Musica
December 05 2017
In occasione del concerto di Little Steven all'Alcatraz di Milano, ripubblichiamo la nostra intervista all'artista, uscita originariamente il 4 luglio 2017.
"Gabriel? Hello, my friend, this is Steven Van Zandt". Non capita tutti i giorni di ricevere da New York una telefonata da una leggenda del rock come Little Steven, performer, chitarrista, produttore e braccio destro di Bruce Springsteen oltre che attore di successo in The Sopranos e Lilyhammer, che si fa perdonare immediatamente per la mezz'ora di ritardo rispetto all'orario concordato con la sua naturale empatia e con la voglia di raccontarsi senza filtri.
L'occasione per la bella chiacchierata la offre l'uscita dell'atteso Soulfire, pubblicato da Wicked Cool/Big Machine/Universal Music Enterprise, disponibile nei negozi in CD, in digitale e in doppio LP.
Soulfire è il primo album di Litttle Steven dopo vent'anni insieme ai Disciples of Soul, che definisce benevolmente “un gruppo di disadattati, ladri e portuali”, a cui ha aggiunto tre coriste e una sezione fiati tra cui Stan Harrison e Eddie Manion, già membri degli degli Asbury Jukes/Miami Horns.
Little Steven & The Disciples of Soul sono tornati a suonare insieme un anno fa, su richiesta di un amico che li ha invitati a esibirsi al BluesFest di Londra.
Una serata magica, che, da “one-night-only performance”, si è trasformata in un disco-summa della sua lunga e fortunata carriera come autore e performer, che verrà presentato in concerto il 5 dicembre all'Alcatraz di Milano nell'unica data italiana del tour di Little Steven.
Mr Van Zandt, ha dichiarato che “il concept di Soulfire sono io. Questo album sono io mentre faccio me”. Cosa intende esattamente?
“E’ stato tutto molto spontaneo, sentivo che era il momento giusto, anche se era molto tempo che non registravo un album (20 anni n.d.r.). Ho scelto prevalentemente canzoni scritte per altri artisti che hanno un significato speciale per me, quelle che io stesso ascolto più volentieri, per cui ci sono alcune cover, alcune canzoni nuove, e alcune reinterpretazioni di quelle che ritengo le più belle canzoni che ho scritto in questi anni. L’album l’abbiamo inciso in appena sei settimane, con addosso ancora l’energia dello show di Londra, è andato tutto liscio. Nella vita non sempre le cose migliorano con il tempo, ma nella musica, in genere, è proprio così”.
A quale canzone dell'album è più legato?
“Ce ne sono alcune, la prima che mi viene in mente è una canzone doo woop, molto importante per me. Soulfire è un album pieno di prime volte: la prima canzone doo woop che ho inciso, la mia prima canzone blues, la mia prima canzone r&b. The city weeps tonight è un’autentica canzone doo wop, doveva essere la prima canzone del mio primo album, che poi ha preso un concept politico, una sorta di primo capitolo della storia delle mie influenze musicali, in ordine cronologico. Finalmente l’ho finita dopo tanti anni, con l’intenzione di rendere onore a un genere che mi ha influenzato molto. Questo album è una sorta di rinascita, una nuova reincarnazione, è un modo per ripresentarmi a me stesso e al resto del mondo come musicista”.
Come mai ha scelto il titolo “Soulfire”?
“E’ molto evocativo, il titolo parla da sè: è la fiamma spirituale che ti motiva, un simbolo delle cose che abbiamo in comune, un tipo di spiritualità che porta luce agli altri”.
Nel disco quanta influenza ha avuto la musica soul degli anni Sessanta ?
“Sono tornato al sound del mio primo album con gli Asbury Jukes, adesso la novità è di avere tre ragazze che cantano con me i cori e che mi seguono in tour. Hanno dato una nuova impronta al mio stile.Per me è un sogno suonare con una band con 15 elementi in ogni posto dove hanno voglia di vederci".
Possiamo aspettarci un ritorno della serie tv The Sopranos, che tanto le ha portato fortuna nel ruolo di Silvio Dante?
“Non lo escludo ma, dopo 10 anni di Sopranos e 3 di Lilyhammer, che ha vinto per due anni il premio di migliore show del mondo, adesso voglio dedicarmi alla mia carriera musica, ho uno show televisivo in inverno, Bruce vuole tornare a suonare con la E Street Band, ho molto idee, 6 script che sto valutando in questo momento e 25 ipotesi per futuri show televisivi. Vedremo".
