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October 28 2017
Catalogna, e adesso? Adesso smetteremo di confondere una scaltra partita di poker con una nobile partita di scacchi.
Madrid ha scelto di vedere le carte di Barcellona, al momento molto vicine al bluff. Per carità, ci sono bluff capolavoro che portano spesso alla vittoria, ma difficile sia questo il caso.
La mossa migliore di Mariano Rajoy è stata quella di trovare una data molto vicina per le prossime elezioni catalane. Il 21 dicembre. Ecco il poker servito.
Rajoy smonta così la principale arma propagandistica contro l’applicazione dell’articolo 155. Quella della sospensione “punitiva” dell’autonomia catalana.
In meno di due mesi Madrid, anche volendo, non farebbe mai in tempo ad avocare a sé, non solo formalmente ma anche tecnicamente, i poteri sinora demandati a Barcellona.
E se lo facesse commetterebbe il primo errore politico di questa sfida. Madrid, probabilmente, terrà fino ad elezioni un basso profilo, senza di fatto umiliare la Catalogna durante questo rapido interregno.
Carles Puigdemont, per il quale la giornata di ieri ha segnato più l’inizio della campagna elettorale che quello dell’indipendenza, avrà ora da gestire anche pesanti capi d’accusa.
Sia legali (sedizione, ribellione?) sia politici: ad esempio, spiegando al popolo catalano come da Lluís Companys, lo storico leader catturato dalla Gestapo e fucilato dai franchisti nel 1940, si sia arrivati a lui.
In prospettiva, come dal disegno di altro profilo di una Spagna unita ma plurinazionale si sia finiti al modello sloveno, cioè a un’indipendenza unilaterale e di mera matrice economica.
Debole di un voto per l’indipendenza scaturito a scrutinio segreto e dai soli voti dei partiti indipendentisti (gli altri deputati hanno lasciato l’aula al momento del voto), Puigdemont adesso dovrà svelare il suo piano.
Ammesso che ne abbia uno. Isolata sul piano internazionale (l’appoggio russo è di natura mitologica, quello venezuelano si commenta da solo) e su quello europeo, la dirigenza catalana ora dovrà uscire allo scoperto e spiegare ai suoi elettori come vivere nella nuova (sedicente verrebbe da dire) Repubblica Catalana.
Ma torniamo alla domanda principale: e adesso? Adesso entrambe le fazioni hanno bisogno di trovare nuovi leader: Puigdemont, ammesso che mantenga i requisiti di legge di fronte alla giustizia spagnola, se non dimostrerà già dalle prossime ore di avere una strategia avrà portato il suo popolo al muro contro muro, tutto l’opposto di quello che si chiede a un politico, cioè di mediare e di gestire la complessità. Dovrà quindi farsi da parte.
Anche per Madrid il ruolo di Rajoy, quello di custode della Costituzione, è finito e occorre trovare un delfino catalano che sia accettabile per la regione autonoma ma che non si metta di traverso con Madrid, restandogli fedele. E occorre naturalmente che questo delfino vinca le elezioni del 21 dicembre, anche in coalizione.
Il grande dubbio di Rajoy al momento è come comportarsi coi partiti catalani e i movimenti (Junts pel Sí e Cup) che hanno voluto la proclamazione dell’indipendenza. Saranno messi fuori legge? E’ un’opzione, ma sarebbe una mossa che darebbe argomenti agli indipendentisti. Vedremo a breve gli sviluppi.
Infine, si è parlato molto dell’analogia con piazza Maidan a Kiev, cioè la sollevazione permanente come forza d’impatto politica. Mutatis mutandis, senza l’orrore della guerra, l’analogia potrebbe il “delfinato”, come quello del Primo Ministro della Cecenia Ramzan Kadyrov: al tempo stesso un ceceno fatto e finito ma anche un amico di Mosca e un alleato di ferro per Putin.
E’ la sfida principale di Rajoy e non solo, è quella di tutta la Spagna: trovare una figura politica che possa incarnare e fare sintesi tra due anime ora inconciliabili. Ma qui si torna all’origine del cortocircuito iberico, ossia alla crisi della rappresentanza politica spagnola che ha portato questa nazione orgogliosa nel mesto club dei PIGS e l’ha condannata alla malsana stagnazione – sociale, economica e politica – dalla quale non scaturisce mai nulla di buono.