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L'Iran pensa al dopo-Khamenei

Di Riccardo Redaelli*

A Teheran da almeno vent’anni si sussurra che la Guida suprema, l’ayatollah Ali Khamenei, stia morendo e che la guerra di successione è iniziata. Questa volta però c’è qualcosa di nuovo: l’8 settembre l’agenzia di stato Irna ha ufficialmente ammesso che la Guida è stata operata di tumore alla prostata.  


Per ora Khamenei, 75 anni, ha sempre smentito i pronostici sulla successione e fatto piazza pulita di ogni possibile avversario che potesse limitarne il potere. Al punto che ora, di fatto, non vi sono né delfini né uomini forti pronti a sostituirlo. Per la Costituzione, la Guida deve avere sicure credenziali sia religiose sia politiche.


Ma 35 anni di regime islamico hanno paradossalmente indebolito il clero sciita, che si ritrova con pochissimi ayatollah di rilievo: troppo anziani o troppo giovani, troppo lontani dal potere per poter gestire l’intrico di organi e fazioni o troppo vicini, cosa che li fa apparire corrotti e privi di carisma popolare. I conservatori tradizionali di Qom pensano all’ex capo del potere giudiziario Mahmoud Hashemi Shahrudi, che però è anziano e di origine araba, peccato mortale per il nazionalismo iraniano. Ai pasdaran non dispiacerebbe una Guida debole e ricattabile, come lo stesso figlio di Khamenei, il giovane superfalco Mojtaba, per rafforzare ancor più il loro controllo sul paese. Ma l’Iran non è più una monarchia, rispondono piccati a Teheran.


Il vecchio Hashemi Rafsanjani, pur detestato per la sua corruzione e ambiguità, sarebbe forse la scelta migliore per i moderati e i liberali, ma risulta inaccettabile per gli ultraradicali e i conservatori. Vi sono poi i rappresentanti delle «famiglie del potere», l’élite politica postrivoluzionaria: scialbi candidati, fra cui spicca l’ayatollah Sadeh Larijani, che forse potrebbero gestire il potere ma che appaiono troppo deboli dal punto di vista dottrinale. Per evitare faide o rivolte di alcune fazioni, si parla con insistenza di trasformare la Guida in organo collegiale. Una soluzione di compromesso che ratificherebbe, pur sterilizzandole, le spaccature nella litigiosa élite di potere postrivoluzionaria. Tuttavia l’Iran soffre già della sovrapposizione di una moltitudine di organi collegiali che si contendono brandelli di potere. Certo, la maggioranza della popolazione vorrebbe o nessuna Guida o un liberale aperto alle istanze della società, eventualità che conservatori e pasdaran non permetterebbero mai.


Certo è che Khamenei è già uscito dall’ospedale ed è tornato al lavoro, omaggiato da stuoli di sicofanti e cortigiani, deciso più che mai a non tollerare che alcuno faccia ombra al suo potere.

* docente di geopolitica all’Università Cattolica di Milano

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