, di fatto disciolto dai golpisti prima ancora che nascesse.
Haftar, ex generale di Gheddafi poi passato all’opposizione che cercò invano di ritagliarsi un ruolo da protagonista nella guerra del 2011, sembra ora incarnare lo spirito tipicamente laico della classe militare araba, un tratto che accomuna gli eserciti di molti Paesi della regione, dall’Algeria alla Siria. Molti elementi inducono a ritenere che Haftar possa contare su ampi appoggi esterni al Paese. Innanzitutto la messa a punto di un’operazione congiunta e quasi simultanea agli estremi opposti della Libia, poi la rapida adesione al “golpe” di molti reparti di esercito e aeronautica e infine il sostegno ufficializzato anche da Alì Zeidan, il premier libico costretto due mesi or sono a fuggire in Europa in seguito alle minacce degli islamisti.
Una larga intesa che coinvolge anche le milizie di Zintan e forse anche i loro rivali storici, le milizie di Misurata rifiutatesi oggi di rispondere agli ordini delle istituzioni di Tripoli.
Dietro le quinte potrebbero esserci i servizi d’intelligence delle stesse potenze Occidentali che tre anni or sono mossero guerra a Gheddafi lasciando la Libia in balìa dell’anarchia, degli scontri tribali e della penetrazione qaedista. Il silenzio di Washington, Londra e Parigi sul putsch militare è molto eloquente e del resto il generale Haftar ha vissuto 20 anni negli Stati Uniti risiedendo nei pressi di Langley, dove ha sede il quartier generale della CIA . Qui, secondo la ricostruzione del
Washington Post , ha condotto una vita lussuosa nonostante “nessuno sapesse dove prendesse i soldi” come ha detto un suo conoscente. Haftar inoltre è cittadino americano e risulta abbia votato almeno in un paio di occasioni. Difficile valutare che il generale possa aver raccolto così tanti sostenitori e scatenato una guerra personale agli islamisti senza che a Washington nessuno se ne accorgesse.
Del resto la dottrina obamiana del “leading from behind” ben si adatta a un contesto in cui sono le truppe libiche, magari con qualche “aiutino” tecnologico, a saldare il conto ai terroristi di Ansar al-Sharia accusati dell’attacco al consolato di Bengasi del settembre 2012 nel quale vennero uccisi quattro americani incluso l’ambasciatore Chris Stevens.
Anche francesi e britannici potrebbero essere della partita. Nel programma che vede 20 mila reclute libiche addestrate in Bulgaria (da forze americane), Italia, Francia, Turchia e Gran Bretagna, i britannici hanno il compito strategico di istruire i servizi segreti di Tripoli mentre i francesi hanno buoni rapporti con le milizie di Zintan che hanno condotto l’attacco di domenica a Tripoli e che nella guerra del 2011 vennero armate proprio da Parigi per marciare sulla capitale.
Il centro studi Stratfor ha evidenziato l’appoggio ai militari golpisti di Algeria ed Egitto, Paesi impegnati a combattere qaedisti e Fratelli Musulmani e che considerano l’anarchia libica un grave problema strategico. Dal territorio libico transitano infatti le armi dirette ad al-Qaeda nel Maghreb Islamico e dalle basi qaediste nel deserto sono partiti diversi attacchi terroristici costringendo le forze di Algeri a presidiare in forze il confine dove nei giorni scorsi sono stati arrestati 22 miliziani di Ansar al-Sharia. Una Libia in mano ai Fratelli Musulmani costituirebbe inoltre una spina nel fianco per il regime egiziano che ha abbattuto il governo Morsi e messo fuori legge la “fratellanza”.
Nonostante i robusti sponsor il generale Haftar non ha ancora vinto. Ansar al-Sharia gli ha dichiarato guerra e i Fratelli Musulmani si dicono pronti a scatenare una nuova guerra civile mentre l’intrinseca debolezza dell’esercito libico impedisce ai golpisti di controllare il territorio in modo capillare come riescono a fare invece i militari egiziani. Il rischio è quindi che il Paese accentui la sua instabilità divenendo teatro di un conflitto che potrebbe assomigliare a quello afghano con il rischio potenziale di interventi militari internazionali.
A Roma l’impressione è che nessuno abbia la più pallida idea di cosa stia succedendo, esattamente come nel febbraio 2011 quando prese il via la rivolta contro Gheddafi a Bengasi. Ieri Matteo Renzi ha ribadito la necessità di coinvolgere Onu e Ue nell’emergenza immigrazione come se da venerdì scorso non ci fossero nuovi scenari libici in movimento. Ancora una volta i nostri “alleati” sembrano giocare a Risiko nella nostra ex colonia e sui nostri interessi nazionali. E anche questa volta pare non ci abbiano neppure avvisato che una nuova partita stava cominciando.