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September 07 2018
“Sarà un buon motivo per iniziare a stare meglio” così Sabrina commenta la notizia della condanna dei soldati governativi di Salva Kiir in Sud Sudan. La cooperante italiana, originaria de L’Aquila, è stata la protagonista chiave del processo che ha visto imputati 12 soldati per le violenze inferte ad un gruppo di cooperanti stranieri nel luglio del 2016, quando in Sud Sudan è scoppiata la guerra civile.
Ieri, il tribunale militare in Sud Sudan ha condannato 10 soldati per lo stupro dell’operatrice umanitaria italiana e di altre quattro colleghe straniere e l'omicidio di un giornalista locale durante gli scontri avvenuti a Juba nel luglio 2016.
"Il tribunale militare ha riconosciuto le responsabilità dirette degli accusati nel commettere questi crimini", ha detto il giudice Knight Baryano Almas, specificando che le accuse riguardano stupro, omicidio, saccheggi e devastazione. Due militari sono stati condannati all'ergastolo e gli altri sette a pene dai 7 ai 14 anni di carcere per reati che vanno dallo stupro al saccheggio.
Avevamo raccolto la storia di Sabrina nel luglio scorso, quando gli esiti del processo erano ancora incerti e in Italia la vicenda di questa nostra cooperante sconosciuta. A seguito del nostro articolo, l’on. ErasmoPalazzottodi Leu presentò un’interrogazione. Così ha salutato la notizia della condanna: “La sentenza ha un che di storico perché riconosce lo stupro come crimine di guerra. Ma la condanna è soprattutto merito della nostra connazionale che in questi anni si è battuta per la verità”.
Dello stesso avviso anche la capogruppo di Forza Italia, Mara Carfagna che ha dichiarato: “Siamo fiere di Sabrina, cui dobbiamo una sentenza senza precedenti in Sud Sudan dove mai, prima d'ora, lo stupro era stato definito crimine di guerra, e che ha ottenuto giustizia non solo per sè ma anche per le altre vittime senza voce". Ecco le parole di Sabrina subito dopo la sentenza.
Non si sarebbe arrivati a questo verdetto senza la sua testimonianza. Come si sente?
È ovvio che sono contentissima, non sento più il pavimento sotto i piedi e sono super emozionata. È stata senz’altro una vittoria mia perché mi sono sentita sempre il peso di questa testimonianza perché ho riconosciuto i colpevoli e ho dato il via a questo processo.
Si aspettava questo verdetto?
Ero esausta di attendere questo verdetto che non arrivava mai. Io non ci speravo più e non credevo in una vittoria.
È soddisfatta della decisione dei giudici?
Sono felice che non ci siano condanne a morte. Ovviamente il compenso è ridicolo perché hanno dato 2,5 milioni di dollari ai proprietari del compound dove eravamo ospitati e che non era affatto sicuro. Proprio a causa dell’insicurezza di quel luogo che siamo stati attaccati e questo è motivo di rabbia.
E per quanto riguarda voi cooperanti?
È ridicolo. Alla famiglia di John, il giornalista ucciso dai soldati governativi in una vera e propria esecuzione, sono stati dati come risarcimento dei bovini. Per quanto riguarda noi, 4 mila dollari a testa. Sembrano delle prese in giro rispetto ai soldi destinati ai proprietari del compound.
È un verdetto importante non solo per lei…
Ho sempre saputo che questo processo rappresenta un precedente per tutte le donne che non hanno voce e non possono battersi per i loro diritti. In Sud Sudan lo stupro da parte dei militari è una pratica quotidiana, ma nessuna donna ovviamente denuncia. E’ una vittoria grandissima che ripaga tutti gli anni in cui non ho potuto lavorare e probabilmente il fatto che non potrò più lavorare. Ripaga anche le sofferenze fisiche e psicologiche di questi anni.