Se c’è una cosa in comune tra i Sopranos e la E Street Band, a parte la provenienza del New Jersey, è l’importanza della comunità. E’ d’accordo?
“Sì, sicuramente l’importanza della famiglia, il rock è soprattutto un gruppo, mentre il pop è una musica più individuale. Far parte di una band vuol dire amicizia, comunità, condivisione con tante altre persone. Sono attratto da questo, mi piace lavorare con persone che hannno molte cose da condividere, anche se è questo l’unico aspetto in comune tra i Sopranos e la E Street Band”.
Conosce molto bene Bruce Springsteen: qual è il suo maggior difetto e quale la sua miglior qualità?
“(Ride) Quanto tempo hai? Anche se Bruce ha i suoi difetti, ormai sono così abituato a essi che non mi sembrano più neanche dei difetti: è fatto così. Lui ama molto la sua libertà, ma non puoi fargliene una colpa e chiamarlo un difetto, ed è molto esigente. Di qualità ne ha tante, personalmente gli invidio una straordinaria capacità, che io non ho, di focalizzarsi su una cosa per volta come un laser, e fare in mondo che il risultato sia sempre grandioso”.
Che ricordi ha di Clarence Clemmons e di Danny Federici?
“(Silenzio di qualche secondo) I primi periodi erano difficili, dovevamo trovare la nostra dimensione, viaggiavamo tantissimo in giro per l'America. Clarence era divertente e affascinante, sembrava un faraone egiziano o forse era un faraone egiziano nella sua vita precedente, aveva 10 donne contemporaneamente, non so come facesse. Danny amava cacciarsi nei guai, sarebbe stato perfetto nei Sopranos nel ruolo di un delinquente. Dava il meglio di sé in hotel, dove faceva ogni tipo di scherzi, soprattutto in ascensore: era completamente pazzo”.
Ho letto che una delle sue canzoni preferite di sempre è Sherry dei Four Seasons. E’ vero?
“E’ verissimo, Sherry veniva sempre suonata nei party quando ero adolescente, è stato uno dei primi dischi dei Four Seasons a essere suonato in radio: aveva un suono nuovo e unico, non so quante volte ho suonato il vinile del singolo, forse 7-800 volte, prima di toglierlo dal piatto”.
Quest'anno si sono festeggiati i 50 anni dall’uscita di Sgt.Pepper’s. dei Beatles. Che cosa ha rappresentato, per un fan dei Fab Four come lei, quell’album?
“Lo considero il migliore album mai realizzato, so che in molti considerano migliori altri album, tipo Revolver che, preso canzone per canzone, è anche migliore, ma Sgt. Pepper era qualcosa di completamente diverso come sound, l’innovazione era spettacolare. Non è stato solo uno dei migliori album di sempre, ma anche uno dei momenti più importanti della storia della cultura. Per alcune settimane, ogni volta che uscivo per strada nel Village sentivo l’album suonato in ogni caffè, ogni negozio di dischi, ogni pizzeria, lo ascoltavi sempre, ovunque, era come se fluttuasse nell’aria. Forse è la prima volta che accadeva una cosa del genere nel mondo occidentale, non so se fosse così anche in Giappone, c’era un incredibile esperienza di massa, di comunanza, ci sentivamo tutti più uniti e consapevoli. Sgt. Pepper’s ha dato una nuova dignità al rock, facendolo diventare una vera e propria forma d’arte. E’ stato un periodo magico, sembrava che il mondo aspettasse solo quello. In realtà, se leggi bene i testi, erano piuttosto tristi e negativi, nonostante i suoni fossero così ricchi e gioiosi: è molto interessante”.
Per un appassionato di rock come lei, la morte di Chuck Berry rappresenta la fine del rock?
“L’era rock è finita tanti anni fa, per me puoi misurarla dal successo dei Rolling Stones alla morte di Kurt Cobain, diciamo dal 1964 al 1994. Da allora siamo entrati nella pop era, mentre per 30 anni il mainstream è stato il rock. Little Richard ha inventato il rock, Elvis Presley lo ha popolarizzato, Chuck Berry ha dato una nuova identità alla musica ascoltata dai teenager, che compravano per la prima volta dischi scritti apposta per loro, in cui nel titolo spesso c’era la parola scuola. Chuck Berry non solo è stato uno dei più grandi chitarristi di sempre, ma faceva apparire tutto come semplice e divertente. E’ stato uno dei grandi padri del rock and roll, a cui tutti noi dobbiamo qualcosa".