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December 05 2016
Incassata con dignità la sconfitta referendaria, annunciate le sue dimissioni quando ancora non sono passati mille giorni dal suo arrivo a Palazzo Chigi, Matteo Renzi ha dichiarato conclusa, in modo irrevocabile, l'esperienza del suo governo.
La palla ora passa al presidente Sergio Mattarella, chiamato per la prima volta nel corso del suo Settennato a prendere una decisione comunque complessa, divisiva e gravida di conseguenze politiche, nel bel mezzo di una possibile tempesta finanziaria che sta già colpendo, con il rialzo dello spread, il nostro Paese.
Referendum: vince il No, perde Renzi
Referendum: vince il NO. Renzi: "Il mio Governo finisce qui"
Le ipotesi non sono in realtà molte, tenuto conto che il cosiddetto "Fronte del No" - come lo ha chiamato Renzi, con realismo e perfidia - non ha una posizione unitaria su nulla, né sulla legge elettorale né sulle prospettive del nostro Paese.
- LEGGI COME SI È DIVISO IL FRONTE DEL NO
Ci sono scadenze importanti e non rinviabili, come la legge di bilancio. Ma c'è soprattutto, prima di andare al voto, una nuova legge elettorale che garantisca quel minimo di governabilità - soprattutto al Senato, dove è in vigore, dopo la bocciatura del Porcellum da parte della Consulta, un sistema proporzionalista chiamato Consultellum - senza la quale l'Italia sarebbe condannata alla palude, senza una chiara maggioranza parlamentare che emergerebbe dalle urne.
GOVERNO RENZI BIS
Èprobabilmente l'ipotesi più remota per una ragione molto semplice: se Renzi accettasse un nuovo incarico, dopo aver perso la battaglia referendaria, non solo si rimangerebbe la parola data di fronte agli italiani ma di fatto dichiarerebbe conclusa, con l'esperienza del suo governo, la sua stessa carriera politica, la sua credibilità futura, dentro il partito e nel Paese.
Indebolito, costretto a giocare in difesa come un qualsiasi presidente del consiglio "balneare" della prima repubblica, verrebbe in tal caso rosolato a fuoco lento, fino all'inevitabile nuova crisi di governo e alla vendetta, al congresso del Pd, della classe dirigente rottamata dall'ex sindaco di Firenze. È un scenario a cui difficilmente il premier dimissionario - nonostante le preghiere interessate di D'Alema &Co - potrebbe prestarsi, ammesso e non concesso che riesca poi a trovare una maggioranza in parlamento per riscrivere la legge elettorale, partendo da una posizione di debolezza.
ELEZIONI ANTICIPATE
L'ipotesi che si vada subito al voto, "rivedendo in una settimana la legge elettorale al Senato" come ha chiesto il candidato premier del M5S Luigi Di Maio, appare lunare, difficilmente praticabile sul piano politico ed esporrebbe il nostro Paese, già zavorrato dal più grande debito pubblico europeo, a nuove pesanti ventate speculative.
Ammesso che l'Italicum resti in vigore, riscrivere in tempi di record una legge elettorale al Senato, in questo parlamento e con questi numeri, dove il Pd è maggioritario, è di fatto incompatibile con la tempistica provocatoriamente dettata dal M5S. Andare subito al voto significa ora, se non vogliamo credere alla favola di una legge riscritta in una settimana, consegnare il Paese, anche dopo le nuove elezioni, a una cronica ingovernabilità, con una Camera in mano al partito che risultasse vincitore al ballottaggio e un Senato diviso di fatto in tre blocchi (Pd, M5S, centrodestra). Può un presidente della Repubblica accettare uno scenario simile che riproporrebbe, amplicati, i medesimi problemi del 2013?
GOVERNO ISTITUZIONALE DI SCOPO
È l'ipotesi più realistica. I nomi che si fanno in queste ore sono quelli del presidente del Senato Pietro Grasso e del ministro dell'Economia Pier Carlo Padoan. Quest'ultimo avrebbe il pregio di garantire quel minimo di continuità, e credibilità in Europa, senza le quali l'Italia rischierebbe un grave contraccolpo finanziario.
Un nome istituzionale avrebbe anche il vantaggio di togliere al Partito democratico la pesante responsabilità del governo quando mancano sei mesi al Congresso che sarà chiamato eventualmente a indicare i nuovi leader in corsa alle primarie. Il problema - anche con Padoan - è come mettere insieme tutte le sensibilità della nuova maggioranza che dovrebbe riscrivere la legge elettorale alla Camera e anche al Senato. Il Pd è spaccato, il centrodestra è tentato da un'ipotesi più proporzionalista, in linea con la tradizione politica del nostro Paese, il M5S difficilmente accetterà di sedersi attorno al tavolo, ora che ha incassato la vittoria, con l'odiato "partito unico della Kasta". Il tempo è un fattore chiave.
Le elezioni sono nel 2018. Ancorché con un governo istituzionale in carica, il rischio per il Pd - che è maggioritario nell'attuale parlamento - è quello di essere rosolato a fuoco lento, nel mezzo di una possibile tempesta economica e finanziaria. Uno scenario da incubo, per il Partito democratico, che rischierebbe di consegnare il Paese, alle urne, al partito di Grillo. Occorrerà molta fantasia e molto senso di responsabilità per arrivare al voto, a scandenza naturale o anticipatamente.