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Libia: la prossima mossa dell'Egitto

Guerra in Libia

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Il presidente egiziano, Al Sisi

Guerra in Libia

Un frame del video dell'Isis pubblicato dal sito Site dal titolo "Un messaggio firmato con il sangue alla Nazione della Croce", che mostra la decapitazione "di decine" di persone in Libia, 15 febbraio 2015. ANSA/SITE

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Una manifestazione contro il governo libico a Tripoli

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Bandiere dell'Isis

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Gianluca Salviato, dopo otto mesi in ostaggio in Libia, al suo arrivo alla stazione ferroviaria di Mestre,16 novembre 2014

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Il caos in Libia sta spingendo sulle nostre coste

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Scontro a fuoco tra governativi e miliziani filo-Gheddafi a Wershefana, sobborgo alla periferia di Tripoli

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Un'perazioni di salvataggio di migranti da parte della Nave Espero, nell'ambito dell'operazione Mare Nostrum. Oltre 320 eritrei sono stati soccorsi al largo della Libia e condotti a Pozzallo, nel Ragusano.


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 Sotloff in Libia nel 2011


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Una foto scattata il 29 settembre 2011 ritrae James Foley (a sinistra) sulla strada tra l'aeroporto e la Porta occidentale di Sirte, Libia


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Una foto scattata il 29 settembre 2011 che ritrae James Foley all' aeroporto di Sirte, Libia


Guerra in Libia

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Guerra in Libia, soldati Usa a Bengasi

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Guerra in Libia

AP Photo/Manu Brabo

Zintan, Libia occidentale, 9 luglio 2012. Un uomo osserva una parete su cui sono affisse le foto di uomini uccisi durante la rivoluzione

Per Lookout news

Dopo le inquietanti immagini dell’esecuzione dei 20 egiziani copti decapitati sulla costa libica tra Sirte e Derna da miliziani dello Stato Islamico, la risposta dell’esercito egiziano non si è fatta attendere. All’alba del 16 febbraio la sua aviazione ha bombardato obiettivi dello Stato Islamico in Libia (campi di addestramento e siti di stoccaggio delle armi) uccidendo, secondo fonti ufficiali egiziane, circa 40 jihadisti (ma secondo Al Jazeera sarebbero 7 oltre a una ventina di feriti tra cui numerosi civili).

 Quella dell’Egitto è stata dunque una risposta immediata, così come lo fu quella della Giordania per l’uccisione del pilota Mouath al-Kassasbeh, arso vivo a Raqqa a inizio febbraio dallo Stato Islamico. Una reazione spinta non solo dalla sete di vendetta (in un discorso alla nazione il presidente Abdel Fattah Al Sisi ha invocato il diritto a vendicare il sangue versato dai terroristi) ma anche e soprattutto dalla volontà del governo egiziano di porsi come nazione forte in Nord Africa e Medio Oriente.

 L’Egitto non perde tempo a intervenire in Libia, e lo fa dichiaratamente a sostegno del controverso generale Khalifa Haftar, l’uomo che in Libia mesi fa ha avviato la campagna militare anti-terrorismo “Operazione Dignità” e che in un’intervista a un canale egiziano ha affermato di appoggiare l’intervento militare del Cairo. La scelta di Al Sisi risponde anche alla necessità di mostrarsi risoluto nel contrasto al terrorismo, vista l’escalation di violenza interna che l’Egitto sta subendo da mesi principalmente nella penisola del Sinai.

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La situazione in Yemen
Se si prende in considerazione il ruolo defilato dell’Egitto nella coalizione internazionale che sta combattendo contro le milizie jihadiste in Iraq e Siria, appare evidente come finora Al Sisi abbia preferito tenersi fuori dalle azioni militari dirette prediligendo una partecipazione simbolica per concentrarsi sul ristabilimento dell’ordine in patria. La Libia è però un Paese troppo vicino per non agire in prima linea, e lo stesso potrebbe presto accadere anche in un altro teatro di pesante instabilità che minaccia gli interessi diretti dell’Egitto: lo Yemen.

Con il passaggio del potere centrale nelle mani deiribelli Houthi, espressione della minoranza sciita yemenita sostenuta dall’Iran, non viene compromessa solo la tenuta nazionale delle istituzioni di governo e la sicurezza interna. A rischio ci sono in primis la supremazia dell’Arabia Saudita nella penisola arabica (Riad non tollera la presenza sciita lungo i suoi confini meridionale dovendosi già guardare a nord dal caos iracheno) e la sicurezza dell’intero Golfo, minacciato dall’attività pressoché incontrastata di AQAP (Al Qaeda nella Penisola Araba). Ci sono poi gli interessi degli USA, che sfruttava lo Yemen nella sua lotta contro le cellule qaediste. E, non ultimi, ci sono gli interessi economici dell’Egitto lungo il Mar Rosso oltre il canale di Suez. Se i ribelli sciiti nella loro avanzata dovessero impossessarsi anche dello stretto di Bab el-Mandab (all’estremità dello Yemen verso il Corno d’Africa), minando la praticabilità della navigazione internazionale e impedendo l’accesso delle navi al canale di Suez, L’Egitto potrebbe decidersi ad agire.

 Finora l’appoggio del Cairo agli Stati del Golfo nel contenimento dell’instabilità dello Yemen era stato solo politico, forse più per un senso di dovere nel contraccambiare quel sostegno che le ricche monarchie hanno offerto ad Al Sisi e al suo regime dopo la cacciata dei Fratelli Musulmani. Inoltre, la fallimentare esperienza dell’interferenza egiziana nella guerra civile yemenita degli anni Sessanta vale ancora oggi da lezione. Ma, come sottolineano alcuni esperti militari tra cui l’ex vice ministro della Difesa egiziano, Hossam Sueilam, non è escluso che l’Egitto possa reagire militarmente a una minaccia diretta dei suoi interessi regionali.

 Ancor più che il Consiglio di Sicurezza dell’ONU domenica 15 febbraio si è pronunciato a favore di un ritiro incondizionato dei miliziani Houthi da Sanaa, del ripristino della presidenza di Abdrabbuh Mansour Hadi e dell’avvio di negoziazioni tra le parti. La risoluzione, adottata all’unanimità dai 15 membri del Consiglio, segue l’appello lanciato dai Paesi del Consiglio di Cooperazione del Golfo che si erano riuniti d’urgenza a Riad il 14 febbraio per invocare insieme il rispetto del capitolo VII della Carta, appello sostenuto anche dalla Lega Araba e dall’Organizzazione della Conferenza Islamica.

I sei stati del Golfo hanno minacciato un intervento diretto nel caso di mancata adesione dei ribelli alle direttive contenute nella Risoluzione ONU. Ipotizzare un contributo militare egiziano in questa fase appare alquanto prematuro. Ma a ben pensarci lo era, fino a pochi mesi, anche l’intervento in Libia.


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